giovedì 14 aprile 2011

"Il volo della cicala" di Giorgio Ballario (la recensione di Errico Passaro)

Articolo di Errico Passaro
Dal Secolo d'Italia del 14 aprile 2011
Abbiamo conosciuto Giorgio Ballario con i "gialli coloniali" del maggiore Morosini. Ora lo ritroviamo con una vicenda ambientata ai giorni nostri, Il volo della cicala (edizioni Angolo Manzoni, pp. 286, € 14, originale versione a stampa con caratteri grandi in corpo 16, punteggiatura evidenziata, interlinea ampia, carta avoriata antiriflesso), in cui da prova di ecletticità e flessibilità nell'adattare stile e ritmo della narrazione al diverso contesto.

Il protagonista si chiama Hector Perazzo ed è un Charles Bronson alto 1 metro e 90 con trascorsi da sbirro bastardo nella dura polizia argentina. Sulla cinquantina, si barcamena fra gli incerti del mestiere in quel di Torino, con pragmatismo appena screziato da qualche colta citazione dai Genesis e dai Jethro Tull e da qualche rigurgito di sentimentalismo.
«Un antieroe contemporaneo, molto più anarchico e solitario, che in un mondo di rovine cerca di trovare un equilibrio facendo ricorso alla sua coscienza e a poco altro». Un bel giorno, viene incaricato di scovare il giovane Marzio, che ha avuto la bella pensata di rubare il manoscritto inedito di uno scrittore di bestseller, scappare a Creta e qui, non contento, rubare una partita di droga ad un banda di trafficanti slavi. Hector, aiutato un po' dalla fortuna, un po' da una compagnia scombiccherata formata dalla fidanzata e dall'amante di Marzio e da un vecchio poliziotto locale in pensione con annessa nipote, riesce a rintracciare il fuggiasco per poi…Qui ci fermiamo per non tradire il patto non scritto fra recensore e lettore di gialli, che vieta anche solo di accennare a un possibile scioglimento della trama, pena esser sottoposto a sadiche torture da Misery non deve morire! Si avverte fin dalle prime pagine una sospetta sensazione di familiarità con i personaggi e le situazioni della tradizione "hard-boiled": un investigatore un po' sfigato e sopratutto sconosciuto, specialista nel fiutare i guai e tuffarcisi a capofitto, a capo di una scalcinata agenzia; il racconto in prima persona; ed altri ammicchi dello stesso autore all'interno del testo come quando dice «Ecco, se fossi stato protagonista di un detective movie hollywoodiano, a quel punto il mio anfitrione avrebbe chiesto se volevo un drink». È proprio questo modo disincantato di trattare i luoghi comuni del genere, il tono umoristico con cui è raccontata la commedia umana che riguarda Hector e i suoi comprimari, a farci pensare che Ballario voglia prendere le distanze dal genere. In realtà, il Giorgio nazionale non ci pensa nemmeno a smarcarsi dai "topoi" del genere: il pubblico di lettori vuole gialli, e ci sono in giro molto volenterosi e/o talentuosi scrittori esperti nel ramo e ben contenti di servirgliene.
Certo, c'è in lui più Camilleri che Hammett, anche nelle divagazioni gastronomiche e paesaggistiche. Quando non scrive romanzi, si occupa di cronaca nera e giudiziaria per La Stampa, e si vede: riesce a essere davvero credibile nel descrivere il sottobosco criminale che ha contaminato l'ultimo paradiso perduto di una Creta dalle meravigliose reminiscenze veneziane. Lo stile è sobrio, senza effetti speciali, strettamente funzionale a una vicenda che si consuma a strappi, con improvvise accellerazioni seguite da lunghi rallentamenti. Nello sforzo di distinguersi dai suoi padri letterari senza tradirne l'insegnamento, sottopone il canovaccio a modifiche genetiche appena accennate, che si traducono in una formula narrativa che potremmo definire con l'ossimoro "noir mediterraneo": una storia nera, dove la cupa vicenda criminale risalta per contrasto sullo sfondo luminoso dato dagli scenari greci, sul piano esteriore, e dai caratteri positivi della maggior parte dei personaggi, sul piano interiore. Non mancano punzecchiature politiche, come quella sulla «classe dirigente bancario-progressista…. il club neoaristocratico …che risiede in collina, vota a sinistra ma tiene il portafogli saldamente a destra»; ma sono inserite a pettine nella narrazione, quasi per caso, senza alcuna apparente intento programmatico, asolo per dare maggior spessore allo scenario di riferimento. Insomma, un romanzo di tutto rispetto, che forse non sarà ricordato nelle antologie di letteratura italiana dei prossimi secoli - e forse neppure nei dizionari specialistici - ma certamente è degno di stare alla pari di tante altri esempi delle scuole anglosassoni, francesi e scandinave sugli scaffali delle nostre librerie. Un prodotto professionale, costruito con attenzione e passione per il dettaglio. Preferiamo il Ballario delle indagini nell'Africa coloniale fascista, ma anche questo nuovo Ballario, per dirlo con il linguaggio figurato della parlata contemporanea, "ha il suo perché".
Errico Passaro

Nessun commento: