Articolo di Amanda Righetti
Dal Secolo d'Italia del 13 novembre 2011
Ancora un libro su piazza Fontana? È la prima domanda che viene davanti a un saggio come quello appena pubblicato dallo storico milanese Massimiliano Griner, Piazza Fontana e il mito della strategia della tensione (Lindau, pp. 312, € 22) che ha l'ardire di tornare sull'argomento, e con l'ambizione di dire qualcosa di nuovo.
Griner non è nuovo alle ricerche controcorrente. Già autore di saggi documentati sulla Repubblica sociale, prima di esplorare gli anni Settanta ha raccontato l'intervento militare italiano nella guerra civile spagnola, riconoscendo non le ragioni dei fascisti che vi andarono volontari a combattere contro le brigate internazionali, ma quantomeno la loro buona fede. Il suo nuovo libro conferma l'indole di un ricercatore che tutte le volte preferisce ripartire daccapo, piuttosto che farsi ammannire una verità rivelata.
Sono passati oltre quarant'anni da quel giorno in cui una bomba uccise diciassette persone in una banca di Milano. Un evento dirompente che imprime una svolta senza ritorno nella storia del paese, apre una stagione di violenza durata un decennio e decreta la fine dell'innocenza degli anni Sessanta.
Dopo quarant'anni e otto diversi processi, ancora nessuna verità definitiva è arrivata dalle aule di giustizia. Non sono stati individuati i mandanti, e neppure i semplici sicari. Forse anche per questo si è invece affermata una verità alternativa, che è una verità politica e culturale. Una verità frutto di una narrazione collettiva creata nel tempo da pubblici ministeri con i loro teoremi, da fantasiosi consulenti della commissione stragi, da giornalisti investigativi dediti al complottismo.
Una ricostruzione cristallizzata, ideologica, dogmatica, che Griner chiama "canone", cioè una sorta di verità ufficiale, anche se in questo caso non è custodita da un regime, ma da un drappello nutrito di rispettati intellettuali orientati a sinistra.
Un nome per tutti? Giuseppe Casarrubea, che la strategia della tensione la fa ascendere addirittura a Portella della Ginestra, dove, secondo la sua ricostruzione contraddittoria e non probante, a sparare insieme a Salvatore Giuliano c'erano uomini della Decima Mas. Il suo metodo, non diverso da quello degli altri complottisti, si basa su due ingredienti sapientemente dosati, pregiudizio e "bocca buona" nella scelta delle fonti: quando confermano la teoria, sono sempre considerate valide, anche se si tratta di informative vergate da agenti prezzolati, il cui unico obiettivo era mantenere il compenso mensile erogato dai servizi segreti. E poco importa se il ragionamento dei complottisti vada avanti a colpi di supposizioni forzate, di "forse" che diventano "senza alcun dubbio" e di ipotetiche che diventano apodittiche. Tanto possono contare sulla curiosità che suscita tutto ciò che è falso ma spettacolare.
Il canone, costruito con questa retorica che niente ha del rigore scientifico richiesto dalla storia, ci racconta che la strage fu scientemente cercata, che fu ispirata da ambienti reazionari statunitensi, eseguita da neofascisti ma attribuita con una congiura all'estrema sinistra, coperta dai servizi segreti. Con un obiettivo: spostare a destra l'elettorato italiano, per prepararlo a un colpo di stato reazionario.
Ma lo storico milanese non si limita a mettere in discussione questi luoghi comuni. Ne aggiunge altri, la cui confutazione si rivela altrettanto interessante: dalle fragili certezze sul deragliamento della Freccia del Sud, nei pressi di Gioia Tauro, nel 1970 - per il "canone" è la prova della saldatura tra neofascismo e 'ndrangheta nella rivolta di Reggio Calabria - alla frettolosa denuncia di continuità tra eversione e arma dei carabinieri nel caso dell'attentato di Peteano del 1972, quando a morire dilaniati da un autobomba sono tre giovani militari. Fatti alla mano, Griner dimostra che la criminalizzazione della rivolta calabrese è soltanto un tentativo della propaganda di sinistra di coprire la sua incapacità di capitalizzare quel fermento popolare (gestito invece dall'estrema destra con notevole successo). Quanto a Peteano, il depistaggio delle indagini è avvenuto, ma non per tutelare i neofascisti: piuttosto per salvaguardare a ogni costo la segretezza di Gladio, che era comunque estranea a questo come a altri attentati di quel periodo.
La vera novità del saggio è in un esperimento che si può dire riuscito. Rimanendo equidistante, Griner ha provato a guardare i fatti prendendo sul serio protagonisti maggiori e minori, soprattutto i neofascisti. Riconoscendo in loro determinazione, obiettivi, e ideali; e dimenticando quell'approccio classico in cui ogni soggetto è manipolato da qualcun altro, e c'è sempre "dietro" oppure "sotto" qualche livello di comando misterioso e intoccabile.
Per mettere in discussione queste certezze occorre un certo coraggio, e lo storico milanese lo ammette: «Se mi fossi messo nella scia della tradizione, confermando un modo di guardare al nostro passato invalso e autorevole, non avrei avuto alcun problema, e anzi, avrei potuto ricevere anche qualche elogio - scrive nell'introduzione del saggio - prendendo invece la decisione di andare controcorrente, mi sarei esposto a prevedibili critiche, se non alla marginalità. A un certo punto ho capito che dovevo comunque percorrere la mia strada, perché la credevo vera, anche al prezzo della marginalità e della denigrazione». È un prezzo che per fortuna Griner ha deciso di pagare.
Amanda Righetti
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