mercoledì 2 marzo 2011

Memorandum sugli anni ‘80 dedicato a chi voleva cambiare il mondo, e invece... (di Fabrizio Crivellari)

Articolo di Fabrizio Crivellari
Dal Secolo d'Italia del 2 marzo 2011
Sul Secolo di sabato scorso il deputato pidiellino Fabio Rampelli sostiene che il tentativo di superare gli schieramenti, di collocarci al di là della destra e della sinistra, di cercare nuovi punti di riferimento culturali ed esistenziali e creare nuove sintesi politiche, tipico della destra giovanile degli anni Ottanta, era in fondo soltanto un fatto strumentale. Solo per rompere l'accerchiamento creavamo il caos, in altre parole mischiavamo le carte e la "buttavamo in caciara". Tutto strumentale, una finta. Perché in realtà volevamo un nuovo ordine (parole sue...). 
Era esattamente quello che sostenevano gli Autonomi nei nostri confronti: «Guardate - dicevano agli studenti - che questi fanno finta, a questi di Che Guevara non gliene frega proprio niente, questi vogliono un Ordine Nuovo». Un volantino distribuito in quegli anni dai Collettivi nella mia facoltà diceva: «Da un po' di tempo nella Facoltà di Economia e Commercio vi sarà capitato di leggere manifesti e volantini firmati Fare Fronte. In essi ricorrono numerosi riferimenti a posizioni politiche contrapposte (Antonio Gramsci, Mussolini; Marx, Julius Evola; ma anche Renzo Arbore e pure Vasco Rossi...) che, per velare la matrice reazionaria di Fare Fronte, tendono ad alimentare fra gli studenti una confusione già creata da vari organi di stampa e tivù. Dietro ai manifesti colorati, dietro alle varie confuse parole, c'è la volontà da parte dei soliti fascisti di riconquistare una legittimità e uno spazio di azione nell'università e nella società».
Noi rispondemmo, con un altro volantino, così: «Riproponiamo l'idea della Comunità studentesca come sfida alle sterili contrapposizioni "destra-sinistra". Nuove sintesi, nuovi percorsi per dare al progetto del "contropotere politico e culturale" la forza di una generazione che non vuole ricadere nei tragici errori del passato, come vorrebbero invece alcuni stupidi rimestatori». Quel volantino lo scrisse Camillo Scoyni, altro vecchio "colleoppino" che ho incontrato all'Assemblea costituente di Futuro e libertà a Milano.
Ma oggi, a leggere Rampelli, viene da chiedersi: non è che i compagni avessero ragione, almeno per qualcuno di noi? Non è che qualcuno - non io né Camillo Scoyni - voleva solo "velare" una inconfessata (allora) matrice reazionaria? Eppure ci sono tante persone che in quelle esperienze - Fare Fronte, Fare Verde, la Comunità studentesca, Morbillo, la manifestazione dell''86 che arrivò a Valle Giulia, la rilettura del Sessantotto... - si sono formate e che poi, per un motivo o per l'altro, sono approdate in lidi diversi. Morbillo fu una di queste piccole grandi cose che mettemmo in campo. Morbillo era superamento delle ideologie, scavalcamento degli steccati, ricerca di nuove sintesi politiche e culturali, provocazione, contagio. E Morbillo superava consapevolmente la destra e la sinistra. Arrivammo a pubblicizzarlo sul quotidiano comunista il manifesto? E l'articolo che pubblicarono il giorno successivo? «Un morbillo di destra ha contagiato anche noi, ci scusiamo con i lettori», dissero. Non ci lasciammo sfuggire l'occasione e dalle nostre colonne a pois rispondemmo: «Magari si fosse lasciato contagiare, come ha scritto. il manifesto invece resta un qualunque squallido quotidiano di destra e Morbillo, che non lo sapeva, si scusa con i lettori per l'annuncio pubblicitario comparso sulle sue pagine». Mi sa che l'hai scritto tu quel pezzettino. O forse l'abbiamo fatto assieme. Come tante cose di quel giornale. Sul numero zero della nostra rivistina Morbillo e sul libro Le radici e il progetto, ho scritto, questa volta io, il nostro manifesto: «Dichiarazione di guerra al quieto vivere borghese, agli imboscati della vita, all'esistenza "in modum" Bruno Vespa, immagine e forse anche campione di intrappolamento di ogni scossa di violenta vitalità. Morbillo è, così, una rivincita su antiche frustrazioni: sin dai tempi delle elementari non sopportavamo l'infame attività di inchiodare alla lavagna il nome dei "buoni" e dei "cattivi". Primo: noi, adepti del fiocco slacciato, finivamo immancabilmente tra i cattivi. Secondo: nascevano i primi delatori. Terzo e più importante: era sbagliato il criterio, la discriminante. Chi vive, chi fa casino, chi rompe le scatole alla maestra e tira il cancellino al direttore per (come viene) originalità, fatica, comune nemico, perché non lo paga nessuno, si colloca (per noi e con vario merito) tra i "buoni". Se poi indossa i pannolini Pampers, o i Lines, o la fa in mezzo alla strada non cambia granché: l'importante è farla». È vero. All'epoca forse a Fini Morbillo non piaceva tanto. Ma sono passati più di vent'anni. Tanto che lo stesso Fini, adesso, sembra che abbia apprezzato le magliette pop-art «Che fai mi cacci?» che mi sono inventato io (con lo stesso spirito di Morbillo). Ne avrà sentito parlare anche Rampelli, credo, e a vederle sono molto ma molto morbilliane.
A proposito, personalmente non diventerò mai ricco con quelle magliette: io le ho regalate a scatoloni interi in giro per consentire ai ragazzi - ai militanti - di tirar su un po' di soldi. Da queste parti non è che ce la passiamo benissimo… Sono contento che Fabio Rampelli abbia citato la mia falsa intervista (immaginaria) a Pinochet. Però ho anche capito perché le nostre strade si sono separate. «Il dato più importante era creare il caos per costruire un nuovo ordine, non rimanere prigionieri o idolatrare il caos», così scrive adesso il deputato romano. Una roba forse un po' sudamericana. Ha fatto molto bene Luciano Lanna ad aver citato C'eravamo tanto amati: «Volevamo cambiare il mondo ma il mondo ha cambiato noi». Ecco, io penso ancora oggi che la stella danzante possa essere generata «solo dal caos».
Fabrizio Crivellari

1 commento:

Paolo ha detto...

Carissimo, la tristezza infinita che nasce nel mio cuore è data solo dall'ipocrisia e dalla mancanza di senso di amore e coerenza con un pensiero ed un'idea del quale fu foriero il mai troppo compianto Almirante.
Tutto ciò che venne dopo è il nulla. Sono orgoglioso di essere fascista, con tutto ciò che questo comporta, sono orgoglioso del mio passato, sono orgoglioso di non aver mollato mai. Me ne andrò, quando sarà la mia ora, cosciente del fatto che il denaro, la globalizzazione e gli interessi personali dei tanti che governano il mondo, hanno avuto la meglio su coloro(pochi) che come me hanno creduto nel "cambiamento" di marcia, ma non nell'oblìo dell'idealogia. Con orgoglio. Paolo Bertocchi