domenica 14 aprile 2013

Ciccio e Franco, gli “impresentabili” di successo che non fanno più notizia

Pubblicato sul Secolo d'Italia.it il 14 aprile 2013
Il prossimo 28 aprile saranno trascorsi dieci anni dalla morte dei uno dei comici più popolari del nostro secondo dopoguerra: Ciccio Ingrassia. E c’è da scommettere che se ne ricorderanno in pochi. Basti pensare come anche il ventennale dalla morte del suo inseparabile compagno Franco Franchi – lo scorso 9 dicembre – sia stato ignorato dalla stampa generalista, di solito tutt’altro che parca di celebrazioni e coccodrillesche rivalutazioni post mortem.
Sotto al tappeto, ovvero tra le pagine regionali, sono state nascoste le poche frettolose righe dedicate alla recente intitolazione ai due attori siciliani della piazza palermitana sita alle spalle del Teatro Biondo. Una scelta non casuale: in quell’incrocio di viuzze i due attori siciliani avevano affinato ogni arma utile a strappare un sorriso ai passanti. Su quei “palcoscenici” improvvisati erano stati notati da Domenico Modugno e lanciati sul grande schermo in “Appuntamento a Ischia”, la pellicola del 1960 diretta da Mario Mattoli, la prima delle oltre cento con la più amata coppia della commedia italiana. Un amore a prima vista, quello con il pubblico: l’Italia si riconobbe nei loro film istintivi e viscerali, privi di moralismo e di supponenti didascalie. Tanto apprezzati dalle famiglie quanto apertamente detestati dai benpensanti e dalla critica progressista, che ha continuato imperterrita a derubricarli come fenomeni da baraccone. «Vedevamo i loro film, ma poi non riuscivamo a parlarne bene», hanno ammesso qualche tempo fa Goffredo Fofi e Tullio Kezich. Diffidenza, per usare un eufemismo, che non è mai venuta meno. Nessuno che abbia reso onore a quella comicità autarchica quanto dirompente che ha rappresentato meglio di chiunque altro la voglia di fare e di ricominciare degli italiani dopo la disfatta della seconda guerra mondiale. A essere impresentabili, a ben vedere, erano proprio quelle facce che raccontavano non soltanto una storia personale ma quella di un paese che usciva anni di fame, guerra e miseria. «Facce che rimandavano – ha scritto Marco Giusti – ad altre milioni di facce intagliate nella miseria, l’onore e l’orgoglio. Un’Italia che allora esisteva e che nei democristianissimi anni Sessanta, nel pieno del boom economico, avrebbe forse preferito nascondere». L’Italia di Franco e Ciccio era troppo vera per piacere ai sacerdoti della critica, mistificatori di professione. «Per loro – ha scritto Valerio Caprara, una delle rare voci controcorrente nel pensiero unico della critica cinematografica – il cinema ‘nobile’ era costituito da alcuni ignobili sottoprodotti gabellati per ‘ideologici’ e progressivi ma per fortuna il popolo invertiva puntualmente i canoni del sotterraneo Minculpop e premiava gli sforzi generosi dei due attori in barba agli appelli auto-mortificanti dei pretini sub-marxiani». Forse Franchi e Ingrassia non erano sufficientemente à la page per far parte del prestigioso circuito delle prime visioni ma di sicuro rappresentavano la gallina dalle uova d’oro per i produttori, intenti a contendersi quei Re Media del botteghino. Lo ha ricordato con una punta di amarezza il figlio di Ciccio, l’attore Giampiero Ingrassia: «La verità è che i produttori facevano i soldi con loro due e poi, con quegli stessi soldi, producevano i film intellettuali che non incassavano una lira ma che piacevano tanto alla critica». Pochi, i registi che non li hanno rinnegati. Dirigere un film di Franco e Ciccio, del resto, rappresentava una macchia professionale difficile da cancellare. Lucio Fulci, che li diresse in una ventina di pellicole, si spinse fino a rivendicare quell’esperienza: «Per anni mi sono portato il marchio di Franchi e Ingrassia, ma io mi vanto di avere fatto film che hanno rappresentato per molti anni l’unico prodotto comico italiano a diffusione internazionale». Federico Fellini, non esattamente un signor nessuno, li promosse come ambasciatori del nostro cinema nel mondo: «C’è più Italia in un film di Franchi e Ingrassia che in tutte le commedie all’italiana», disse. Una tardiva “riabilitazione” ufficiale arrivò solo nel 2004, quando al festival di Venezia, tempio del cinema d’autore, venne presentato fuori concorso il documentario “Come inguaiammo il cinema italiano” dei registi palermitani Daniele Ciprì e Franco Maresco: sei minuti di applausi per le icone per eccellenza della comicità popolare. Un risarcimento modesto per chi, come Ingrassia e Franchi, ha attraversato anche l’inferno di un grottesco processo per mafia per poi ammalarsi e morire a soli 64 anni. Salutiamoli con un augurio: lunga vita ai suoi film.
Roberto Alfatti Appetiti
 

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