giovedì 14 aprile 2011

Ranxerox, un pugno pop allo stomaco dei moralisti

L'attualità di Tamburini a 25 anni dalla scomparsa
Dal Secolo d'Italia di giovedì 14 aprile 2011
L’appuntamento è per il prossimo 29 aprile, quando al Comicon di Napoli si aprirà il sipario sulla mostra Echi di Tamburo: Stefano Tamburini tra grafica, musica & fumetto, il percorso antologico di uno dei più geniali innovatori della cultura pop italiana. Vissuto in fretta e dimenticato frettolosamente. Nato a Roma il 18 agosto del 1955, Stefano Tamburini – Steve Tamburo per gli amici – è morto nella capitale poco più che trentenne per un misterioso malore (overdose?) in un indefinito giorno di aprile del 1986. Venticinque anni fa. Il corpo venne ritrovato solo una decina di giorni dopo il decesso nel suo appartamento romano.  
Nella sua città, in località Mezzocammino – la cui toponomastica è stata recentemente invasa dalle nuvole parlanti – una strada è stata dedicata anche a lui, ma l’impatto creativo del “papà” di personaggi come Ranxerox e Snake Agent e di riviste come Cannibale e Frigidaire sulla società italiana degli anni Settanta e Ottanta, va ben oltre i confini del fumetto.
Se il suo nome è legato soprattutto all’impresentabile Ranxerox – il tecnocoatto più coatto mai apparso sulle tavole disegnate, icona dei turbolenti anni Settanta – pochi altri come lui sono stati in grado di muoversi con altrettanta competenza e disinvoltura di media in media, condizionandone, se non addirittura rivoluzionandone, linguaggi e stili. Inventore, prima ancora che fondatore, di riviste. Autore, sceneggiatore e disegnatore di storie, sempre pronto a lanciarsi in nuovi percorsi creativi per apporvi il proprio “segno” distintivo: nei comics come nella grafica pubblicitaria e persino, negli anni Ottanta, nella moda.
Irriverente per temperamento e visionario al punto di creare e lanciare tendenze, Tamburini ha introdotto proprio con Ranxerox nel 1978 – l’androide protagonista in una Roma futuribile e incresciosamente simile a quella attuale – l’estetica del coatto che dilagherà nei decenni successivi e sarà ripresa e sviluppata sul grande schermo da Carlo Verdone e in note da Elio e le storie tese (col supergiovane) e dal supercafone de Er Piotta, motivetto-tormentone a cavallo tra i Novanta e il Duemila. Così come l’idea del robot dalle sembianze umane troverà “eco” – per tornare al titolo della mostra napoletana – in tante produzioni successive. Per non parlare della cupezza decadente degli scenari metropolitani che rappresentano il contorno delle tragicomiche storie di Ranxerox, con città multipiano rese invivibili dall’irrefrenabile escalation di una violenza iper-realistica sempre più indiscriminata, che anticipano le atmosfere post-urbane di Blade Runner, il film di Ridley Scott che uscirà nel 1982, e della cinematografia a seguire, da Pulp fiction sino ai giorni nostri.
Quando, nel maggio del 1977, decide (con Marco D’Alessandro e Massimo Mattioli) di fondare una rivista a fumetti che dia voce al movimento, una fanzine di taglio avanguardistico, la battezza Cannibale e non è certo un caso se, parecchi anni dopo, un gruppo di scrittori col dichiarato intento di scuotere il sonnacchioso mondo letterario italiano prenderanno a prestito tale nome per definirsi. Con la differenza che l’originalità, unita al coraggio di osare, è patrimonio che non si può trasferire con un copia e incolla.
La pubblicazione sul numero zero di Cannibale di «Rank Xerox, un fumetto pieno di violenza gratuita» – come viene annunciato – è un pugno nello stomaco dei benpensanti per la sfrontata carica eversiva che portava con sé, figlia del nascente movimento punk, appena mitigata dalla feroce ironia. Niente di paragonabile a eroi rassicuranti e dall’inappuntabile correttezza etica come Tex, Zagor o Corto Maltese. Il nostro si fa di vinavil, ama una Lolita tossica e ninfomane, e altro non è che una macchina spaccaossa. Diciamocelo chiaramente: se ne frega di ogni convenzione sociale.
L’idea di questo Pinocchio trash, grottesco e post-moderno – come raccontò lo stesso Tamburini – gli venne in autobus, mentre tornava all’università dopo gli ennesimi scontri con la polizia. «Vidi una fotocopiatrice usata e presa a calci – riferì in una delle rare comparizioni televisive – e pensai che uno studente di elettronica avrebbe potuto trasformata in qualcosa di più cattivo e bellico». Nasce così, nella versione iniziale, Rank Xerox: viso schiacciato e nascosto da una maschera da saldatore, asciutto, magro, nervoso, «più politicizzato in sostegno del movimento», meno spettacolare e colorato di quel che diventerà, «un eroe muscolare alla Marvel» quando i disegni saranno affidati al tratto di Tanino Liberatore, «il Michelangelo del fumetto»(nella foto).
L’azienda multinazionale da cui il nome era stato mutuato, del resto, non si mostrò lusingata dalla pubblicità e, temendo che il proprio marchio potesse essere danneggiato dall’accostamento con un personaggio «le cui imprese sono un concentrato di violenza, oscenità e turpiloquio», indusse gli autori a modificarne il nome in Ranxerox. Certamente senza immaginare che questo elettrocomposto anarchico-individualista nel giro di pochi anni sarebbe stato tradotto e stampato in oltre trenta paesi, diventando un vero e proprio cult dell’immaginario collettivo contemporaneo, arruolato insieme a Che Guevara quale testimonial nelle manifestazioni studentesche.
Dopo una breve apparizione nel 1979 su Il Male, questo Frankenstein punk approda su Frigidaire – la rivista cui Tamburini nel 1980, scegliendone nome e veste grafica, dà vita con Vincenzo Sparagna e Filippo Scozzari – dove rimarrà fino alla morte del suo creatore. Se inizialmente è Tamburini a occuparsi dei testi e dei disegni, coadiuvato per questi ultimi da Andrea Pazienza – nato nel 1956, morirà anch’egli prematuramente nel 1988 – le storie a colori pubblicate sulla nuova rivista vengono affidate graficamente al solo Liberatore. Le avventure di Ranxerox, in realtà, erano frutto del lavoro di gruppo di tre coetanei di talento, Tamburini, Liberatore e Pazienza, anticipando, nel metodo dell’opera collettiva, gli esperimenti di Blisset e di Wu Ming.
Tamburini, oltre a Ranxerox, per la nuova rivista crea le storie di Snake Agent (recentemente ristampato dalla Coniglio Editore) sperimentando un innovativo metodo di espressione grafica: «il primo tentativo di fumetto dove la figura del disegnatore risultasse completamente obsoleta», ovvero la manipolazione di vecchi comics degli anni quaranta in nuove forme. Scrive articoli graffianti e recensioni musicali – per lo più stroncature che mirano a smitizzare il rock esattamente come aveva fatto col fumetto tradizionale – firmandosi Red Vinyle. Zero mecenati e poca pubblicità. «Era la suggestione – ha raccontato Sparagna, ancora in sella come direttore della rivista, da giugno 2010 tornata autonomamente in edicola – di mettere insieme autori con segni e stili molto diversi fra loro. E di metterli “al freddo” per congelare i bollori dell’ideologia e innalzare il fumetto al ruolo che non aveva mai avuto». Non solo Fumetti, però. Anche reportages, costume, arte e poesia. Tutto frullato insieme per offrire un’alternativa estrema e forse velleitaria al riflusso, il doppiopetto con cui il nuovo decennio sembrava voler fare piazza pulita della creatività dei Settanta. «L’idea era che la satira riprendesse dopo la cupezza di quegli anni – ha spiegato Sparagna – i terreni della sperimentazione. Frigidaire lesse in anticipo il degrado in divenire, l’abbrutimento della società, un nuovo prototipo di mostro che, di lì a poco, avrebbe conquistato spazi. Ci siamo permessi molte licenze, assorbendo le istanze delle nuove generazioni cresciute leggendo il primo Frigidaire».
Quanto rimane di attuale di questa esperienza, a distanza di un quarto di secolo? Per scoprirlo non rimane che visitare la mostra di Napoli, curata da un appassionato competente: Michele Mordente che, già nel 2006, ha pubblicato Banana meccanica (Coniglio Editore), antologia completamente dedicata all’opera di Stefano Tamburini e arricchita dagli interventi critici e dai ricordi di Pablo Echaurren, Vincenzo Sparagna, Gianfranco Grieco e Carlo Branzaglia.
Rimane un’amara constatazione: «C’è più violenza oggi per le strade – ha detto tempo fa Tanino Liberatore – che in Ranxerox».
Roberto Alfatti Appetiti

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