Dal Secolo d'Italia del 30 ottobre 2011
I vichinghi erano già arrivati (almeno) a Terranova, i portoghesi avevano colonizzato le Azzorre ed esploratori islandesi si erano spinti fino in Groenlandia all’inizio del II secolo. Il taglio del nastro, tuttavia, spettò – il 12 ottobre del 1492 – al quarantenne Cristoforo Colombo. Domani, 31 ottobre, saranno trascorsi cinquecentosessanta anni dalla nascita del più grande navigatore di tutti i tempi, scomparso a Valladolid in seguito a un arresto cardiaco il 20 maggio del 1506.
Moriva così, poco più che cinquantenne, colui che scoprendo il continente americano ha cambiato irreversibilmente la storia del mondo. Dopo di allora, nulla è stato più come prima e nei secoli a seguire le dinamiche geopolitiche hanno radicalmente cambiato rapporti di forza, culture e condizioni delle popolazioni. L’ultimo a esserne consapevole, probabilmente, fu proprio lui, metà avventuriero e metà commerciante, in cerca di una strada più breve per le Indie. Quando le caravelle arrivarono alla fonda della baia di Bariay, a Cuba, esultò: «Es la isla mas hermosa que ojos humanos hayan visto». È l’isola più bella che occhio umano abbia mai visto. E gli abitanti tra i più pacifici. «Mancano di armi, che sono a loro quasi ignote, né a queste son adatti perché timidi e paurosi – così li descrive nella “relazione sul viaggio nel Nuovo Mondo” – e quando si vedono sicuri, deposto ogni timore, sono molto semplici e di buona fede. Non negano ciò che hanno e anzi essi stessi ci invitano a chiedere». Se solo avessero saputo cosa li aspettava, magari, sarebbero stati meno disponibili. Perché Colombo chiese oro, tabacco e pappagalli da offrire ai sovrani quali segni tangibili delle potenzialità delle “isole dell’India oltre il Gange” e una delegazione composta da una decina di indiani Taino. Altri, più avanti, pretesero altro.
Uomo dalle diverse identità: era italiano o, come a più voci rivendicato, spagnolo, portoghese o, persino, polacco? E dalle molte facce: non meno di settantuno, tanti sono i suoi ritratti presentati all’esposizione mondiale di Colombo del 1893. L’identikit più o meno prevalente lo vuole alto, con capelli biondi e occhi chiari, carnagione leggermente lentigginosa colorita di rosso scuro dalla prolungata esposizione al sole.
Criticato e osannato, sicuramente molto discusso. Non violento – lui si dichiarava così – o schiavista senza scrupoli, come altri lo hanno descritto?
Figlio di commercianti, aveva iniziato a navigare, lo ha raccontato lui stesso, quando aveva appena quattordici anni, latinizzando il nome per firmarsi, Christophorus Columbus, e utilizzando in seguito il castigliano Cristóbal Colón. Una vita ricca di avventure: prima al servizio di Renato d’Angiò, poi agente commerciale delle più importanti famiglie dell’epoca. Un anno intero trascorso su un’imbarcazione di nome Roxana. È probabile che abbia fatto parte della flotta genovese, diretta in Inghilterra, che fu attaccata da navi francesi al largo del Capo Vincenzo, scampando miracolosamente alla morte. La Grecia. L’Irlanda. L’Islanda. Lisbona. Lì, iniziò ad accarezzare il sogno di muovere rotta verso le Indie, mettendo a frutto la competenza del fratello Bartolomeo, carografo. La determinazione non gli mancava. Prima di imbarcarsi raccolse una quantità industriale di informazioni: interpellò marinai e testi come la Historia rerum ubique gestarum di Papa Pio II, l’Imago mundi di Pierre d’Ailly e il Milione di Marco Polo. Dopo rifiuti e traversie, finalmente trovò il placet della regina Isabella di Castiglia e il 3 agosto del 1492, da Porto Palos, partì alla volta della Storia. Non gli mancò la fortuna e – un classico! – un suo errore di valutazione risultò decisivo. Perché sulla strada per le Indie trovò le Americhe, altrimenti la sua spedizione sarebbe con buona probabilità perita in mezzo all’oceano o costretta alla ritirata.
Una storia che in parte si conosce e in parte non si può che affidare all’immaginazione. Da allora, in molti hanno provato a ricostruirne le gesta, misurandosi con documentazioni non sempre ineccepibili e lasciando inevitabilmente spazio alla fantasia, superando il confine della verità storica e abbracciando la leggenda. Una leggenda è che Colombo fosse l’unico sostenitore della teoria di una Terra rotonda contro la pretesa ignoranza medioevale imposta dal cattolicesimo. In realtà, l’appoggio ecclesiastico a Colombo fu determinante nel vincere proprio le resistenze dei suoi avversari all’organizzazione e al finanziamento del primo viaggio.
La sua vita, del resto, è sempre stata avvolta in un mistero talmente fitto da non poter essere raccontato esaustivamente da un manuale di storia. Ci voleva un thriller, a raccogliere e tenere insieme più indizi, tesi e opinioni. Un libro che, finalmente, qualcuno si è deciso a scrivere e che, proprio nella ricorrenza della sua data di nascita, svela i segreti dell’Ammiraglio del Mare Oceano.
La tomba di Colombo (pp. 368, € 22) – così si intitola il romanzo di Miguel Ruiz Montañez – si pone come il punto di congiunzione tra i misteri di Dan Brown e la cornice storica della Cattedrale del Mare di Idefonso Falcones. Tradotto sinora in quindici lingue e con all’attivo oltre 500mila copie vendute, il libro “sbarca” oggi nel nostro paese grazie a una giovane e intraprendente casa editrice milanese, la ZERO91, specializzata in fiction di qualità e con un catalogo che ha già segnato successi importanti: Il Canto della Notte di Camilla Morgan Davis, fantasy italiano venduto all’estero e vincitore di diversi premi; L’Orso che venne dalla Montagna di Kotzwinkl, che quest’anno ha ironicamente fatto luce sullo starbiz dell’editoria; e Di Sabbia e Di Vento di Gianni Passarelli una sorprendente storia di criminalità e gioventù.
Ed ora Colombo. Molti sono gli interrogativi cui rispondere. Dalle strane carte antiche che il navigatore consultava di continuo a quelle mappe che sembravano appartenere all’ammiraglio turco Piri Reis e che descrivono il Brasile, Cuba, l’Antartide ben prima della loro scoperta.
Come faceva questo “umile” navigatore a farsi ascoltare dai potenti della sua società, all’epoca così inavvicinabili? Tanto da poter chiedere ai massimi esponenti del suo tempo aiuto per la propria avventura. Chi era davvero? Che ruolo svolse la Chiesa nella sua vicenda? E cosa dire di quelle misteriose lettere all’interno del triangolo che sembrano essere una sorta di patto diabolico, un’invocazione al demonio Samael, protettore dei viaggi oppure il sigillo di Salomone, un potentissimo pentacolo ebraico o un talismano a carattere religioso, di stampo cristiano.
Il mistero di Colombo risiede anche nei suoi resti. Della disputa sulla “vera” tomba se ne è parlato in più occasioni, fino alla prova finale Dna che, nel 2003, avrebbe confermato che la vera tomba di Cristoforo Colombo sia quella posizionata nella cattedrale di Siviglia. E delle sue due tombe così atipiche e “strane” e del segreto che potrebbero custodire parla anche il romanzo, il cui incipit parte proprio da lì: nella Repubblica Dominicana, a Santo Domingo, qualcuno vìola la Tomba di Cristoforo Colombo. I resti del grande esploratore vengono trafugati. Il clamore è grande quanto il mistero che accompagna quel furto. Delle preziose reliquie non è rimasta alcuna traccia fatta eccezione per un ideogramma non decodificabile che rimane l’unico indizio. In Spagna, a Siviglia, anche sulla facciata principale della Cattedrale della città, che custodisce parte delle reliquie di Colombo, appare improvvisamente quel misterioso ideogramma. Non è un segno casuale perché indica un secondo furto. Il caso non può seguire un normale percorso di indagini: ecco perché vengono coinvolti tre investigatori che riconoscono immediatamente, in quel segno distintivo, «non solo il tratto comune di quei ladri sfuggenti ma la firma utilizzata dallo stesso Colombo durante i suoi viaggi straordinari». Questa sarà la chiave per risolvere il mistero. Un giallo che non solo indaga sull’eredità mistica del personaggio ma si ripromette di cambiare «l’immaginario comune su un uomo che ha unito il nuovo al vecchio continente».
Questa è la pista da seguire per risolvere il mistero. Talmente complicato che, per affrontarlo e possibilmente per risolverlo, ci voleva un ingegnere, per di più laureato in scienze economiche: Miguel Ruiz Montañez (Malaga, 1962), da dieci anni professore associato presso l’Università di Santo Domingo. Viaggiatore irrequieto, ha visitato tutti i continenti e non c’è angolo del mondo in cui non sia stato, sempre alla ricerca di misteri e di enigmi irrisolti. In uno dei suoi viaggi, durato più di dieci anni, è stato nominato professore associato presso l’Università di Santo Domingo, nella Repubblica Dominicana, che è servita da ispirazione per il suo primo romanzo.
Così come la figura di Cristoforo Colombo ha ispirato esploratori di ogni latitudine, donne e uomini che hanno battuto sentieri inesplorati, anche se in pochi hanno prodotto cambiamenti appena paragonabili a quelli che ha generato Colombo. Ce ne viene in mente uno solo: Steve Jobs. E lo ha fatto senza viaggiare, se non con la fantasia. Ma la determinazione, l’ostinazione a non arrendersi di fronte alle difficoltà, la visione di un mondo che altri non avevano il coraggio e la forza di vedere, ne fanno il Colombo dei tempi moderni. Difficilmente potremo tornare indietro e chi verrà dopo di noi si interrogherà sul come facevamo (noi) a vivere senza quel mondo che Jobs ha immaginato e realizzato per gli uomini del futuro. C’è già giurarci: come per la scoperta di Colombo, gli effetti non saranno tutti positivi e ci sarà da discutere, sì. Ma dopo aver preso atto della realtà che hanno inventato.
Roberto Alfatti Appetiti
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