lunedì 14 marzo 2011

Macché Dylan Dog: è Superman

Da il Fondo Magazine
 anno III - n. 140 / 14 marzo 2011
Io c’ero e fa un certo effetto pensare che sono passati venticinque anni e allora ne avevo poco meno di venti. Sì, parliamo di un quarto di secolo in compagnia di Dylan Dog. Io c’ero, dicevo, perché ci sono appuntamenti a cui non si può mancare. E mi feci trovare pronto.
Potrei darvi il numero civico dell’edicola ma, per motivi di privacy, posso solo dirvi che era/è sulla Tiburtina, a Roma. Lì comprai, nell’ottobre del 1986, L’alba dei morti viventi, il primo numero dell’indagatore dell’incubo (originale e in ottimo stato, ma non chiedetemelo, non lo mollo!). Sono, come suol dirsi, un dylaniano della primissima ora. Cresciuto a Zagor e Mister No (e prima ancora a Topolino), aspettavo con grande curiosità il nuovo personaggio che la Sergio Bonelli Editore presentava come la grande novità del momento. E lo era. Capii immediatamente, guardando la copertina di Claudio Villa e sfogliando con avidità le prime pagine, che l’attesa era stata ripagata e che la mia libreria sarebbe stata invasa da quegli albi dalla costola nera. Da allora non ne ho perso uno e siamo arrivati al numero 294.
Longevo come pochi, pochissimi: smarrito Mister No nelle nebbie dell’immaginario, a lottare insieme a noi sono rimasti l’incrollabile Tex, l’ormai cinquantenne ma evergreen Zagor e Martin Mystere che, il prossimo anno, taglierà l’invidiabile traguardo dei trent’anni di onorata carriera. Quest’ultimo, tuttavia, per “resistere” s’è dovuto fare bimestrale, mentre l’antieroe creato da Tiziano Sclavi, oltre alla serie mensile, quest’anno ha fatto letteralmente gli straordinari, raddoppiando il Maxi rispetto alla già abituale programmazione estiva. Per non parlare degli extra collana: Speciali, Albi Giganti, Almanacchi (ovviamente della paura) e ristampe varie, tra cui la “sciccosissima” Super book (la ristampa in formato libro) e il Dylan Dog Fest Color.
Un cult che negli anni Novanta ha toccato anche il milione di copie mensili e che, non a caso, attende l’ormai imminente consacrazione cinematografica. Dylan Dog: Dead of Night, il titolo originale, Dylan Dog – Il film, da noi, arriva mercoledì 16 marzo nelle sale italiane, in anteprima mondiale, come raramente accade a una stella del nostro firmamento culturale. Riuscendo così nell’impresa cui sembrava destinato un altro rampollo di casa Bonelli, Nathan Never, per il quale aveva manifestato interesse addirittura Steven Spielberg ma, almeno a oggi, l’annunciato progetto non ha ancora visto la luce.
Diciamolo subito e a scanso di equivoci: la pellicola diretta da Kevin Munroe non ha la pretesa di essere un adattamento cinematografico vero e proprio. Non siamo di fronte a un “liberamente tratto”, ma a una storia completamente nuova e scritta per l’occasione. Dylan Dog ha abbandonato, almeno temporaneamente, il mestiere di indagatore dell’incubo e si è trasferito da Londra a New Orleans con il suo assistente Marcus. Voi vi chiederete: chi sarebbe Marcus? E infatti la prima amara sorpresa è che il “nostro” Groucho non c’è. Né lui né le sue estenuanti quanto spassose battute. Una questione di diritti, sembra, avrebbe impedito l’utilizzo dell’immagine di Groucho Marx, nome d’arte di Julius Henry Marks, l’attore, comico e scrittore statunitense scomparso nel ’77 e trascinato nel mondo delle nuvolette parlanti dal genio di Sclavi. Marcus Adams ne ha preso il posto sul grande schermo nei panni della spalla comica di Dylan Dog. Che di mestiere adesso fa l’investigatore privato, come un Marlowe qualsiasi. Tuttavia quando i riflettori si accendono sulla bellissima Anita Briem, la giovane attrice che interpreta il ruolo di Elizabeth Ryan, rimasta orfana dopo appena tre minuti di film, Dylan torna a misurarsi con licantropi e vampiri. Almeno in questo, il nostro, non è cambiato di una virgola: le donne – per usare un eufemismo – non gli sono indifferenti e, rimanendo fedele al suo palmares di seduttore seriale e di investigatore deontologicamente scorretto, immancabilmente conquisterà la sua cliente. Ne prendiamo atto con complice compiacimento.
Il protagonista maschile, tuttavia, appare del tutto inadeguato. Perché? Brandon Routh, con i suoi trentuno anni, è troppo giovane e muscoloso, ridicolo nella canottiera con cui si presenta nelle prime scene del film (Sky già da sabato scorso ne mostra in anteprima i primi dieci minuti) e un tantino arrogante (nell’interpretazione del ruolo, ovviamente). Ottimo Superman – di cui indossò il costume nel 2006 in Superman Returns – Routh non ci ha abituato a grandi sfumature nella recitazione. Il doppiaggio, inoltre, appare del tutto stridente con l’ironia che richiederebbe il personaggio. Quello che ci troviamo di fronte è, a essere chiari, un eroe classico e tronfio, non esattamente calibrato sul carattere schivo dell’antieroe controvoglia alla Dylan Dog. Il grido di battaglia lanciato nel trailer – “Non serve un piano, servono pistole più grandi” – appare del tutto stonato se a pronunciarlo è Dylan. Il quale, come sanno bene i lettori, il più delle volte la pistola se la scorda a casa.
Il problema non è – come pure sostengono i puristi, accalorandosi in feroci discussioni su facebook – il colore del maggiolino di Dylan Dog: nero e con la cappotta bianca, esattamente invertito rispetto all’originale, sempre per problemi di diritti d’autore, stavolta con la Disney. Questione da carrozzieri, quest’ultima, Alcune scelte, però, come quella del protagonista, non solo si discostano radicalmente dal fumetto bonelliano ma rischiano di snaturarlo, di ridurlo a caricatura, a macchietta, perfetta per un horror che cerca di tenere alta l’attenzione del pubblico facendo ampio ricorso agli effetti speciali piuttosto che curare una sceneggiatura ambiziosa. Un po’ come è successo nel 1994 con l’imbarazzante Dellamorte Dellamore (film diretto da Michele Soavi nel 1994), tratto dalla storia dello Speciale Orrore Nero e all’omonimo libro di Sclavi. Con l’attenuante, però, della buona interpretazione di Rupert Everett nel ruolo di Francesco Dellamorte (alter ego di Dylan Dog). E poi, a dirla proprio tutta, Everett assomiglia davvero a Dylan Dog, i cui disegnatori, specialmente all’inizio, si ispiravano dichiaratamente all’attore inglese.
Insomma, non abbiamo ancora visto il nuovo film e già verrebbe da dire, citando il nostro: Giuda ballerino! Ma non si può dire, perché – ne prendiamo atto con una punta di rammarico – dopo averla provata sul set, questa espressione sarebbe stata definita “inappropriata”.
Tutti al cinema, pertanto, e a risentirci la prossima settimana.
Roberto Alfatti Appetiti
FONTE

Nessun commento: