Dal Secolo d'Italia del 7 febbraio 2012
Questa Giornata del Ricordo non s’ha da celebrare. Spogliatosi della velleitaria veste del Tomás de Torquemada partenopeo, poco conciliabile con le tonalità istituzionali della fascia tricolore di sindaco, Luigi De Magistris è tornato a indossare l’abito (talare) calandosi nel ruolo, più dimesso ma certo non rassicurante, di Don Abbondio. Non si tratta di un matrimonio negato, però. Né è dato conoscere, al momento, gli “impedimenti dirimenti” dietro cui il personaggio manzoniano era uso celare le proprie intenzioni. La Giornata del Ricordo del 10 febbraio, più semplicemente, non è stata inserita nei programmi dell’Amministrazione Comunale di Napoli.
A renderlo noto, con comprensibile amarezza, il delegato ANVGD della città partenopea, Arsenio Milotti. Malgrado la legge istituiva n. 92 del 2004 raccomandi espressamente a istituzioni ed enti di “realizzare studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende”. Già, quelle vicende inenarrabili, occultate, rimosse, quasi che non si trattasse di dolente storia italiana. Un comportamento che lo stesso presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha più volte criticato aspramente, auspicando la “fine di ogni residua congiura del silenzio, di ogni forma di rimozione diplomatica o di ingiustificata dimenticanza”. All’ingiustificata dimenticanza – per rimanere all’eufemismo usato dal presidente – il Comune di Napoli avrebbe rimediato con un lancio d’agenzia in cui si affrettava a pubblicizzare un incontro nella Sala Giunta di Palazzo San Giacomo con gli studenti: con l’occasione sarà proiettato – continua la nota – un filmato commemorativo. Il minimo sindacale, una retromarcia imbarazzata e imbarazzante, un’iniziativa dell’ultima ora di cui persino il delegato dell’associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia ignorava l’esistenza, almeno fino a poche ore prima. Un autogol che ha scatenato una vera e propria rivolta sul web e in particolare sui social network più vivaci: Facebook e Twitter. Proteste che si sono rincorse ieri sulle bacheche degli utenti, a colpi di link e “cinguettii”. Un passa parola che sottolinea come il caso Napoli non sia purtroppo l’unico. Cortei vietati – uno anche a L’Aquila, organizzato dall’innominabile (per restare ai Promessi Sposi) CasaPound – spazi non concessi e manifestazioni non autorizzate in virtù di quegli “impedimenti dirimenti”: cavilli burocratici o, peggio, connivenza politica con sedicenti organizzazioni antifasciste (sic!) che si ostinano a negare l’esodo improvviso quanto doloroso cui dopo l’8 settembre del 1943 furono costrette centinaia di migliaia di persone la cui unica colpa era essere italiani. Non fascisti, ma italiani. Una colpa talmente imperdonabile da costare la vita a migliaia di loro, picchiati, seviziati e sepolti spesso ancora vivi nelle Foibe. Boicottagi di Stato, verrebbe da dire, ancor di più odiosi perché le istituzioni avrebbero il dovere di valorizzare e promuovere ogni iniziativa tesa a mantenere viva una memoria che dovrebbe essere condivisa. “Coltivare le proprie memorie – ebbe a dire lo stesso Napolitano – significa non cancellare le sofferenze subite dal proprio popolo e non restare ostaggi del passato”. Di quelle sofferenze, affidate a lungo alle inascoltate testimonianze dei profughi, ancora si sa troppo poco e a otto anni dall’approvazione della legge istitutiva della Giornata del Ricordo i giovani conoscono poco o niente di quei loro fratelli maggiori. A scuola l’argomento è trattato con sufficienza, liquidato sui libri con brevi e sfuggenti capitoletti. In televisione la prima miniserie, Il cuore nel pozzo, è arrivata solo nel 2005 e in una versione “fiction” sin troppo edulcorata. Non abbastanza da essere apprezzata dal ministro degli esteri sloveno Ivo Vajgl, che manifestò la propria indignazione per una pellicola prodotta da “un’istituzione parastatale come la Rai che è una provocazione e un’offesa per il popolo sloveno”. “Un falso storico – lo definì l’esponente politico sloveno – che trasforma in colpevole un popolo che per tutta la sua storia è stato sottoposto all’aggressività dei popoli vicini”. Tesi che giustificherebbero l’indiscriminata carneficina titina?
Pleonastico dire che si è fatto troppo poco. Troppo poco per restituire alla storia italiana quelle pagine sbanchettate e troppo poco anche per le famiglie dei profughi che in Italia, ricordiamolo, non ricevettero sempre l’accoglienza migliore. Nascosti nei campi di accoglienza, guardati con diffidenza, trattati a volte con una punta di disprezzo. Ingombranti erano e ingombranti sembrano ancora oggi, almeno per i De Magistris di turno, quasi che la Giornata del Ricordo fosse solo un mero adempimento formale da sbrigare come una qualsiasi pratica amministrativa e non uno di quei giorni in cui ci si deve guardare allo specchio.
Roberto Alfatti Appetiti
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