martedì 15 novembre 2011

"Anticipi, posticipi" di Savio e Gurrado, un libro per innamorati del pallone: parola dei "gemelli del blog"

Dal Secolo d'Italia del 15 novembre 2011
«Siamo i gemelli del goal, come Vialli & Mancini, Pulici & Graziani e Sivori & Charles, con l’unica differenza che io non ho mai giocato a calcio». Se Antonio Gurrado, brillante penna barese de Il Foglio, si presenta così, il partner – Francesco Savio, giovane scrittore bresciano – vanta doti da trequartista e «faccio ’ste cose solo perché Andrea Agnelli non mi ha ancora chiamato alla Juve» (ma gli ha scritto un biglietto di apprezzamento per il suo romanzo d’esordio, Mio padre era bellissimo).
Insieme hanno appena dato alle stampe Anticipi, posticipi (ItalPequod, pp. 160, € 14), antologia dei loro “scritti sul calcio” apparsi online su “Quasi Rete”, il blog letterario della Gazzetta dello Sport di cui Gurrado è uno dei coordinatori e Savio apprezzato collaboratore. Il primo, milanista della classe 1980, firma al venerdì l’anticipo; il secondo, juventino del 1974, al lunedì si occupa del posticipo. Con un obiettivo comune: inseguire a ogni giornata le maglie, la storia, l’ideale di insopprimibile bellezza che anche la partita più insospettabile nasconde. Un’idea nata durante i mondiali del 2010, da cui è venuto fuori un libro che non è la somma di mere cronache sportive ma un vero e proprio almanacco calcistico letterario.
«Gli eventi sportivi passati e presenti – ci spiega Gurrado, storico per vocazione, coautore con Gino Cervi del recente Mondiali. Dal 1930 a oggi. La coppa del mondo e i suoi oggetti di culto (Bolis Edizioni) – sono riletti ponendo in luce i guizzi estetici e il senso umano». «Mi unisce a Gurrado – ci conferma Savio – un certo modo di vedere il calcio, sospeso tra quello che accade in campo e quello che invece succede in alcuni libri che amiamo». Capita così che nel volume, prendendo spunto dalla finale mondiale tra Spagna e Olanda, Gurrado si trovi a raccontare «lo scontro tra cattolici e ugonotti, o meglio la preoccupante tendenza moderna al neopaganesimo, ben simboleggiata dalla venerazione nei confronti del polpo Paul, e una solida tradizione teologica che vuole il Mondiale vinto abitualmente da nazioni a maggioranza cattolica».
Si coglie l’insofferenza verso il calcio “moderno”, spalmato dall’ubiquo palinsesto televisivo su gran parte della settimana, talmente accessibile da essere diventato, paradossalmente, troppo distante. «Ci servono lo spezzatino senza polenta e la polenta mancante – ci dice Savio – è l’aspetto popolare del calcio. E più che lo spezzatino è l’immagine del calciatore come viene rappresentata oggi ad infastidirmi, una specie di star a tutto campo, non solo quello di gioco. E la deriva del giornalismo sportivo, salvo rare eccezioni lasciato in mano a tristi impiegati impolverati come i loro articoli, funzionali a chi li paga o alla squadra che devono sostenere».
C’è nostalgia per il calcio e i narratori che lasciavano spazio all’immaginazione, amato da chi, come loro, in edicola aspettava con trepidazione – e aspetta ancora – il Guerin Sportivo, 100 anni appena compiuti, cui il libro è dedicato (l’introduzione, non a caso, è affidata a Roberto Beccantini). «Il primo numero – ci confida Gurrado – me lo comprò mio padre, avevo sette anni e mezzo e ammetto serenamente che su quelle pagine ho imparato a leggere e scrivere, esponendomi all’osmosi con Vladimiro Caminiti, Gianni De Felice, Bruno Voglino, il sulfureo Carlo Francesco Chiesa nonché Adalberto Bortolotti, il più grande e più modesto esperto di calcio al mondo». Analoga educazione sentimentale per Savio:«Il Guerin per me è stato una cura per resistere, mentre il calcio che avevo scoperto da ragazzino scompariva, inghiottito dai troppi soldi, dal degrado culturale e sportivo di un popolo sempre più allo sbando, abile soprattutto a dividersi in fazioni. E anche oggi vedo il Guerin come un ritrovo mensile di appassionati di calcio, che potrebbero tranquillamente trascorrere serate a parlare di pallone senza recitare slogan».
Se il rimpianto – come diceva Ugo Ojetti – è il passatempo degli incapaci, Gurrado e Savio non lo sono affatto, per questo hanno alimentato il libro con salutari dosi di fiducia. Nei giovani. «La bandiera del calcio – dice Gurrado – sono i bambini, che allo stadio o davanti alla tv vedono in una partita qualcosa di magico che ormai noi cresciutelli possiamo solo ricordare confusamente. E poi per molto tempo i capi di Fifa e Uefa venivano accuratamente scelti fra persone che con ogni probabilità non avevano avuto un’infanzia, ma che erano già amministratori delegati di qualcosa dalla nascita. L’eccezione, la speranza, è Michel Platini». Più che d’accordo Savio: «Platini e Maradona sono due bandiere del calcio mondiale. Una di buon governo e l’altra di opposizione». In gennaio, Francesco diventerà papà. «Una delle prime domande che gli farò – ci dice – sarà di quelle fondamentali: “Ti senti più centrocampista o attaccante?”». Antonio, da parte sua, chiosa: «Non so se avrò figli e tanto meno so se consiglierei loro di giocare a calcio, ma di sicuro se fosse femmina le consiglierei di fidanzarsi con un calciatore».
Roberto Alfatti Appetiti

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