martedì 28 marzo 2017

Nino Longobardi, re senza corona e senza regno (di Valerio Alberto Menga)


Il profilo di Gaetano Longobardi, detto Nino, tracciato da Roberto Alfatti Appetiti in questa sua nuova biografia è quello di un personaggio originale, ribelle, eccentrico, lunatico, vanitoso e sempre sopra le righe. Temuto e adulato, da vero irregolare, riconobbe come suoi soli maestri Leo Longanesi, Ennio Flaiano e Indro Montanelli.
di Valerio Alberto Menga - 11 marzo 2017      

 Nell’ottobre del 2016 la casa editrice Historica, diretta da Francesco Giubilei, ha pubblicato la biografia di un dimenticato: Nino Longobardi. Il Re del giornalismo che prese a pugni i potenti. La firma del saggio in questione è quella di Roberto Alfatti Appetiti, autore del blog “L’eminente dignità del provvisorio”, già noto per aver scritto la prima biografia italiana di Charles Bukowski Tutti dicono che sono un bastardo, per le edizioni Bietti. Nel caso non fosse chiaro, ad Alfatti Appetiti piacciono gli irregolari, i battitori liberi, i border line. Sono quei personaggi, o quegli autori, politicamente scorretti, sempre sopra le righe, sempre sul filo del rasoio. E il caso di Longobardi rientra a pieno titolo nella categoria umana sopra accennata. Quindi è a questo che si deve la scelta editoriale di inserire il volume tra i Fuori collana. Perché, almeno a detta dell’autore, si tratterebbe di un fuori classe.

Gaetano Longobardi, in arte Nino, nato a Torre del Greco nel 1925, era il figlio del podestà della città partenopea. Sempre ribelle e fuori dagli schemi, con la sua irriverenza riuscì a farsi notare da Leo Longanesi che lo volle al “Borghese” da lui fondato. Nel 1953 partì per Roma insieme a Lidia, una bella comunista torinese che aveva conquistato, per lavorare al “Messaggero” dove scriverà, nel giro di un ventennio, migliaia di articoli. Secondo l’autore, Nino era “la penna più ammirata e temuta del Messaggero di Roma” che, con un solo articolo, riuscì a far migliorare le condizioni del carcere di Poggioreale di Napoli. Un suo giudizio, pare, poteva bastare da solo a decretare la promozione o la degradazione di un collega all’interno della redazione.

Da vero longanesiano, il suo carattere era difficile e le sue abitudini davvero poco ortodosse. Fisicamente scostante, disprezzava il servilismo tipicamente italiano, probabile retaggio di un popolo, come il nostro, costretto a barcamenarsi tra un invasore e l’altro, pur di sopravvivere. Il suo ufficio era inaccessibile per il disordine, e soprattutto a causa della taccola che lasciava svolazzare libera fuori dalla gabbia. La linea tratteggiata da Alfatti Appetiti nel descrivere il personaggio mostra un Longobardi uomo originale, “sprovvisto di ogni timore reverenziale, immune da ogni piaggeria”, sempre con la battuta pronta. Da abile cavallerizzo, disse di sé al direttore di non saper cavalcare ma in compenso di riuscire a nitrire benissimo.

Data la sua vicenda familiare, aborriva l’utilizzo dell’etichetta di fascista o antifascista con cui nel secondo dopoguerra si usava definire se stessi o gli altri. Con una battuta, disse che se il fascismo ripeteva retoricamente “Largo ai giovani, l’antifascismo ha fatto posto ai vecchi”. Durante gli anni della contestazione scrisse una lettera ai giovani “rivoluzionari” dicendo loro:“Siete in rivolta contro tutto e tutti. Anche contro i comunisti (ai quali oggi in Italia tutti baciano le mani in attesa di leccare i piedi)”.

Come suoi maestri riconosceva solo Leo Longanesi, Ennio Flaiano e Indro Montanelli. Lunatico, vanitoso, disordinato ed eccentrico, odiava stare da solo, volendo sempre un pubblico davanti a sé. Si rifiutava di guidare la macchina, facendosi portare in giro con i taxi. Capitò più di una volta di lasciare in attesa il tassista “solo qualche minuto” per poi dileguarsi nel nulla, senza più tornare. La voce si sparse creando non pochi problemi ai colleghi che, per fare ritorno a casa accompagnati da un autista, dovevano fornire un indirizzo differente da quello della redazione, recandosi nel posto più vicino per far sì che i tassisti accettassero la prenotazione. Forse è per questo che Piero Ottone lo considerava “il più divertente di tutti e il più pazzo”.

Da ecologista sincero e ante-litteram condusse la sua battaglia per l’ambiente, fuori dagli schemi radical-chic, colpevoli, a suo dire, di averla “degradata a una moda snobistica”. Nemico giurato della plastica, difese a spada tratta le tradizionali bottiglie di vetro; antiabortista convinto, ma divorzista, fu un cattolico sui generis. “Cronache italiane” era la sua rubrica, seguita e attesa dai lettori del “Messaggero” che amavano “quello stile salace e tagliente, colloquiale, confidenziale” che, a detta dell’autore, gli apparteneva. Stimato da politici come Pertini, Leone e Saragat, fu tentato dal Craxi social-nazionalista e tifoso del primo Berlusconi che seguì, insieme ad altri, nella torbida vicenda della P2. Alla luce di quanto detto, le sue posizioni politiche sono abbastanza prevedibili: sempre contro il regime della Rai, contro la partitocrazia e i comunisti, anche durante il periodo delle Brigate Rosse. Fu però contro la Lega Lombarda “che non ci offende come meridionali […] ma come italiani”.

Longonbardi fu anche autore di tre romanzi, tra cui l’opera autobiografica Il figlio del podestà che, stampata in cinque edizioni, vendette 100.000 copie. Oltre ad essere giornalista, scrittore e fondatore di quotidiani come “I pugni sul tavolo”, fece anche da soggettista per diverse pellicole italiane, tra cui spicca il titolo del film Io sto con gli ippopotami, interpretato da Bud Spencer e Terence Hill, dove la sua attenzione per l’ambiente e la natura è palpabile ed evidente. In tv, invece, si fece notare come mattatore a Tele Vita di Luigi D’Amato, dove era sua abitudine battere i pugni sul tavolo, davanti al microfono.

La biografia di Nino Longobardi scritta da Alfatti Appetiti si legge in fretta, ma è con la stessa velocità che pare essere scritto. Se la prima metà del libro è densa la seconda pare davvero diluita, essendo riempita più con le parole del biografato che con quelle dell’autore. Ma questo potrebbe essere dovuto alla scarsa mole di fonti, essendo il primo tentativo di ricerca sul personaggio in questione. Il neo maggiore, a detta di chi scrive, pare essere invece la forzatura che si è data nel soppesare il personaggio, ingrandendolo oltremodo, facendolo apparire più grande di quello che fu in realtà, definendolo addirittura “Il Re del giornalismo italiano”. E i paragoni con i Longanesi e i Flaiano non paiono pertinenti, ma più un escamotage per rendere il personaggio più appetibile alla cerchia dei potenziali lettori a cui l’autore si vuole rivolgere. Peccato. Con la biografia di Bukowski Roberto Alfatti Appetiti fece un bel lavoro; non si può dire altrettanto in questo caso. Non tutte le ciambelle vengono col buco. Si rifarà la prossima volta, con la biografia a cui sta lavorando. A sentire le voci che girano, pare stia preparando un dolce prelibato, adatto ai palati più sopraffini, per i lettori più esigenti. Non si può che aspettare speranzosi. Certi che Alfatti Appetiti avrà la sua rivincita.
 
 
Roberto Alfatti Appetiti
Nino Longobardi. Il Re del giornalismo italiano che prese a pugni i potenti
Historica, pagg. 228, euro 16
prefazione di Marcello Veneziani
postfazione di Mattias Mainiero

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