Sergio Bonelli era cresciuto nell’odore dell’inchiostro di china, nutrito dalle fantasie degli eroi creati dal padre Gian Luigi. Eppure aveva i piedi ben piantati in terra, capace come fu di trasformare la casa editrice in un gigante a livello internazionale
Intervista a cura di Fabrizio Caporaletti
Da Area di ottobre 2011
C’era una volta un tempo nel quale per essere considerati eroi non c’era bisogno di alabarde spaziali e di razzi intergalattici, né di aver visto navi in fiamme al largo dei bastioni d’Orione o i raggi beta balenare vicino alle porte di Tannhauser. Bastava una mascella alla Amedeo Nazzari, un cappello alla cow boy, un Winchester o una Colt 45 in mano - ma anche un tomahawk andava bene - e il gioco era fatto. Se poi l’eroe bazzicava tra Arizona, Colorado, New Mexico e Manaus, parlava l’inglese o il portoghese, beveva, cavalcava o guidava aerei scalcinati, non c’era dubbio: era Tex, oppure Zagor, o Mister No, il fascinoso pilota amante delle sbronze.
Ma cos’è che unisce personaggi così diversi, oltre a condividere lo stesso universo narrativo? È presto detto: di questo strano mondo a due dimensioni, lo scomparso Sergio Bonelli era il padre adottivo. O almeno il fratello, considerato che il compianto Sergio, proprio come Tex, era figlio di Dante Traini, fondando così la “Redazione Audace”. Bonelli rivoluzionò il genere in Italia, mutando la formula da “giornale” (ossia che pubblicava più storie contemporaneamente a puntate) ad “albo giornale”, con un’unica storia a puntata.
L’Audace, che presto mutò nome in Albo Audace, non sopravvisse al conflitto, e quando, nell’agosto-settembre del 1945, tornò in vita, s’era perso qualche pezzo per strada. La supervisione della collana infatti era passata nelle mani di Tea Bonelli, ex-moglie di Gian Luigi, e il nuovo corso prese il via in sordina, con la riproposizione dei vecchi successi. La sede della società editrice intanto s’era trasferita a casa della signora Tea, dove viveva anche il figlio Sergio, che iniziava così la sua fulgida carriera tra strisce di carta e inchiostri di china.
Spinto dalla voglia di novità l’editore si assicurò la collaborazione di grandi firme, tra le quali prima di tutte andò a ripescare quella dell’ex-marito di Tea, Gian Luigi, che nello stesso anno, sulla scia del successo di Mandrake, realizzò Ipnos. Ma il boom si ebbe con Tex, scaturito nel 1948 dalla penna di Gian Luigi e dalla matita del disegnatore Aurelio Galleppini. Erano gli anni del “formato Bonelli”: albi squadrati, in bianco e nero, dalle 96 alle 300 pagine.
All’inizio dei ’50 lo scettro dell’immaginifico reame passava definitivamente nelle mani di Sergio, già sceneggiatore di Zagor con lo pseudonimo di “Guido Nolitta”. Mister No vide la luce nel 1975 per concludere la carriera nel 2006. Nel 1977 era la volta di Ken Parker, creato da Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo. Nel 1982 apparve Martin Mystère, fumetto-discrimine tra le serie classiche (Tex, Zagor, Mister No) e quelle del new style (Dylan Dog, Nick Raider e Nathan Never). Nel 1986 esce appunto Dylan Dog, creato da Tiziano Sclavi, un horror che raggiunse addirittura la tiratura di 800mila copie mensili.
Per ricordare Bonelli Jr abbiamo intervistato Roberto Diso, coetaneo e collaboratore di Sergio fin dagli anni Settanta. Diso è un “fumettista per caso”. Uno che da piccolo sognava di fare il pittore e che si è ritrovato a esercitare un mestiere forse ancora più appagante: quello di far sognare a occhi aperti generazioni di lettori.
Chi era in realtà Sergio Bonelli?
Sergio era un uomo molto disponibile e intelligente. Inoltre possedeva un senso dell’umorismo straordinario e una formidabile vena sarcastica. Un temperamento che lo vedeva sempre pronto a cogliere al volo i punti deboli dell’interlocutore per prendersene goliardicamente gioco. Il tutto però era condito da un’ironia benevola, per nulla acida o rancorosa. Era un tipo in grado di spaziare a 360 gradi tra le problematiche più varie, assolutamente refrattario a chiudersi negli angusti schemi dei pregiudizi o del partito preso. Un generoso che sapeva dare amicizia e riceverne. Chi lo conosceva, al funerale ha sofferto come per la perdita di una persona cara.
Quanto di Sergio c’era negli eroi bonelliani?
È difficile dirlo. Di Tex, ad esempio, in Sergio c’era ben poco. Tex era più che altro “appannaggio” paterno. Sì, in Aquila della Notte era presente più che altro Gian Luigi, che come il capo navajo e i suoi pard era un uomo tutto d’un pezzo, un rullo compressore pronto a travolgere nemici e avversità spianandoli senza starci a pensare due volte. Tex insomma era un eroe a tutto tondo. Beveva sì, ma con moderazione. E pur se il sesso debole lo attraeva, non andava a donne, in quanto era innamoratissimo della sua perduta Lilith. Il suo punto forte era quello di non eccedere in stucchevoli fisime psicologistiche, di non essere succube del pensiero politicamente corretto. Insomma, non doveva pagare dazio a nessuno. Se era il caso di dire “muso rosso” a un indiano glielo diceva e basta. Chi non era d’accordo doveva farsene una ragione.
E in Zagor?
Indubbiamente era molto più in sintonia con Sergio, in particolar modo con l’ambiente visionario in cui erano immerse le avventure dello “Spirito con la scure”, Un background un po’ western e un po’ magico, ma di una magia alquanto accessibile. Zagor è un pezzo di marcantonio senza vizi e con un linguaggio mai fuori misura, cui fa da affinità elettiva un ciccione simpaticissimo, pigro, pavido, crapulone e del tutto privo del phisique du role dell’eroe. Tutte le virtù da una parte, tutti i vizi dall’altra. Così come l’uno è archetipo di adamantina purezza, l’altro è paradigma di tutte le mollezze possibili. Cico, però, il messicano dall’enorme sombrero, vanaglorioso e dai numerosissimi nomi, era molto amato da Sergio. Nell’economia del fumetto egli, per l’autore, rappresentava il contraltare umano e dionisiaco a situazioni che l’apollineo Zagor era chiamato ad affrontare di piglio. Cico insomma, col suo grottesco atteggiarsi da hidalgo, è un personaggio da commedia dell’arte, come Sancho Panza: l’elemento “vile” che riporta lo spirito nobile di Don Chisciotte alla materia.
E Mister No?
Mister No, che ha cessato le pubblicazioni anni addietro con immenso dispiacere per l’autore, raccontava le emozioni che Sergio aveva personalmente vissuto viaggiando in lungo e in largo per il Brasile intorno alla fine degli anni Sessanta. La foresta amazzonica all’epoca era un inferno verde impenetrabile. C’erano ancora tribù che non avevano mai visto un uomo bianco. Si trattava di luoghi al limite del conosciuto…
Quindi quei luoghi li aveva visti in prima persona?
Proprio così, e ha raccontato in immagini le sue fantastiche esperienze. Insomma, Mister No era proprio l’alter ego di Sergio Bonelli, anche caratterialmente. Anzi, si potrebbe tranquillamente affermare che Bonelli “era” Mister No, in quanto Sergio, se non aveva proprio fatto quella vita, l’aveva vista fare a molti, e aveva comunque respirato quelle atmosfere. Il personaggio era uno strano pilota che con uno scassatissimo Cessna faceva, a pagamento, la spola tra la città “moderna”, una Manaus ormai putrescente, e gli insediamenti di minatori o di garimpeiros sparsi un po’ ovunque nell’immenso bacino amazzonico. Insediamenti che marcavano la linea di confine tra il mondo conosciuto e quello inesplorato. Poi, immancabilmente, dopo aver ricevuto il compenso pattuito, l’uomo si precipitava al bar più vicino per spendere tutto in memorabili bevute. Cui potevano seguire tremende risse da saloon, con conseguenti lanci di sedie e mobili. Un tipo simpatico, anche se un po’ matto. Pochi sanno che Sergio per Mister No prese ispirazione da un pilota, reduce europeo della Seconda guerra mondiale che si faceva chiamare “Capitan Vega”. Ma la cosa più inedita è che non si trattava di un angloamericano, bensì di un tedesco: in altre parole, con Mister No, per la prima volta uno sconfitto, un reietto dell’Asse, esordiva nell’empireo degli eroi dei fumetti. Un eroe che malgrado l’inguaribile tendenza alla sbronza, al libertinismo e alla sregolatezza, restava pur sempre un formidabile miles al soldo del bene, leale e coraggioso come un leone, quando era il momento, fedele alla parola data e altruista come pochi.
Ci sono state varie querelle sull’appartenenza politica dei personaggi bonelliani. Lui come reagiva?
Non le prendeva sul serio. Sergio aveva rapporti con molte persone, di destra come di sinistra. Tutta gente comunque molto attratta dal fascino degli eroi a fumetti. In particolare da Tex. Basti pensare all’ex-cigiellino e sindaco di Bologna Cofferati o all’ex-senatore dei democratici Bordon, che di nome fa proprio Willer… Del resto è tipico della sinistra impadronirsi di tutto, anche di ciò che pure resta lontano anni luce dalla sua Weltanschauung. Ma, ripeto, erano questioni che non lo toccavano.
E con gli “ultimi nati” come la mettiamo?
Martin Mystere e Nathan Never, ad esempio, più che amarli, Sergio li ha dovuti accettare, “subire” obtorto collo, lontani come sono dal suo temperamento. In poche parole, più che di amore si è trattato di una scelta imprenditoriale. Il fatto è che aveva un fiuto eccezionale e sapeva scegliere a colpo sicuro i personaggi da mandare avanti. Ken Parker ha addirittura vinto, qualche settimana fa, i “Romics d’oro”…
Intervista a cura di Fabrizio Caporaletti
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