martedì 14 giugno 2011

"Il suono del colore", il tennis diventa poesia nell'ultimo libro di Clerici (di Michele De Feudis)

Articolo di Michele De Feudis
Dal Secolo d'Italia del 14 giugno 2011
Oltre la fotografia razionale di un avvenimento sportivo, c'è il genio artistico. Il gioco diventa allora lo spartito su cui inserire le note dell'anima del giornalista. Perché al di là della tensione dei muscoli, del pathos del pubblico, delle riproduzione del conflitto su un campo da calcio o su un rettangolo tennistico di terra rossa, è la narrazione che trasforma i protagonisti in eroi del racconto moderno. In questa letteratura sportiva eccelle Gianni Clerici, giornalista de “La Repubblica” e scrittore, autore di “Mussolini. Ultima notte”; “Una notte con la Gioconda”, e adesso anche de “Il suono del colore” (pp. 142, euro 15, Fandango Libri), una raffinata silloge nella quale scorrono i versi poetici del Grande Scriba.  
Nella postfazione, Mario Desiati, scrittore pugliese (tra i favoriti nel prossimi Premio Strega con “Ternitti”) puntualizza: “In questo libro c'è un pezzo importante dell'anima di Gianni Clerici. Scrittore non catalogabile, autore che oscilla tra i diversi generi letterari, è conosciuto dal grande pubblico grazie alla liricità delle sue cronache tennistiche. Eppure l'essenza di Clerici è nella letteratura, il romanzo certo, ma anche nella poesia, demone autentico della sua scrittura. (...) Il suo dio è in poesia, e lo accompagna in tutti questi anni nei quali Clerici ha costruito con tenacia una poetica che in questa raccolta emerge in tutto il suo nitore”.
La voce ironica e coinvolgente che commenta il tennis – il “Time” addirittura lo ha catalogato come l'ideatore di un originale “italian style” - non cambia timbro nei versi poetici, attraverso i quali perfeziona il proprio sguardo incantato sul mondo.
“Il suono del colore” si divide in capitoli, il primo intitolato “Habitat”, il secondo “Tennis”, il terzo “Animalia”, il quarto “Calliope”, il quinto “Diario”. Ma è la fantasia e l'affresco dei versi sul mondo della racchetta, tra campioni dalla battuta potente e divinità coperte solo da gonnelline a certificare come oltre il freddo resoconto giornalistico, ci possa essere spazio per l'arte sublime ritrattistica. Come in “Gesti bianchi”: “Gesti bianchi/ bellezza improvvisa/ svanita in uno sguardo/ invisibile ai più/ su uno sfondo di prato/ fiorito di rimbalzi/ gialli incandescenti/ arte di un istante/ trionfo imperante”. Ed il pensiero vola ad occhi femminili ed all'immediatezza del lampo che scaturisce dagli occhi di una tennista. La poesia “Venus”, dedicata ad una delle sorelle Williams, a lungo regine nei campi da tennis di tutto il mondo, è l'acme di una devozione per l'atleta americana. “Fragole con panna/ nella tua bocca rosa / tra le tue labbra/ Venus/ tornata a dominare/ su chi ti rese schiava/ ti imprigionò su navi destinate al cotone/ Riscattata dal genio/ di gesti bianchi usciti dalle/ dalle tue mani nere/ Tu Venere regale/ prodigio suscitato/ dalla schiuma del mare”. Ecco l'aneddoto che ne rivela la genesi: “Durante una conferenza stampa – racconta Desiati – tutti i giornalisti sportivi presenti prendevano la parola per domandare alla campionessa le solite curiosità al termine dell'ultimo match. Finché non arrivò il turno di Clerici. Scese il silenzio perché le domande che Clerici rivolge alle tenniste hanno sempre qualcosa di irrituale, divertono, e appassionato i colleghi più giovani e lasciano sempre una scia di discussione. Lo fu anche in quella circostanza. “Non ho domande per Venus, le vorrei soltanto baciare il ginocchio perché lei porta il nome della dea della bellezza”. Venus Williams stette al gioco e si fece baciare la regale, anzi la divina giuntura... La conferenza stampa non fu più quella che era stata sin da allora e si iniziò a parlare di mitologia greca, a discettare di Venere/Afrodite e seppellire per una volta l'analisi dello stato di forma oppure l'incidenza della prima di servizio”. In versi poetici rivive la maestosità di Stefan Edberg, riabilitato dalla definizione che ne diede Giampiero Galeazzi, chiamandolo “Tacchino freddo”): “Addio ala d'angelo/ tenere piume disperse sui court/ eco di bellezza ormai lontano/ addio Stefan”. I “gesti bianchi” sulla terra rossa ricompaiono incastonati in un pallonetto ad effetto: “taglia il tramonto/ la traccia candidissima/ di un lob; Se la terra avvilisce/ diceva il mio maestro/ solleva gli occhi al cielo”). E proprio i versi della poesia “Da un testo Zen” esaltano la purezza dello sport, finalmente scevro dalla demonia del business, degli affari legati agli atleti, farmaco prezioso per vincere il veleno (delle cronache giudiziarie sul calcioscommesse) che spegne ogni entusiasmo e ammanta di ipocrisia ogni conquista. “Quando un arciere/ tira per niente/ il suo talento/ resta immanente/ Ma se c'è un premio/ d'argento o d'oro/ trema il suo braccio/ si offusca l'occhio/ cresce la brama/ per il tesoro/ Diviso in due/ tra premio e bersaglio/ non può l'arciere/ cogliere il centro/ perciò mirate/ diritto al cuore/ lasciate i gioielli/ ai traditori”.
L'opera conferma in pieno il pregio delle tante sfaccettature della scrittura di Clerici e il gradimento dei lettori – per le sue cronache da Wimbledon o per le sue poesie – seppellisce nel cimitero dello snobismo le ritrosie della signora Bellonci, patronessa dello Strega, che si rivolse così allo Scriba: “Ma lei è lo stesso che si occupa di sport sul “Giorno”?”. E alla domanda impertinente, Clerici rispose con serafica prontezza: “Ci mancava aggiungesse che facevo correttamente i congiuntivi”.
Michele De Feudis

Nessun commento: