domenica 26 giugno 2011

L'immagine di Céline come icona visionaria del folle "secolo breve" (di Mario Bernardi Guardi)

Articolo di Mario Bernardi Guardi
Dal Secolo d'Italia del 26 giugno 2011
«I nostri segreti finiscono nel momento in cui li portiamo all'aria aperta e in pubblico. In noi e sulla terra e forse in cielo, non c'è che una cosa terribile, ciò che non è stato ancora detto. Non saremo tranquilli finché non avremo detto tutto, una volta per tutte (…). Questo tempo verrà». Così parlò Céline.
La parafrasi scatta subito: non saremo tranquilli finché non avremo detto tutto, una volta per tutte, di Céline; questo tempo ormai è venuto. Dalla morte (1 luglio 1961) sono trascorsi cinquant'anni. E tutti stanno un po' facendo i conti con Louis Ferdinand Destouches che, fregandosene delle origini nobiliari di cui menava vanto il papà, peraltro borghesemente impiegato alle assicurazioni, scelse il "nom de plume" Céline, per onorare la nonna materna, una proletaria che pezzo per pezzo aveva saputo costruire il proprio riscatto sociale.
Raccontiamolo, Céline, raccontiamolo tutto. Un bel po' di testimonianze significative ci vengono da due libri recentemente pubblicati in Francia: D'un Céline l'autre, a cura di David Alliot, prefazione di François Gibault, (Laffont, pp. 1184, euro 30) e Une enfance chez Louis-Ferdinand Céline di Michel de Maule (pp. 164, euro 19).
Nel primo, vita e opere di Céline sono evocate seguendo un filo cronologico: dal giovane Destouches al guerriero "pacifista", dal medico dei poveri allo scrittore del Voyage, dall'anarchico vezzeggiato dalla sinistra ma ammirato anche dalla destra al ribollente, allucinato antisemita dei Pamphlets, dal collaborazionista fuggiasco per l'Europa dopo il crollo dell'Asse all'esule in patria di Meudon. Fino alla Céline-Renaissance che fa seguito alla pubblicazione di D'un château l'autre, uscito nel 1957, e primo volume della cosiddetta Trilogia tedesca (gli altri saranno Nord, 1960, e Rigodon, 1969, uscito postumo). Molti, i testimoni. Ognuno col suo contributo di ricordi, di immagini, di idee. Ognuno con il "suo" Céline.
Henri Mahé, pittore, scrittore, cineasta, rievoca il giovane medico che ha la fissa della danza (e delle danzatrici...). Infatti, nel 1926, a Ginevra, dove è in missione per conto della Società delle Nazioni, ecco il colpo di fulmine: Louis-Ferdinand Destouches, sposato, una figlia, è affascinato dalla ballerina americana Elizabeth Craig, "occhi verdi cobalto", "bocca sensuale", "lunghi capelli rosso-oro che cadono in boccoli sulle spalle", "piccoli seni sodi e arroganti". Dietro L'Eglise e il Voyage c'è una musa: lei.
Già, il Voyage. Per il cattolico François Mauriac nell'opera si rivela il male allo stato puro. Il reazionario Léon Daudet appoggia la candidatura del libertario Céline al Prix Goncourt (ma lo vincerà Guy Mazeline, con lo scipito Les loups).Tristan Tzara, fondatore del movimento Dada, ammira l'inventore di un nuovo linguaggio. Per Jean-Paul Sartre quella di Céline è «la predicazione di un Cataro, di un eretico estremista del Medioevo». Da Trotzsky a Brasillach, il Voyage piace a tutti. Ma la sinistra vorrebbe Céline tra i suoi, tra gli intellettuali "impegnati". E invece lui - che intanto ha pubblicato il nuovo romanzo  Mort à credit e, finita la storia, bella e impossibile, con Elizabeth, ha trovato la donna della sua vita in un'altra ballerina, Lucette Almanzor - annienta, con foga feroce, le mistificazioni del socialismo realizzato, dopo un viaggio in Russia, che toglie ogni velo. È il tema del suo primo pamphlet:Mea culpa. Seguiranno, tra il 1937 e il 1941, i libelli antisemiti: Bagatelles pour un massacre, L'Ecole des cadavres, Les Beaux Draps.
Céline è diventato il nemico pubblico numero uno - così lo racconta Robert Denoëel, il suo editore, destinato ad essere fatto fuori come "collabo" nel 1945 - degli ebrei e di tutte le sinistre che "gridano al pazzo, al pornografo, al venduto". Il fatto è che il Nostro, con i suoi sfoghi maniacali, le sue scatenate allucinazioni, il suo delirio effervescente e fastoso, vuol dare una risposta alla crisi dell'Occidente e lo fa prendendosela a morte non solo con gli ebrei, ma con ogni sorta di "meticciato" razziale e politico, intellettuale e morale, che metta in discussione la Francia e l'Europa "celtiche".
È un visionario? Certo che lo è. Ma in quell'argot apocalittico - che, a detta di Trotzsky e Pound, rinnovava l'eredità di Rabelais - c'è comunque un provocatore di qualità. Un uomo che scandalizza, sconvolge, fa orrore addirittura (a sentire le sue sparate antisemite, l'ufficiale e gentiluomo Ernst Jünger, a Parigi con le truppe d'occupazione germaniche, prova una sorta di ripugnanza), ma che bisogna prendere così com'è, tutto insieme, geniale e sregolato, furente e lampeggiante nel suo esaltato profetismo.
A vario titolo, è a questo che ci invitano "collabo" illustri come gli scrittori Lucien Rebatet, Robert Poulet, Jacques Benoist-Méchin, Abel Bonnard, Marcel Déat, un'icona del cinema francese come l'attrice Arletty, un grande amico politicamente non impegnato come il romanziere e drammaturgo Marcel Aymé, un "compagno di strada" del Pcf come Roger Vailland, un intellettuale ebreo come Milton Hindus, tra quelli che più si impegnarono a far conoscere l'opera di Céline negli Stati Uniti…
Qualche parola, adesso, su Une enfance chez Louis-Ferdinand Céline. L'autrice del libro è Maroushka Dodelé, promettente allieva nella scuola di danza che Lucette Almanzor, moglie di Céline, aprì nel rifugio di Meudon. Maroushka arriva in una casa che le appare subito "piena di segreti". Céline non "abita" più là, ma la sua ombra si scorge dappertutto e la sua voce sembra ancora mescolarsi agli schiamazzi del pappagallo Toto e al furioso abbaiare dei cani che continuano ad accogliere vecchi amici in visita a Lucette come Marcel Aymé, Arletty, Michel Simon. Piano piano, attraverso le confidenze di Lucette, insegnante brava ed esigente (ma anche dolcemente materna), Maroushka "incontra" il Grande Assente. Com'era? Lucette ricorda l'uomo che ha amato, affettuoso e galante, ma anche ombroso e geloso. Lo ricorda, dai trionfi del Voyage al lavoro matto e disperatissimo consacrato all'ultimo romanzo Rigodon dove Louis-Ferdinand, sopraffatto da un sovraccarico di furori e veleni, e da una tensione creativa che gli ha provocato un attacco cerebrale, si scatena in una indiavolata danza macabra. Scaraventando addosso agli "indignati" la sua indignazione e la sua verità. A noi il diritto, il dovere e l'obbligo di raccontare tutto. Perché Céline è il Novecento.
Mario Bernardi Guardi

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