domenica 4 marzo 2012

In gita a Nizza quando bussa l'inverno della vita (la mia recensione a "Romanzo per Signora")

Dal Secolo d'Italia del 4 marzo 2012
L’epica della vecchiaia, sorretta da un furore antiretorico. Romanzo per signora (Feltrinelli, pp. 267, € 17 ), l’ultimo atteso libro di Piersandro Pallavicini, è esente dai vagiti esistenziali e dagli zoom ombelicali dei giovani scrittori. I protagonisti, rigorosamente over settanta, hanno bandito ogni mestizia. Altro che raccogliere le briciole per l’inverno della vita. L’indignazione sgorga rigogliosa. Irragionevole, amorale e soprattutto sintomatica. Personale, mai collettiva. Non si propongono di cambiare il mondo. Dipendesse da loro, potrebbe tranquillamente andare a caghèr. I terroristi d’oltralpe fanno centinaia di morti e i nostri, sfidando la pubblica riprovazione, alzano i calici. Perché non dovrebbero? Il tempo a disposizione è poco. Malconci come sono, aggrediti da malattie progressive e assediati da figli imbarazzati, vogliono solo godersi l’ultimo assalto alla vita. Senza baionetta tra i denti ma con un po’ d’erba in tasca, a fini curativi, una Jaguar, anzi due, e carte di credito a gogò. Non chiedono sconti, né nei ristoranti lussuosi che frequentano né all’Altissimo, «l’entità immaginaria nascosta da qualche parte sopra le nuvole, quella il cui geniale piano per il bene del mondo ha previsto il dottor Mengele, Mao Tse Tung, il compagno Stalin e milioni di copie vendute di Paulo Coelho».
Sono la crema, anche se un po’ stantia, della buona società vigevanese. Eccoli, in viaggio per la malinconica Costa Azzurra di bassa stagione, il nome preceduto dall’articolo, alla lombarda: il Cesare e il Luciano con le rispettive signore, la Franca e l’Adriana, e a far dispari l’Attilio, vedovo da appena un mese, tale e quale allo Jannacci, anzi all’Enzo con l’Alzheimer, come lo chiamano al Rotary. A Cesare, voce narrante, un passato da autorevole direttore di casa editrice e un presente da consulente/pensionato, si deve la scoperta di Leo Mayer, astro letterario degli anni Ottanta in caduta verticale, «l’Amico Della Vita» smarrito per strada. Quella di Leo, una specie di Tondelli cattivista, era stata la voce generazione di un decennio brulicante di nuove energie. Grazie a lui e ai vari Palandri, Piersanti, Lodoli, Van Straten e Tondelli stesso, dopo l’ubriacatura ideologica degli anni precedenti, era «ricominciato tutto, che prima per le patrie lettere era la morte civile». Il suo romanzo-rivelazione, Il suono del mondo era stato «un calcio nei denti alla cosiddetta scena militante, tutta roba da piaghe da decubito, tomi illeggibili che appestavano le librerie in quel finale tragico degli anni Settanta. Facevi scandalo anche solo se pubblicavi un libro che raccontava storie invece di mandare messaggi o collaudare teorie». E di storie, in questo romanzo esilarante e commuovente, stretto in un’intensa settimana d’aprile e immerso dalla prima all’ultima pagina nell’amore salvifico per la letteratura, ce ne sono tante. I nostri eroi – c’è qualcosa di più eroico del combattere contro l’irreversibile decadimento fisico, lo stillicidio prostatico e la perdita di memoria? – le affronteranno a testa alta, sia pure con qualche patologico tremore. Consapevoli che il vero colpo di scena non è la morte e che, anche di fronte alla peggiore catastrofe, l’unico rimedio è «provare a scherzare, la miglior cosa per far tornare in sé chi è in preda al panico. L’avevo sentito dire a Steinbeck. O forse era Nantas Salvalaggio. In ogni caso – spiega Cesare ai lettori – ne ho fatto il mio vangelo». Convinzione che rende la salita meno amara. «La vita non ha senso – filosofeggia Leo Meyer, riapparso in un’ambigua clinica nizzarda – e fare del bene non ne è lo scopo. È solo un ammirevole mezzo per vivere un’esistenza più serena. Inutilmente più serena». Quel che conta è una nuova tiepida mattina e, possibilmente, un paio di croissant. Meglio ancora se caldi.
Roberto Alfatti Appetiti

Nessun commento: