sabato 8 dicembre 2012

Mike Balistreri, un commissario fascista contro tutti i corrotti

Da Area di novembre 2012
I due cowboy che si fronteggiano con le mani sulla fondina hanno i volti di Kirk Douglas e Rock Hudson. Un classico: il primo interpreta il bandito, l’altro lo sceriffo. Kirk è più veloce, ma perde. Non è l’unico colpo di scena: l’allora splendida Dorothy Malone, che assisteva trepidante al duello finale, corre al capezzale di Kirk, non dal vincitore. «Nonno, ma la ragazza non si innamora sempre di quello che vince?». Il cinema può esercitare un potere straordinario sull’immaginario, tantopiù se il bambino ha appena dieci anni. Il nonno non risponde. Non lo fa mai quando il piccolo Mike gli ricorda suo figlio Toni, morto con la divisa fascista l’ultima giornata di combattimento, mentre tutti gli altri scappavano. Soltanto rivedendo il film una seconda volta, Mike scopre che Kirk aveva la pistola scarica: non voleva rischiare di uccidere l’amico Rock.


Per raccontarci l’adolescenza burrascosa di Michele Balistreri, l’irrequeto commissario di Polizia che avevamo già conosciuto in “Tu sei il male”, vero e proprio caso editoriale dell’anno scorso, Roberto Costantini ci riporta nel 19612 La scena finale del western “L’occhio caldo del cielo” apre “Alle radici del male”, il secondo romanzo dell’annunciata trilogia made in Marsilio. È assistendo a quella proiezione nel cinema di Tripoli che Mike scopre la nobiltà della sconfitta e sceglie da che parte stare.
«L’Italia è un paese di traditori», si ripete, mentre sente montare dentro di sé l’insofferenza per il proprio paese. Cresce nutrendosi con le letture di Omero, di Nietzsche e del primo Mussolini, misurandosi con arti marziali e patti di sangue, morti irrisolte e complotti internazionali nell’affascinante scenario libico. Luoghi che Costantini conosce bene, per esserci nato, nel 1952, e vissuto.
«L’Italia di oggi è governata da una classe politica che è nata tradendo il proprio paese durante una guerra. E da quel vostro esempio tutti gli italiani hanno imparato che la convenienza personale viene prima della lealtà». Balistreri risponde in questo modo al potente senatore che gli rimprovera di non cercare un assassino ma un traditore. Non è più un ragazzo, ma un commissario anomalo. Sì, perchè sin dalle prime pagine di “Tu sei il male”, ambientato nella Roma dei primi anni Ottanta, avevamo scoperto con una punta di sorpresa che il trentaduenne Balistreri è fascista, non a caso vive alla Garbatella, «quartiere popolare costruito dal duce» e il Secolo d’Italia è l’unico quotidiano che legge. Come spesso accade, pertanto, ci attendevamo la solita caricatura, il clichè del fascista razzista o quanto meno stupido e senza cultura. Tutt’altro, invece. Più Costantini ci conduce nelle zone buie del passato di Balistreri, più ne emerge la personalità ricca e la sete di giustizia. «Niente calcoli e compromessi: solo onore, azione e coraggio». Lezione consolidata da una visita a El Alamein. «Girammo in silenzio tra quelle tombe fino all’epigrafe dei ragazzi della Folgore, quelli di cui mia madre mi aveva raccontato. Caduti per un’idea, senza rimpianto».
Nel luglio 1982 gli italiani festeggiano il mondiale di calcio appena vinto e lui commenta amaro: «Tutti i balconi esponevano il tricolore. Doveva essere la prima volta dai tempi di Mussolini. Forse dal giorno in cui l’avevano appeso a testa in giù a Piazzale Loreto. Un paese senza onore». Era tornato nel 1970 e aveva trovato «i preti al governo, gli operai nelle piazze, gli studenti che imbrattano i muri delle università con la falce e un martello, un popolo che desidera solo a Fiat nuova, la benzina meno cara, un lavoro sicuro e possibilmente poco faticoso». La democrazia non lo convince: «Odio davvero quella parola, maggioranza. Mi fa sentire poco libero, obbligato a dire che sì, va bene così». Aveva militato nel Msi, ma quel partito si era rivelato troppo moderato per lui. «Ero passato con naturalezza a Ordine nuovo, tre anni intensi in cui speravo di cambiare il mondo, poi alla fine del 1973 un ministro democristiano l’aveva sciolto e arrestato i suoi dirigenti. Una follia che aveva lasciato allo sbando decine di ragazzi». Alcuni di loro diventano terroristi, «disonorando gli ideali in cui credevamo». Lui accetta di collaborare con i servizi segreti per bloccarne dall’interno le iniziative. Vuole evitare che possano pagare degli innocenti, ma presto capisce che i servizi non hanno sempre a cuore il bene collettivo e si chiama fuori. Si laurea in filosofia e nel 1980 vince il concorso da commissario, un’occupazione temporanea, «perché mai sarei diventato un vecchio poliziotto rimbambito, chiuso nel suo ufficio a servire uno Stato imbelle e corrotto». Sarebbe tornato a cacciare i leoni in Tanzania. «Non sarei rimasto a vedere come sarebbe crollata l’Europa americanizzata. I popoli avrebbero scoperto che l’abbinamento della democrazia con il capitalismo e la finanza è una ricetta mortale per i più deboli, una dittatura dei potenti mascherata».
Nella sua formazione, scopriamo ora, è determinante il clima familiare e l’esperienza africana. Quando il professore di storia al liceo frequentato in Libia, rigorosamente con l’eskimo e la barba lunga, afferma che la colonizzazione in Libia è stata realizzata da un gruppo di criminali – «e se tuo nonno è fascista, allora è un criminale» – non ci pensa due volte: il professore finisce in una fontana e lui espulso dalla scuola. Se il nonno, in realtà, è solo un colono potente e rispettato dai libici, la figlia Italia, madre di Mike, è dichiaratamente fascista: «i perdenti possono essere migliori dei vincitori e vedrai in che mondo saremo tra cinquant’anni grazie ai vincitori».  Dopo la conquista del potere da parte di Gheddafi, con il colpo di Stato del settembre 1969, gli italiani saranno considerati tout court fascisti, spogliati di ogni bene e rispediti nel paese d’origine. L’accoglienza che riceveranno in patria non sarà delle migliori. Costantini non ci gira intorno nel riferire come anche in Italia quegli emigrati di ritorno venissero (mal)trattati come fascisti: «Ammassati sulla banchina sotto il sole per ore, in attesa di sapere a quale campo profughi erano destinati, avevano provato a protestare sentendosi rispondere da un funzionario statale che in Italia nessuno aspetta i fascisti con la banda e le bandierine. Che dovevano ringraziare il cielo se non li lasciavano lì per strada». Il rancore di Michele cresce.
Lo ritroveremo nel 2006. «Onore, lealtà e coraggio erano ancora lì. Aveva assistito al declino dell’Occidente che si era manifestato di pari passo con la consunzione del suo corpo del suo spirito». Ha più di vent’anni di servizio ed è alla guida della sezione speciale formata per contrastare i crimini degli extracomunitari. A volelo in quell’incarico è stato il questore di Roma, consapevole del passato neofascista ma anche del valore dell’uomo. «Anche se usava ancora termini come patria, onore lealtà, non parlava con i politici e non frequentava le loro cene sui terrazzi o nei circoli più esclusivi». Pur di offrire colpevoli in pasto alla stampa,  tutti sono pronti ad attribuire la catena di omicidi che sta scuotendo la capitale ai Rom. Lui è l’unico a cercare altrove la verità, senza accontentarsi delle apparenze, senza lasciarsi intimorire dai forti interessi economici che si nascondono dietro quelle morti. Balistreri non è (più) anticomunista, come un altro luogo comune vorrebbe il fascista tipo. Il questore, del resto, «apparteneva a quella sinistra che aveva combattuto quando la temeva. Oggi la trovava inoffensiva e confusa come un novantenne in mezzo al traffico». Una frase impietosa quanto calzante, quest’ultima, che rappresenta la sinistra italiana molto più efficacemente di quanto potrebbe fare un qualsiasi analista politico. Non è l’unico affondo sulla realtà, Costantini in “Alle origini del male” è feroce nel tratteggiare un quadro tutt’altro che edificante dello spregiudicato sottobosco di sterlette, agenti e divi che si muove dietro il rassicurante piccolo schermo. E neanche Vaticano e politica ci fanno una bella figura. Si stava meglio quando si stava peggio? Forse no, ma non ditelo a Balistreri.
Roberto Alfatti Appetiti

1 commento:

giovanni fonghini ha detto...

Roberto ho appena finito di leggere la tua recensione a questo romanzo: la descrizione che fai del protagonista Mike Balistreri mi è piaciuta così tanto (lo trovo così in sintonia con il mio modo di vedere tanti vicende recenti e meno recenti dell'Italia) che credo che dovrò rivedere una mia personale graduatoria letteraria. Questa graduatoria riguarda i personaggi fascisti della letteratura dei quali la narrazione delle vicende mi ha appassionato maggiormente. Fino ad oggi il posto d'onore era riservato ad Accio Benassi protagonista de "Il fascio-comunista" di Antonio Pennacchi, seguito da Francesco Zazzi detto Franz de "Il paese delle meraviglie" di Giuseppe Culicchia. Ma ora non ho dubbi: Mike Balistreri avrà la meglio sugli altri due.