Dal Secolo d'Italia del 17 maggio 2011
Era già tutto previsto. Ampiamente previsto. Ci vorrebbe la voce roca (e incazzata) di Riccardo Cocciante, per esprimere la rabbia del popolo bianconero: deluso e tradito da quella che, stando alle parole di Giorgio Chiellini, «non è mai stata una squadra».
Prestazione ancora una volta da dimenticare: imbarazzanti i singoli, carattere non pervenuto, giocate prevedibili. Il rischio di una clamorosa esclusione dalle coppe europee, ora, è quanto mai concreto: a distanza di vent’anni la Juve rimarrà alla finestra, a meno che non riesca a vincere col Napoli e – eventualità persino più remota – la Roma non vada a perdere a Genova con la Samp, per quanto già retrocessa. Una débâcle così alla vecchia signora non capitava dalla stagione ’90/’91, allenatore Gigi Maifredi. Da un Gigi all’altro. Del Neri, dalla sua, ha fatto sapere che non si dimetterà. «Faccio il mio lavoro al massimo», ha detto. Sale sulla ferita (aperta) è l’ironia del “Rompi pallone” di Gene Gnocchi: «Del Neri è un allenatore adatto per le piccole squadre. Quindi rimane». Piccola davvero, la Juve di Agnelli e Marotta. Loro, la responsabilità per una campagna acquisti mediocre. Per non parlare delle cessioni, inspiegabili. Significativo, infatti, che al Tardini di Parma, domenica, a firmare la vittoria della squadra di casa sia stato proprio l’ex Sebastian Giovinco. Con un gol dei suoi: spettacolare. Mai stato in discussione il talento della formica atomica, né il suo attaccamento alla maglia. Perché è stato bocciato? Considerata la voglia di giocare e la classe cristallina, vien da pensare che il motivo risieda in qualche centimetro in meno. Eppure ha quello che è mancato ai bianconeri: tasso tecnico, fantasia e personalità. A fine stagione il bilancio è impietoso. Le poche eccezioni positive arrivano dalla vecchia guardia: capitan Del Piero su tutti, highlander al quale il Guerin Sportivo ha appena dedicato un imperdibile numero mensile (Gs Storie); Grosso, scelleratamente messo fuori rosa e poi richiamato in corso d’opera; Marchisio, ancora giovane ma col piglio giusto. Le chiacchiere – gli infortuni, le disattenzioni arbitrali, il destino cinico e baro – stanno a zero. Per gli Agnelli forse è arrivato il momento di sacrificare qualche gioiello di famiglia e portare nel nuovo stadio gladiatori motivati e allenatori all’altezza della situazione. Tutto il resto – per dirla con Califano, dopo aver aperto con Cocciante – è noia, maledetta noia.
Roberto Alfatti Appetiti
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