martedì 1 marzo 2011

La via libertaria alla destra del futuro (Francesco Pullia recensisce Il fascista libertario)

Articolo di Francesco Pullia
Dal Secolo d'Italia di martedì 1 marzo 2011
E’ possibile concepire una politica che oltrepassi il soffocante dualismo destra/sinistra? Si può prospettare il superamento di consumate polarità per accogliere, nella direzione dell’apertura, la sfida della complessità?
Il fascista libertario di Luciano Lanna (Sperling & Kupfer, € 17,00) dà una risposta positiva a questi interrogativi offrendo, con pagine di notevole intensità autobiografica, spunti, riflessioni utili non solo a sfatare la banale identificazione di destra con conservatorismo ma anche a compiere considerevoli salti in avanti.  
Emerge in pieno l’inadeguatezza di categorie precostituite, appunto destra/sinistra, specialmente se rapportate alle scelte individuali. L’ossimoro, apparentemente improponibile, cui fa ricorso l’autore si conferma, invece, particolarmente efficace a mettere in luce quanto all’interno di un pensiero etichettato come “di destra” agisca un’anima libertaria, antitotalitaria o, se si vuole, antiautoritaria che nulla ha da spartire con visioni assolutistiche.
Emblematico, in questo senso, è il capitolo sul sessantotto da cui traspare con netta evidenza, nero su bianco, come, ben al di là della miserevole deriva ammessa anche da intellettuali come Goffredo Fofi (“Nato come fenomeno di una nuova soggettività”, ha recentemente affermato senza reticenze l’ex lottacontinuista nonché animatore della rivista Quaderni piacentini, “il ’68 diventò rapidamente neo-stalinista. Neanche leninista, peggio insomma”), il fermento generazionale abbia avuto radici completamente diverse dagli esiziali orientamenti che, purtroppo, hanno finito per prevalere.
Ed ecco, quindi, la beat generation, le cui figure più significative come Jack Kerouac (“in realtà sono un cittadino/ del mondo/ che odia il comunismo/ e tollera la democrazia”,Trentaquattresimo refrain) e Allen Ginsberg, esprimendo un’ansia spirituale, una religiosità libera da sovrastrutture, furono notoriamente antitetiche al delirio marxista-leninista.
Ginsberg, che amava definirsi, in quanto nonviolento, “ribelle” e non “rivoluzionario”, fu eletto – è bene ricordarlo ai troppi smemorati – il primo maggio del 1965 “Re di maggio” dagli studenti di Praga e venne subito dopo espulso dal governo comunista.
Ecco la rivolta, per certi aspetti d’influenza evoliana, “contro il mondo moderno”, contro l’imbalsamazione dell’esistenza in codici comportamentali scontati, il volgersi verso forme di pensiero alternative al limitato e limitante razionalismo di matrice hegeliana, la (ri)scoperta e lettura di Tolkien, Pound, Michael Ende, William Carlos Williams, Albert Camus, Hermann Hesse, Antonin Artaud, René Guenon, Ernst Jünger, Henry Miller, René Daumal, Colin Wilson, Antoine Saint-Exupéry, ovviamente di Friedrich Nietzsche ma anche di Emmanuel Mounier, di etnologi e viaggiatori come Carlos Castaneda e Bruce Chatwin, dei situazionisti Guy Debord e Raoul Vaneigem, dello steineriano Massimo Scaligero, di un fumettista come Hugo Pratt.
Certo, se anziché essere fagocitato dal maoismo e finire nel burocratismo partitocratrico, il sessantotto avesse seguito ben altre rotte da quelle in cui si è poi impantanato, se anziché inneggiare allo zio Ho, preludio dei boat people e dei vari Pol Pot, avesse fatto propria la via tracciata da Emerson, Thoreau, Gandhi, Michelstaedter, Capitini e, perché no?, Jiddu Krishnamurti, Alan Watts, Daisetz Teitaro Suzuki, sicuramente non avremmo conosciuto né la criminale follia terroristica né i laidi e bolsi funzionari della sinistra di regime. E’ andata come è andata, lo sappiamo bene, purtroppo. Continuiamo a farne le spese, a scontarlo sulla nostra pelle.
Ma c’è dell’ “altro”. Ed è proprio quest’“altro”che desta interesse.
Dal libro di Luciano Lanna si ha, infatti, conferma di come e di quanto una visione, per così dire, reazionaria della politica non appartenga alla “destra” e, anzi, al contrario, sia più pertinente alla cosiddetta “sinistra”. Di qui lo squadernamento di vetuste polarità verso una mobilità non ideologica, post ideologica.
C’è molto del radicalismo pannelliano, a partire da singole storie e attraversamenti comuni, da Giorgio Albertazzi a Carlo Mazzantini passando per Ennio Flaiano, Mario Pannunzio, Leo Longanesi, Panfilo Gentile, un irregolare come Luciano Bianciardi. Tutto si regge mirabilmente sull’insopprimibile passione per la libertà, sulla difesa a spada tratta dell’individuo dall’omologazione e dagli abusi del potere. Si scopre così che, come Pannella non si è mai stancato di rimarcare, al di là d’innaturali barriere, le vicende di tanti “fascisti”, giovani e non più giovani, s’incrociano con quelle del libertarismo.
Dal divorzio al testamento biologico, dalla moratoria della pena di morte ai diritti dei rifugiati politici, da un’ecologia distante dal fallimentare “ecologismo” alle scelte legalitarie e antipartitocratiche, dall’antiproibizionismo all’antirazzismo, c’è un filo che unisce vite, esperienze, testimonianze, passioni senza condizionamenti di parte e appesantimenti faziosi.
Per usare una felice espressione di Lanna, uno sguardo nuovo si sta ridefinendo, così come si stanno decostruendo, destrutturando, stereotipi che hanno artatamente alimentato pretestuose contrapposizioni foriere di violenza: “dietro ogni ossimoro” è presente “lo slancio dialettico per tentare di guardare oltre gli schemi predefiniti e i paradigmi statici”.
Francesco Pullia

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