lunedì 9 maggio 2011

Duro l’ex sed ex (di Marcello de Angelis)

Duro l’ex sed ex
di Marcello de Angelis

I giornalisti italiani sono quelli che, se sei stato beccato a diciott’anni con uno spinello e per i successi quarant’anni hai fatto il medico missionario, alla tua morte titoleranno: “è morto un tossico”. Questo accadrà anche a me, di sicuro, con buona pace della regola deontologica del “diritto all’oblio” secondo la quale a trent’anni dall’accaduto, una certa cosa della vita di un personaggio non dovrebbe più essere menzionata. Ma chi se ne frega.  
E’ comprensibile che uno come Grillo, che fa la schedatura dei condannati in Parlamento, non gradisca che si rievochino le sue vicende giudiziarie, oppure che qualche parlamentare dipietrista debba nascondere di essere stato perseguito in passato, ma io, francamente non ho nulla di cui vergognarmi.
O meglio, nulla che sia affare altrui, con la mia coscienza me la vedo io.
Mi si consenta il disprezzo per i cronisti di ultima generazione che per scrivere qualcosa su di me fanno copia e incolla da internet sottolineando, per incapacità professionale, solo le cose più rumorose. L’alfabetizzazione ha generato un grande equivoco, secondo il quale chi sa scrivere diventa automaticamente intelligente. Invece uno stupido resta tale anche se sa usare bene uno strumento – com’è la scrittura. Succede lo stesso con le scimmie. Uno è stupido perché non sa distinguere il valore delle cose, non perché non sa leggere. Purtroppo alle loro stupidaggini si dà grande diffusione ed è come mettere un mitra in mano ad un bambino.
Comunque, pare che io sia un ex di moltissime cose il che, per uno che ha poco più di cinquant’anni dovrebbe essere un titolo di merito. Sicuramente è un elemento di interesse – e forse anche un po’ di invidia – per uno che magari, con dieci anni di meno, ha al suo attivo solo un’attività sedentaria da spazzino di cronaca.
Ex-terrorista. Questa, lo ammetto, è quella che mi dà più fastidio. Non solo per la gravità dell’accusa, ma perché è anche un po’ sordida. Uno pensa che ad un essere senziente ne apparirebbe immediatamente logica l’assurdità: essere un terrorista non è come essere – chessò – alcolista. Non è che ad un certo punto ti disintossichi da una pratica stragista. Pensi che dovrebbe essere scontato per tutti che per essere definito un terrorista dovresti aver compiuto – almeno – un “atto di terrorismo”. Dovresti aver ucciso qualcuno o almeno averci provato. O magari messo una bomba, o averla fabbricata. O aver posseduto delle armi o aver pianificato degli attentati. Nulla di tutto questo, invece. Aver teorizzato la lotta armata, allora? Al contrario – e documentatamente!
Eppure sono stato condannato – ahimé – per aver cospirato, secondo l’accusa, al fine di costituire una banda armata con finalità sovversive. “Cospirato”, nel senso che a diciotto anni – e ovviamente in compagnia di altri cinque, perché per far scattare il reato associativo bisogna essere “in numero superiore a cinque” – abbiamo “immaginato” di costituire una banda armata. “reato di pericolo presunto o pericolo del pericolo” lo definì il Pm. Per questo fui condannato a cinque anni e sei mesi, cioè di più di quanto presero i fiancheggiatori della Baader-Meinhof presi con una macchina carica di esplosivo.
Colgo l’occasione per chiarire un fatto ultradocumentato – ma i giornalisti hanno abbandonato anche la pratica di “verificare le fonti”, non leggono le carte processuali bensì si copiano l’un l’altro o si documentano su fonti anonime di internet – e cioè che il movimento di cui facevo parte, Terza posizione, che con leggerezza viene definito “il gruppo terroristico”, non ha mai subito alcuna condanna per alcun tipo di reato ed era ed è rimasto quindi un movimento totalmente legale e senza macchia persino per la magistratura italica di quegli anni particolari. Si può verificare la cosa al tribunale di Roma, se si vuole. Io, quindi, pur innocentemente vessato e condannato, non lo sono stato per la mia appartenenza a Tp, bensì per essermi concesso – all’insaputa del resto del gruppo – delle “masturbazioni intellettuali” su un’irrealizzata ambizione a dar vita al mio piccolo esercito. Questo sempre nella testa del Pm.
Potrei andare avanti ma in realtà sto annoiando persino me stesso.
Direi in conclusione che chiunque immagini che uno possa essere un Carlos, un Bin Laden o un Abu Nidal e poi, all’improvviso, mettersi a fare il parlamentare è ovviamente un mentecatto oppure è in malafede. Io, comunque, a scanso di equivoci, vistomi negare la giustizia fino al terzo grado, piuttosto che subire un ingiusto esilio ho preferito subire un’ingiusta carcerazione. Mi sono costituito e ho fatto tre anni di carcere, estinto la pena, ottenuto la cosiddetta “riabilitazione” – che, assurdamente per alcuni, prevede che dopo che hai “pagato il debito con la giustizia” e non hai commesso altro, dopo più di cinque anni ottieni la cancellazione del “pre-giudizio”. Che ovviamente resta comunque nelle memorie dei computer redazionali…
Ex-cantante. Lo ammetto: ho sempre avuto una passione per la musica. Mio nonno era un cantante lirico e io ho avuto una buona educazione. So suonare, cantare, scrivere musica e me la cavo bene anche con i testi. Ho scritto parecchie decine di pezzi, poco meno di un centinaio. Argomenti vari e vari stili musicali. I giornalisti, ovviamente, ne ricordano due o tre (che non hanno mai sentito) e in particolare una o due frasi, estrapolate dal testo, che “smascherano” la mia vera natura. La preferita di tutte le testate – inclusa la cosiddetta “stampa di centrodestra” che spesso ci mette il carico – recita “vieni a passeggio con me su Ponte Mussolini…”. Chiara ammissione nostalgica secondo molti. Eccetto per gli ultrasessantenni che abitano a Roma Nord, dove è noto a tutti che il Ponte in questione si chiama oggi Corso di Francia, ma che i vecchietti del quartiere lo chiamano ancora col nome appreso da bambini, così come chiamano Foro Mussolini l’attuale Foro italico. Mia madre lo chiama così da sempre e non è mai stata fascista. Comunque, come dicono i poeti, “basta una canzone…”. E per molti scribacchini basta una canzone per sapere tutto di te. Persino quello che tu stesso non sai. Comunque non sono un ex. Canto ancora, anche se solo per il mio bambino.
La stessa canzone – ad onor del vero – dice anche “piovon fiori su Piazzale Loreto” e – seppur ispirandosi ad un “canto” di Ezra Pound – vuol dire esattamente quello che tutti pensano: un gesto di umana pietà per i corpi straziati di due amanti vittime di uno degli episodi più barbari della nostra storia recente, che gli americani non esitarono a definire “da macelleria messicana”…
Ex-picchiatore. E’ una sottomarca di “ex-terrorista”, alternativa anche ad “ex-estremista”, “ex-latitante” (categoria che meriterebbe qualche riga in più, ma perché allungare il brodo?), “ex-duro” ecc. ecc. Confesso che spesso mi è venuta la voglia di dimostrare che anche su questo versante potrei non essere totalmente ex… Ma poi ricordo che ho una lesione alla cervicale e una spalla rotta e abbasso le penne. Anche in questa definizione però c’è qualcosa di particolarmente infame: non intende infatti significare che avessi una prestanza fisica o che praticassi l’arte della box, bensì che il mio attivismo politico, come quello di tutti i “fascisti”, consistesse nell’andare in giro a pestare giovani democratici e operai, sia per lavoro che per gusto personale.
Ex-rugbista. Ad un certo punto è uscita anche questa. Anch’essa con un fondamento ma soprattutto con una strumentalità. Si, appartengo ad una famiglia di rugbisti. Si, è uno sport che adoro, anzi, l’unico per cui valga la pena andare allo stadio. Ho giochicchiato, con scarse qualità malgrado l’entusiasmo. Scarso soprattutto nei passaggi lunghi, ma resto un buon placcatore. Entro su tutti e una volta – quando ero più leggero ma molto più veloce – prendevo quasi tutti. Ho fondato l’associazione dei parlamentari amici del rugby. Con il collega Giovanni Fava ho presentato una proposta di legge per ottenere una garanzia di Stato a copertura della nostra candidatura ai mondiali di Rugby.
Ma venni definito “ex-rugbista” da un giornalista del Corsera a margine di una cronaca di un confronto fisico avvenuto alla Camera – al quale in realtà io risultai estraneo – nel quale il deputato Barbato dell’Idv, alla sua ennesima provocazione e dopo aver rivolto insulti a sfondo sessuale alle colleghe ex-An, aveva rimediato un sonoro ceffone. Per dare più enfasi al racconto, il cronista, nominando me e Rampelli, ci definì ex-rugbista ed ex-nuotatore, per veicolare l’immagine di due bestioni che aggredivano la povera verginella. Ci sono vari modi per mistificare la realtà e alcuni giornalisti li conoscono proprio tutti…
Ex-militante. Questa è proprio sbagliata, perché militante non ho mai smesso di esserlo. Ho cominciato a tredici anni e ho continuato ogni giorno della mia vita. E non prevedo di smettere.
Marcello de Angelis

2 commenti:

Claudio ha detto...

Spesso non sono d'accordo con lui, ma sinceri auguri a De Angelis per la sua nuova avventura alla direzione del Secolo, quotidiano finalmente tornato a destra e non più fotocopia dell'Unità.
Di certo, con De Angelis alla guida, saranno inevitabilmente smentite le previsioni della propaganda finiana che dipingevano il futuro Secolo d'Italia come totalmente asservito a Berlusconi.
Per quanto riguarda invece il passato di De Angelis non aggiungo altro, ha già detto tutto lui.

giovanni fonghini ha detto...

Prima di tutto complimenti a Roberto per il simpatico calembour del titolo. A proposito di Marcello de Angelis la sua vita e il suo operato parlano per lui. Io lo stimavo ieri e ancor più lo stimo oggi. Quando dice "invece uno stupido resta tale anche se sa usare bene uno strumento - com'è la scrittura" condivido in pieno. Sono certo che opererà bene anche in questa nuova avventura giornalistica del mio amato Secolo d'Italia. Voglio che rimanga una voce libera, ribelle e non conforme. In bocca al lupo Marcello.