Articolo di Michele De Feudis
Dal Secolo d'Italia del 15 marzo 2011
Il calcio come strumento di diplomazia per una nuova “road-map” in Medio Oriente. La prima partita della Palestina disputata mercoledì scorso in Cisgiordania contro la Thailandia, nello stadio di Al Ram, è stata un piccolo successo della cooperazione internazionale sportiva a cui ha contribuito in maniera rilevante anche l'Italia, grazie all'impegno di Mario Pescante, vice presidente del Cio e vero ministro degli esteri dell'organizzazione olimpica internazionale.
“Lo sport – spiega il dirigente italiano - resta una specie di religione pagana. La politica fallisce, la diplomazia fallisce, lo sport resta un'ancora formidabile. Il fatto che l'Onu abbia chiesto il nostro supporto, e per nostro intendo quello del Cio, è emblematico. Purtroppo laggiù (in Palestina n.d.r.) è accaduto che proprio mentre era in pieno svolgimento la nostra missione non sia stata rinnovata la moratoria degli insediamenti dei coloni e i rapporti tra loro si siano interrotti, accidenti”. Nella eterna disputa israelo-palestinese, tessere le trame dei rapporti tra le federazioni sportive, allora, può diventare un modo per accorciare le distanze tra le due parti in lotta, offrendo uno spiraglio all'irrigidimento progressivo delle ragioni dell'irredentismo al cospetto di quelle della sicurezza nazionale, tema essenziale per il governo di Tel Aviv. “Ricordo campi profughi – ha raccontato Pescante - dove mancava tutto, ma non le palestre: una sensazione allo stesso momento triste e bellissima. L'Onu ci è stato al fianco nella costruzione di questa sorta di road-map dello sport. E' su questo campo che ci giochiamo l'ingresso alle Nazioni Unite, ormai più che ben avviato. Noi, ambasciatori di pace là dove la politica ha fallito”.
Lo stadio di Al Ram era stato distrutto dalle bombe israeliane durante l'ultima Intifada: è dedicato a Faisal Al-Husseini, un leader politico di Gerusalemme Est, fondatore dell'Unione generale degli studenti palestinesi, protagonista di tante trattative di pace. E' stato costruito con le risorse della Fifa, (Blatter partecipò nel 2008 all’inaugurazione), e i contributi provenienti da Francia, Arabia Saudita, Abu Dhabi e governo locale. Sopra le gradinate campeggiavano gigantografie di Abu Mazen e Arafat. Non è un Maracanà, ma un piccolo impianti per dodicimila spettatori, con il manto in erba sintetica. Eppure è stato il teatro di un evento storico: la prima partita ufficiale disputata in campo amico da una rappresentativa palestinese di calcio dalla nascita dello Stato d'Israele, nel 1948. L'ultimo precedente risaliva addirittura alle qualificazioni per i Mondiali del 1934, con la sfida contro l'Egitto disputata nel centro portuale di Jaffa. Il risultato sul campo non ha premiato la squadra di casa: era l'incontro di ritorno delle eliminatorie per la qualificazione olimpica. All'andata la Palestina aveva rimediato una immeritata sconfitta in Thailandia. Nel ritorno aveva pareggiato i conti con un gol spettacolare di Abu Habib che, senza guardare alla porta, aveva battuto il portiere avversario dal limite dell'area, centrando il sette. Ma ai rigori l'undici ospite ha prevalso.
L'opera di tessitura diplomatica di Mario Pescante ha consentito il passo preliminare di un incontro tra i comitati organizzatori di Israele e Palestina, e successivamente, con un accordo fra Gerusalemme e Ramallah, è stato aperto uno speciale salvacondotto firmato dal generale Eitan Dangot, comandante del dispositivo militare israeliano nei Territori, per favorire la partecipazione di sei giocatori della Striscia di Gaza, insieme con il ct tunisino Muhtar Al Talil (uno sfegatato ammiratore di Josè Mourinho), alla partita di Al Ram.
Nella selezione olimpica c'è anche un giocatore che milita nel campionato dilettanti italiano: è Roberto Kettlun, cileno di nascita (lì c'è una folta comunità di esuli) ma naturalizzato palestinese, è un centrocampista della Virtus Casarano, club pugliese. «Sono stato capitano della nazionale olimpica della Palestina, ho vestito la maglia dal 2002 al 2006 – ha spiegato Kettlun -. Sono stato anche ricevuto da Abu Mazen, il presidente dell’Autorità palestinese, a novembre stavo per trasferirmi là, poi il Casarano mi ha chiamato e visto che ho una bimba di 5 mesi ho preferito l’Italia perché c’è più tranquillità. Il nostro problema erano e rimangono i visti, a volte eravamo 11 in campo e solo 3 in panchina. Una partita contro l’Israele? Perché no, una selezione mista ha giocato delle amichevoli in Spagna, però la coscienza sociale di chi vive lì non è facile da cambiare, dopo tutto quello che è successo».
Sullo sfondo resta la speranza che il calcio adesso possa aprire spazi per una preziosa mediazione politica, che camminerà sulle gambe di dirigenti come Jibril Rajoub, esponente di Fatah ed ex capo dei servizi di sicurezza palestinesi (detenuto per 17 anni nelle galere israeliane), attualmente con il doppio incarico di presidente del comitato olimpico e della federazione calcio di Palestina: con la collaborazione di Pescante, ha firmato a gennaio a Losanna un accordo di collaborazione con l'omologo israeliano, trovando lo spazio per un inedito linguaggio comune dello sport, nella lunga e difficile strada per la pace.
Michele De Feudis
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