venerdì 8 aprile 2011

Con Drieu La Rochelle per riscoprire... le nostre utopie (di Luigi G. de Anna)

Articolo di Luigi G. de Anna
Dal Secolo d'Italia di venerdì 8 aprile 2011
Ottanta anni fa, nel 1931, esce Fuoco fatuo (Le feu follet) di Pierre Drieu la Rochelle (1893-1945). È l'unico romanzo dello scrittore collaborazionista francese da cui sia stato tratto un film. Nel 1963 Louis Malle portava sullo schermo la vicenda di Alain Leroy, ottenendo il premio speciale della giuria al festival di Venezia. L'arrivo del film nelle sale cinematografiche fu per noi della Giovane Italia una piacevole sorpresa. Drieu faceva infatti parte del ristretto novero di intellettuali cui ci sentivamo particolarmente legati. 
Il romanzo Gilles (1939), sempre di Drieu, aveva segnato per noi lo spartiacque tra una destra "nuova", capace di guardare oltre lo steccato del conservatorismo e dell'atlantismo, e una destra "vecchia", legata al mito dell'anticomunismo. La tentazione fascista, per ricordare un bel saggio di Tarmo Kunnas (1981) sugli intellettuali francesi collaborazionisti, comprendeva in sé uno dei temi fondamentali affrontati da Drieu nel corso della sua carriera letteraria, iniziata già nel 1921 con l'Etat civil e con il saggio Mésure de la France dell'anno successivo, e cioè il rapporto con forme nuove della politica e della ideologia, che prescindevano dal tradizionale conservatorismo. In Drieu ci affascinò, forse più verso la fine che agli inizi degli anni sessanta, il suo provocare, quasi da eretico, come eretici cominciavamo a sentirci noi stessi, la rottura degli schemi. Quel famoso incontro in cui Gambier, il personaggio di Gilles, vede fondersi in place de la Concorde a Parigi, l'estrema destra con l'estrema sinistra, ci indicava quelle nuove sintesi che stavamo noi stessi vivendo nel '68. Drieu col suo "fascismo immenso e rosso" non evocava una confluenza del medesimo nello stalinismo, come da alcuni sospetatto, quando nel 1945 il fallimento del nazionasocialismo aveva portato alla rovina del nuovo ordine auspicato dagli intellettuali collaborazionisti francesi, ma palesava la speranza di vedere nascere un nuovo sistema che tenesse presenti sia le istanze fondamentali del fascismo, l'orgoglio della nazione, divenuta ora europea, la missione civilizzatrice dello spirito, l'anti economicismo, con la carica rivoluzionaria di quel socialismo che si stava imponendo con la vittoria dell'Urss. L'arrivo del film di Malle non contribuiva certo a questa rilettura della storia politica europea, ma aveva la funzione di far uscire dal ghetto un intellettuale che la cultura ufficiale vi aveva relegato in quanto fascista, collaborazionista e supposto razzista. Vorrei aggiungere che l'accusa di antisemitismo è servita per molto tempo a tagliare le gambe a qualsiasi giudizio critico su questi intellettuali della "tentazione fascista", a cominciare da Céline, ma tutto il discorso presunto antisemita di costoro andrebbe rivisto alla luce delle idee del tempo in cui vissero e soprattutto dell'uso che lo scrittore fa, per motivi polemici e letterari, di un argomento di cui ancora non conosce, e non può conoscere, la portata sul piano della realtà storica. Fuoco fatuo non contiene in sé elementi di ideologia fascista, infatti soltanto nel 1936 Drieu aderirà al Ppf di Jacques Doriot. È comunque vero che il suo itinerario verso nuove forme della politica e dell'ideologia era già iniziato con Le Jeune Européen del 1927 e soprattutto con Genève ou Moscou del 1928, dove l'idea di un'Europa libera dall'imperialismo sovietico e americano si manifesta già con forza. Ma è anche vero che Drieu aveva già attuato una originale sintesi combinando la sua esperienza dadaista e surrealista, era in rapporti di stretta amicizia con Louis Aragon, con quella dell'Action Francaise. In Fuoco fatuo però questo discorso ideologico non appare. Il romanzo è incentrato sul problema esistenziale, un problema peraltro fondamentale per comprendere l'uomo e lo scrittore Drieu.
Il romanzo racconta gli ultimi giorni di Alain Leroy, un uomo, che dopo una cura di disontissicazione ha ripreso a drogarsi. Alain (interpretato nel film da un magistrale Maurice Ronet), ha deciso di porre fine ai propri giorni per stanchezza e noia nei confronti della vita. Il romanzo è dedicato a un caro amico di Drieu, il surrealista Jacques Rigaut, che appunto si suicidò nel novembre del 1929, ma è in realtà profondamente autobiografico e presagisce addirittura il suicidio dello stesso Drieu, avvenuto il 15 marzo del 1945. Un suicidio peraltro che lo salva certamente dal plotone di esecuzione, davanti al quale finì, tra gli altri, Robert Brasillach. Il film è molto fedele al romanzo, seppur con qualche modifica (l'Alain del film è un alcolizzato) e un importante ed interessante aggiornamento, che non solo attualizza la vicenda, ma sembra voler interpretare, e a nostro parere giustamente, il sottofondo ideologico che scorre indubbiamente alla base del pensiero di Drieu agli inizi degli anni Trenta. L'Alain di Malle infatti a un certo momento del suo girovagare per Parigi alla ricerca di vecchi amici e vecchi contatti (ma ha già deciso il suo traumatico distacco dalla vita) incontra al café Flore in Saint Germain, due fratelli che fanno parte dell'Oas e si battono per l'Algeria francese. Lo invitano ad unirsi a loro, ma Alain, ex valoroso ufficiale della campagna d'Algeria, che oramai non crede più in nulla, rifiuta. Alain è indubbiamente un perdente, se paragonato agli amici che combattono ancora per un ideale, come è un perdente nei confronti di Dubourg, l'amico egittologo che vive un felice rapporto familiare. L'unico che potrebbe salvarlo da quella forma di disincanto che ha assorbito nei confronti di una vita in cui nulla succede, è Solange, una antica amante, ma anche Solange lo delude nella sua ultima conversazione. Alain, come Drieu, è un uomo debole, che ama le donne e viene da loro abbandonato, desidera il denaro, e non ne ha mai abbastanza, un uomo che è troppo delicato per vivere in una società dura e insensibile come è quella moderna. Alain però non vuole farsi trascinare dal fiume della banalità della vita, ma vuole essere lui stesso a condurre il gioco, e se perde a questo gioco, sarà lui a porgli fine.
Le ultime parole di Alain, sono addirittura profetiche e sono quelle che potremmo trovare sulle labbra di Pierre quando, quel marzo del 1945, si suiciderà: «La vita non andava abbastanza in fretta per me, io l'accelero. La corda si allentava, io la tendo. Sono un uomo. Sono padrone della mia pelle, lo dimostro». Così Pierre sfuggirà ai giudici che mettono sul banco degli accusati Laval, Pétain, Brasillach e tanti altri della tragica stagione della collaborazione. È l'ultimo atto di un ribelle. Drieu la Rochelle uscì dalla scena della vita per dignità, quasi con garbo. Ma lasciò un messaggio. E quel messaggio noi giovani degli anni Sessanta raccogliemmo e vorremmo che fosse passato ai giovani di oggi: «Noi siamo uomini d'oggi /...Dobbiamo costruire una patria / come non si è mai vista / compatta come un blocco d'acciaio, / come una calamita. / Tutta la limatura d'Europa / vi si aggregherà per amore o per forza. / E allora davanti al blocco della nostra Europa / l'Asia,l'America e l'Africa/diventeranno polvere».
Luigi G. de Anna

2 commenti:

APO ha detto...

Fuoco fatuo non è l'unico romanzo da cui è stato tratto un film.
Nel 1976 Pierre Granier-Deferre girò "Una donna alla finestra" tratto dall'omonimo "Une femme à sa fenêtre" che Drieu pubblicò nel 1930.

APO ha detto...

"Fuoco fatuo" non è l'unico film tratto da un romanzo di Drieu.
"Una donna alla finestra" è un film del 1976 diretto da Pierre Granier-Deferre, tratto dal libro omonimo di Drieu del 1930.
Ha ricevuto due nomination ai Premi César 1977, fra cui quella per la miglior attrice a Romy Schneider, che dà vita e illumina il film.