giovedì 31 marzo 2011

Niccolai, Tatarella e il passato riscritto (di Luciano Lanna)

Dal Secolo d'Italia del 31 marzo 2011
Due appuntamenti pubblici che si svolgono quasi contemporaneamente oggi a Roma mi consentono per una volta di venir meno alla regola giornalistica di far parlare i fatti e non mettere in primo piano il proprio vissuto e, sostanzialmente, la propria persona. Mi riferisco, da un lato, alla presentazione del libro Una storia di destra (Longanesi) di Italo Bocchino, cui partecipano il presidente della Camera, Gianfranco Fini, il fondatore del Pd, Walter Veltroni, e il direttore del Tg La7, Enrico Mentana; e dall'altro alla tavola rotonda "Attualità di Beppe Niccolai", che si svolge sempre questo pomeriggio su iniziativa della Fondazione Rivolta Ideale e che vede tra i relatori Domenico Gramazio, Maurizio Gasparri, Altero Matteoli, Gennaro Sangiuliano, Gennaro Malgieri e Adalberto Baldoni.
Si tratta, per dirla tutta, di due occasioni che se lette in parallelo consentono infatti di mettere la parola fine a qualsiasi tentativo di ricostruire una genealogia diretta e anche un comune senso d'appartenenza a quel mondo che per comodità e pigrizia intellettuale viene collocato e, anzi, come recintato "a destra".
Tutto è davvero cambiato da quando alcune ragioni avevano messo insieme alcune persone, alcune storie, alcune illusioni. Di quello stare insieme «non c'è più ragione - ha spiegato il giornalista Filippo Ceccarelli - e in fondo raccontarsi, classificarsi, insomma venire allo scoperto è anche un po' rompere l'incantesimo, in qualche modo guarire, forse riscattare antiche colpe fino al punto di farle comprendere meglio a chi ne ha ancora paura. Perché solo attraverso una pacata e approfondita autocoscienza sarà possibile riconnettere la trama della vita civile (e incivile) italiana nella sua interezza, e consegnarla a chi non l'ha vissuta». Ma per farlo, appunto, è necessario avviare quell'operazione verità e autenticità che sola consente di restituire senso alle parole attraverso l'abbandono del tatticismo e di quella che Ezio Mauro ha chiamato la «invenzione della realtà». In sostanza, potremo entrare davvero in una nuova fase della vita civile e politica italiana soltanto quando avremo smesso di "re-inventare il passato" con lo scopo di giustificare le scelte, spesso banali interessi tattici, del presente.
E veniamo alla presentazione del libro e al tema della tavola rotonda che si svolgono oggi. Ho letto il saggio dell'amico Bocchino e lo reputo una bella lettura, coinvolgente, sincera e anche utile per comprendere dall'interno e dal vissuto il senso e gli sbocchi della transizione politica italiana che s'è avviata nei primi anni Novanta ed è ancora in corso. E la sua, come sottolinea lo stesso titolo, è una "storia di destra" che, per quanto si sia incrociata con la mia - e io "di destra" non mi sono mai considerato, ritenendo la destra, ma anche la sinistra e, ancor peggio, il centro, categorie topografiche che non spiegano ormai più niente del mondo del ventunesimo secolo - ha tutte le caratteristiche di una "storia vera" che non concede nulla alla tentazione dell'invenzione di comodo. Il solo appunto che gli faccio è quello di riportare male la vicenda della mia assunzione al Secolo, che così come riferita - la fretta, si sa, è spesso origine di errori che però, stampati su un libro, diventano notizia - non spiega il mio vero inizio al giornalismo. Eravamo nel giugno del 1990 e io insegnavo lettere nelle scuole. Quanche giorno dopo la fine dell'anno scolastico, ricevetti una telefonata di Giano Accame, allora direttore del nostro quotidiano, che mi proponeva tre mesi di lavoro al giornale come "cambio ferie". Esitai un po', poi accettai perché stare dentro un giornale era stato sempre il mio sogno. Arrivai in via della Mercede che era il 19 giugno e lì trovai anche altri quattro "cambi ferie": Italo Bocchino, proposto da Francesco Storace, Mario Landolfi, suggerito da ambienti della corrente rautiana, Camillo Scoyni, amico di Gianni Alemanno, e Fabio Andriola, un ragazzo che aveva già fatto la scuola di giornalismo e conosceva i direttori Aldo Giorleo e Giano Accame. In seguito seppi che il mio nome era stato suggerito dal mio amico Umberto Croppi a Domenico Mennitti, il vicesegretario del partito, e che solo all'ultimo minuto, dopo che erano già stati scelti gli altri, il deputato brindisino disse: "A questo punto per stare contenti, vorrei proporne uno anche io". Fatto sta che, dopo tre mesi di lavoro entusiasmante (almeno per me) al fianco dell'allora capo del politico, Enzo Palmesano, dovendone scegliere uno solo per l'assunzione, Accame - me lo confidò anni dopo - stretto dalle pressioni delle correnti volle assumere me, perché ero quello che aveva più passione per il giornalismo (tanto gli altri opteranno quasi tutti per la politica) e perché ero quello "meno spinto" e un po' fuori dei giochi...
Se questo è un dettaglio che riporto sorridendo all'amico Italo, il dibattito su Niccolai rientra invece a tutti gli effetti nella re-invenzione del passato di cui parlavamo. Come si fa a rivendicare la figura e la lezione di Beppe Niccolai da parte di chi non solo si considera "di destra" ma che per di più ha aderito al Pdl? Si può anche capire che parlino l'amico Adalberto Baldoni, al quale Beppe scrisse la prefazione di Noi rivoluzionari, Gennaro Malgieri, che avendo studiato a Pisa ebbe modo di conoscerlo e frequentarlo, o Altero Matteoli, che toscano come lui ne ereditò il seggio alla Camera. Ma Domenico Gramazio, espressione dell'anticomunismo di piazza e di un antagonismo "senza se e senza ma" nei confronti della sinistra, oppure Gennaro Sangiuliano, giornalista che è espressione di una destra liberale, cultore di Giolitti e autore dello scoop contro Saviano in tv, cosa avrebbero a che vedere con Beppe? Ricordo che, a metà degli anni '80, durante la presentazione pubblica di una riedizione del libro Lo scrittore italiano di Berto Ricci, Niccolai si trovava a parlare accanto a Pinuccio Tatarella. E quando i due furono invitati a definirsi rispetto allo schema destra/sinistra, le due risposte furono profetiche. Non "di destra", ma "di centrodestra" si definì Tatarella, ricollegandosi legittimamente alla tradizione politica che negli anni '50 aveva visto molte città del Sud amministrate da coalizioni composte da Msi, destre liberali e monarchiche e Dc. Assolutamente "non di destra", anzi "di sinistra", si dichiarò invece Niccolai, spiegando che sin dal suo rientro dalla prigionia nel 1946 aveva sempre mantenuto contatti e interlocuzione con suoi amici, come Romano Bilenchi, che avevano scelto di militare da ex fascisti nel Pci, e che il grande obiettivo politico all'orizzonte era quello di ricomporre le scissioni socialiste del 1914 e del 1921, rendendo possibile l'ipotesi di mandare la Dc all'opposizione. Come confermò lo stesso Tatarella in un Comitato centrale del Msi, Niccolai voleva dar vita a un progetto di «laburismo nazionale», era insomma un autentico uomo di sinistra e, in prospettiva, sognava la convergenza tra il Msi e la sinistra italiana.
Ma c'è anche altro. Le conosce Gramazio le posizioni di Niccolai sul '68, sui diritti degli immigrati, sulla politica estera, sul "caso Sofri"? E come mai la stragrande maggioranza dei dirigenti politici (e degli amici) che nel 1984 si schierarono con Beppe - da Umberto Croppi a Peppe Nanni, da Fabio Granata a Enzo Raisi, da Carmelo Briguglio a Tomaso Staiti - non stanno nel Pdl ma hanno fatto coerentemente altre scelte? Per quanto mi riguarda, vorrei solo ricordare che sette anni fa ho lasciato un giornale - dove pure ero vicedirettore e lavoravo al fianco di un amico che stimo intellettualmente come Giordano Bruno Guerri - solo perché non mi ritrovato nelle posizioni fallaciane sull'Islam e quelle non garantiste su Sofri che quel foglio aveva assunto. Due punti fermi, due convinzioni, che mi venivano proprio dalla frequentazione di Beppe. La cui incompatibilità col Pdl è stata ante litteram. D'altronde, nel 2004, l'unico dei suoi ex oppositori a fare autocritica su Niccolai è stato Gianfranco Fini, spiegando: «Beppe immaginava già allora di aprirsi al dialogo e sanare da destra l'equivalente di quella che era stata la scissione a sinistra del 1914 tra l'anima nazionalista e riformista del socialismo e quella massimalista. Certo, con lui erano allora in pochi, noi altri in genere ci consolavamo dicendo: siamo un mondo chiuso. Per la "svolta" era presto...». Ma Niccolai aveva ragione. Al di là della destra e della sinistra.
Luciano Lanna

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