martedì 21 maggio 2013

E se i revisionisti avessero ragione?

Pubblicato sul Secolo d'Italia.it il 21 maggio 2013
Revisionista! Condanna senza appello, per chi osa riscrivere la storia, reinterpretarla da un diverso e spesso inesplorato punto di vista. Poco importa il riscontro di pubblico, se quell’autore vende poche o tante copie. Al contrario: il successo altro non sarebbe che la conferma della rozzezza dell’opera. Divulgatore, mero divulgatore, incline ad accondiscendere con la pancia di parte del popolo. Così parlarono gli storici militanti, infilando nel mirino persino il prof. De Felice e poi i vari Montanelli, Pansa e Vespa, giornalisti che negli anni si sono autocandidati a storici, nipoti illegittimi e sicuramente degeneri di Erotodo di Alicanasso.
A riabilitare il revisionismo, invece, è appena arrivato in libreria “Il revisionismo storico” di Marco Testa (Historica Edizioni, pp. 175), un volume prezioso per rimettere, come suol dirsi, i puntini sulle i. Iniziando con l’affermare una indiscutibile verità: la memoria non è (quasi mai) condivisa. La sola eventualità che essa possa esserlo è, per dirla con Luciano Canfora, «una favola simpatica». Parliamoci chiaro: non siamo mai stati d’accordo su niente. Rimaniamo in Italia: l’Unità d’Italia fu fatta per o contro il meridione d’Italia? Quella del Risorgimento fu vera gloria? E sugli accadimenti successivi all’8 settembre del 1943 quante versioni abbiamo collezionato? E sulla guerra civile 1943-1945? Già sulla definizione di guerra civile, a ben vedere, sono fioccati i distinguo. La memoria, prendiamone atto una volta per tutte, non è mai neutra. E lo storico, da parte sua, non si accontenta di ricostruire i fatti, vuole intervenire e capita che lo faccia a gamba tesa. «L’opera di uno storico – avvertiva Chabord – può divenire mezzo di lotta politica e strumento di polemica. Talvolta vuole diventarlo. Ed ecco quindi la necessità per noi di esaminare bene quali siano gli intendimenti dello scrittore, quale lo scopo che egli si propone». La prima operazione è quella di “ripulitura” della storia dall’enfasi storiografica. Gateano Salvemini lo raccomandava ai suoi studenti: «Non dovete avere il mito del documento. Nessun documento dice la verità, parole scritte sulla carta per scopi quasi sempre lontanissimi da quello di testimoniare per la storia». Arrigo Petacco, da buon divulgatore, ha riassunto il concetto ancora più esplicitamente: «Quando comincia una guerra la prima vittima è sempre la verità. Quando la guerra finisce, le bugie degli sconfitti vengono smascherate. Ma quelle dei vincitori diventano storia». Eppure, il revisionismo storico, sino a pochi anni fa, è stato costretto in limiti angusti, ora considerato sic et simpliciter come una tendenza derivante dall’opera di Renzo De Felice, ora come il risultato di una specie di vendetta culturale della destra sulla storia scritta dagli storici di sinistra.
« La visione dominante vede il revisionismo come il tentativo della destra di riabilitare il fascismo e riscrivere la resistenza – scrive Marco Testa – ma il dibattito stesso sul revisionismo è stato condotto, incalzato, sollecitato da personalità di sinistra interessate a impossessarsi dello strumento della storia per fini politici, ma anche per motivi che rimandano a un tentativo di egemonizzare la cultura e la storia contemporanea per la ricerca del consenso e per combattere l’avversario politico in nome dell’intransigenza ideologica». Il libro racconta passo dopo passo come nella storia d’Italia la sinistra abbia sistematicamente utilizzato il passato occultandolo (come nel caso delle foibe) o mistificandolo utilizzando l’arma dell’annientamento dell’avversario. A conferma di questa tesi, non mancano, nel libro di Testa, testimonianze, opinioni, episodi e biografie illustri: da Aldo Agosti a Marc Bloch – «L’incomprensione del presente nasce fatalmente dall’ignoranza del passato, scriveva in “Apologia della Storia” lo storico francese» – da Daniele Ceschin a Giovanni De Luna, da Angelo D’Orsi a Mimmo Franzinelli, da Mario Isnenghi al vituperato Carlo Mattogno. «Qualcuno inorridirà trovando il più noto negazionista italiano tra le biografie degli storici d’accademia – scrive Testa – ma costoro dovranno spiegarci dove altro avremmo dovuto inserire questo studioso di latino, greco, critica testuale e religioni orientalui». Il lavoro di Testa, classe 1983, laureato in storia a Cagliari e specializzato, sempre in storia, a Torino, è di quelli che non possono e non devono passare inosservati. Come ha detto Luciano Violante, irritando più di qualcuno (a sinistra), «la storia e la memoria devono essere fonte di conoscenza, non di odio e lacerazione. Proprio per questo bisogna conoscere».
Roberto Alfatti Appetiti

Nessun commento: