Articolo di Giovanni Tarantino
Dal Secolo d'Italia del 7 febbraio 2012
C'è addirittura chi ha ringraziato il gelo, perché «almeno così si è tornato a giocare tutti alle 15». Eccetto Genoa-Lazio, anticipo delle 12,30 certo. Ed esclusa anche Cesena-Catania, che proprio non si poteva giocare. Tutte le altre gare in simultanea, come ai vecchi tempi. Chi distrugge tutto, chi non permette che ogni domenica sia così, secondo alcuni sono le pay tv. Fulvio Bianchi, opinionista di La Repubblica, era stato deciso nel sostenere: «In Italia tutti strillano e se la pigliano con chi fa i calendari. Gli stessi giornalisti Sky suggeriscono di giocare alle 15. Forse dimenticano che Sky e Mediaset tengono in piedi il calcio, pagando tantissimi soldi, ma vogliono, se possibile, partite tutti i giorni».
Se da un lato Tutto il calcio minuto per minuto in questa domenica "vecchia maniera" ha tenuto botta, perché esistono ancora calciofili che seguono la radio, ha fatto registrare un altro flop Novantesimo minuto. «L'Italia di Novantesimo minuto è morta», la conclusione cui è giunto Stefano Olivari, giornalista e blogger inventore di Indiscreto. «L'ultima giornata di serie A - afferma Olivari - ha dimostrato che in fondo non è un'epoca da rimpiangere, nonostante la nostalgia sia un genere giornalistico dove si colpisce a botta sicura». Olivari ribalta la tesi della perenne nostalgia, del «si stava meglio quando si stava peggio», dando il giusto merito al ruolo delle pay tv: «Se il programma del vituperato telecalcio non fosse stato stravolto dalla neve ma soprattutto da una irrazionale paura del freddo (il limite Uefa è meno 15 gradi, per dire), avremmo potuto vedere tutte le immagini della Roma che travolgeva l'Inter, della Juventus che assediava il Siena e di un Milan-Napoli tesissimo e suo modo spettacolare. Invece no».
Solitamente in tema di calcio si assiste all'elogio del bel calcio dei tempi andati. Una volta tanto, invece, si è valutata l'opportunità offerta dalle pay tv, come se l'utente medio, il fruitore di calcio, sprovvisto di anticipi e posticipi, abbia riflettuto e apprezzato su cosa offre effettivamente la modernità piuttosto che cedere alla retorica della lamentela. Le conclusioni di Olivari sono le stesse cui era giunto qualche anno fa Beppe Di Corrado, pseudonimo di Giuseppe De Bellis, che nel suo Tutta colpa di Paolo Rossi, al capitolo "La metafora della tv", sosteneva: «Novantesimo minuto, un marchio per ricordarsi di come si era, credendo ovviamente che il passato sia sempre meglio (…) Poi è cambiato tutto. Primavera '92 è la data. Nero. Cioè la rivoluzione del criptato: Telepiù, la scoperta dei diritti tv, l'arrivo del posticipo. Quant'è bello l'appuntamento della domenica sera: da allora sai che alle 20.30 c'è sempre qualcosa da vedere e finisce che resti deluso quando non è la partita più interessante. Negli anni Ottanta quando la notturna apparteneva alle coppe europee e basta, succedeva che andavano tutti in sovraeccitazione persino per una partita di Coppa Italia giocata sotto i fari. Però ora fanno tutti gli schizzinosi. Leggi e senti gli antimodernisti che fanno il tifo per "tutte le partite la domenica pomeriggio"». Quello che affermava Di Corrado/De Bellis è stretta attualità. «C'è un pezzo di questo Paese - si legge nel libro del giornalista pugliese - che chiede più o meno sibillinamente di tornare indietro, c'è un movimento neanche poi tanto sotterraneo che cambierebbe la libertà con l'obbligo. Questo è e questo poi ti prendi. Non s'accetta che quei quattro milioni di italiani possano guardare le partite in diretta e gli altri no. La colpa è della tv, sempre. Ma il calcio criptato non ha tolto, ha aggiunto».
Siamo sicuri allora che a uccidere l'Italia di Novantesimo minuto siano state le partite in pay tv? Secondo Livio Balestri sul blog del Guerin Sportivo: «A mostrare chiaramente la morte di quell'Italia lì (che per inciso preferisco decisamente a questa, ma amen) non è stata la impossibilità, per una domenica, di farsi una pera di partite una via l'altra. No, sono state le trasmissioni radio-televisive di contorno. In particolare "Skycalcioshow" dove non hanno saputo rinunciare a tutte le solite manfrine. La copertina con la musichetta. Gli estenuanti applausi del pubblico. Le battutine coi vari opinionisti. Le discussioni di calciomercato, le lavagne tattiche. Nulla ci è stato risparmiato, e probabilmente qui ha contato anche il narcisismo di Sky, la sua convinzione che il pubblico, tutta questa roba qui, la prende perché la vuole davvero. Mentre invece la prende perché gliela rifilano. Morale, Skycalcioshow è durato all'infinito, senza spunti interessanti, affogato in tutte le cose che sarebbero dovute invece diminuire drasticamente». Leggendo Balestri la mente rimanda a una battuta di Gigi Garanzini, voce di A tempo di sport su Radio 24: «Io sono contro la chiacchiera legata al calcio. La chiacchiera me la faccio io, con gli amici, con i blog. Ma se devo passare la vita a sentire Massimo Mauro oppure Varriale la faccio finita prima». Chissà se tra vent'anni ci saranno i nostalgici di Mauro.
Giovanni Tarantino
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