Articolo di Luciano Lanna
Dal Secolo d'Italia del 26 novembre 2010
Entra anche all'interno della più recente narrativa italiana un fenomeno descritto da Pierluigi Battista, secondo cui «i figli dei fascisti non si vergognano più». Lo scrittore ed editorialista del Corriere si riferisce al fatto che intellettuali e creativi come Vincenzo Cerami, Giampiero Mughini, Darwin Pastorin o lui stesso, hanno a un certo punto raccontato dei loro padri fascisti: «Per molti giovani di sinistra il padre fascista non pentito ha incarnato un segreto conturbante, una condizione da nascondere e occultare, un marchio socialmente inaccettabile e inaccettato».
Qualcosa è insomma cambiato negli ultimi anni e, come dicevamo, questa precisa esperienza riesce adesso a venire rappresentata e trasfigurata al meglio anche nell'esercizio narrativo.
È quello che fa Marco Lodoli, scrittore romano nato nel 1956 che da Diario di un millennio che fugge in poi è senz'altro uno dei nostri narratori più originali e classici allo stesso tempo, con il suo ultimo romanzo da pochissimo nelle librerie: Italia (Einaudi, pp. 104, € 15,00). Lodoli, politicamente a sinistra e firma di Repubblica, è infatti figlio di Renzo, ingegnere e reduce di Salò, collaboratore negli anni Sessanta della rivista L'Orologio di Luciano Lucci Chiarissi e a lungo anche del nostro Secolo, e autore anche di qualche libro, tra cui Taccuino nero. In cui si poteva leggere: «In Italia la guerra era finita da una dozzina di giorni, Mussolini era stato ucciso... Ed ero in galera, per mia fortuna, con moltissimi altri. Ma il 7 giugno del 1945 la voce di uno sconosciuto ufficiale italiano si levò da Radio Creta e ci raggiunge. "Che Dio ci aiuti e vi aiuti a non dimenticare...", disse l'ufficiale prima di annunciare la resa. E intonammo allora, anch'io che non ho mai cantato, perché non so cantare, anche coloro che non erano stati fascisti, gli inni della rivoluzione perduta. Eravamo - era la conclusione di Renzo Lodoli - retorici e ridicoli, eravamo miserabili, affamati, straccioni. Ed eravamo meravigliosi». Era nato a Venezia nel 1913 ed è morto due anni fa a Roma dove aveva vissuto per tutto il secondo dopoguerra e aveva cresciuto la sua famiglia. Tracce di questo "padre fascista" il figlio Marco le fa emergere in questo suo ultimo romanzo, che ovviamente è opera di fantasia senza propositi autobiografici. Ma la vicenda è comunque quella di una famiglia italiana dagli anni Sessanta ai Novanta. Attraverso lo sguardo di una cameriera si ripercorrono le vicissitudini dei cinque componenti della famiglia Marziali. Un padre ingegnere con un passato nella Rsi, una madre fragile, e tre figli che sono tre diversi tentativi di "fuga": il grande si perderà nei fruppi dell'estremismo di destra, il piccolo nella letteratura, la ragazza nell'amore. Ma la protagonista, l'io narrante di tutta la storia, la custodia della memoria familiare, è appunto una governante.
Il suo sguardo accompagna un paese che esce dai dorati anni Sessanta ed entra in quelli di piombo. E la sua filosofia è quella di chi sa di non poter salvare nessuno ma di vegliare, accompagnare, tutelare. Poco sappiamo di lei, se non che è stata allevata per vent'anni in un Istituto che ha le sembianze di un orfanotrofio, ma che si intuisce essere qualcosa di alquanto diverso. Perché ogni ragazza che esce da quel luogo, apprendiamo sin dall'inizio, è preparata per servire e accudire una famiglia, fino alla sua fine. Italia è la domestica che lava i piatti, spazza le stanze, tiene in ordine la casa a Roma della famiglia Marziali, nel quartiere Trieste-Salario. Italia sarà sempre accanto a tutti, come una sorta di angelo muto, per accompagnare le loro esistenze, cercando di proteggerle, di salvarle. Quando Italia entra in famiglia, il paese è quello che esce dagli anni Sessanta: nei salotti ci sono le bomboniere d'argento e in televisione si assiste tutti insieme a Tribuna politica. «Gli esseri umani - ammette Italia - sono tutti uguali - sono la stessa vita raccontata in mille modi diversi, e alla fine una storia vale l'altra perché la storia è una sola, tempo che passa».
Su tutto la descrizione dell'ingegnere: «Non l'ho mai visto senza cravatta e senza camicia bianca, nemmeno nelle domeniche più calde d'agosto... Indossava solo vestiti grigi, più scuri o più chiari, di lana o di cotone secondo la stagione, e anche le calze erano grigie antracite. Le comprava solo da Schostal in piazza Euclide». Un uomo dalla grande dignità: «Dopo la guerra - racconta Italia - chi aveva saputo legarsi al carro vincente andava di gran carriera, chi era rimasto dalla parte sbagliata doveva ringraziare il cielo se poteva ancora scavare fogne. Ci hanno messo lì, e lì lavoriamo, aveva detto una volta l'ingegnere». Un uomo di quelli all'antica, che ogni Natale rispediva regolarmente al mittente la cassetta con quattro bottiglie di Chianti che gli arrivava in dono come direttore dei lavori. «Quest'Italia - ripeteva - non mi piace, e a lei, Italia, piace?». Una volta viene convinto dai suoi camerati e si candida alle elezioni. E i tre ragazzi, Tancredi, Giovanni e Marianna, vanno di notte ad attaccare i manifesti del papà per le strade di Roma. Risultato: trentotto voti di preferenza, penultimo della lista, ritiro alla vita privata e familiare. E il primogenito, che si schiererà con l'estrema destra, amava ricordare che «il padre aveva fatto la guerra dalla parte sbagliata, cos' ripeteva, come i troiani contro i greci, come i sudisti contro i nordisti e poi chi vince detta la storia al futuro».
Ma a un certo punto quella casa si va spegnendo. I ragazzi partono, prima muore la mamma e un anno dopo anche l'ingegnere. «Perché - dice la figlia Marianna - non si può tenere tutto insieme, perché una vita caccia un'altra, quand'è che staremo tutti insieme, tutti quanti, anche quelli che sono durati un'ora nella nostra vita, come in una festa di paese, il nostro paese?». Quando tutto è compiuto, Italia torna all'Istituto che l'ha preparata. E a sorpresa si scopre che lei non è mai invecchiata. e come se avesse sempre vent'anni. Obbediente e lieve, pronta a rimettersi a servizio di un'altra famiglia. Chi è questa ragazza che sa tanto più degli altri, che sembra procedere con un ritmo più lento e profondo, che sta in sintonia col respiro che precede e contiene ogni vita?
Luciano Lanna
Nessun commento:
Posta un commento