Articolo di Michele De Feudis
Dal Secolo d'Italia del 24 novembre 2010
Il teschio di un uomo di Neandertal e una disputa surreale, con un retrogusto geopolitico sancito dai soloni accademici. Un cerchio magico di pietre nella grotta Guattari ai piedi del Monte Circeo, un elettricista, Ajmone Finestra e le tante suggestioni di una esistenza pericolosamente in bilico sul crinale di un immaginario "fasciocomunismo": si fonda su queste corde il riuscito espediente letterario dell'ultimo racconto di Antonio Pennacchi, Le iene del Circeo (Laterza, pp. 211. € 10,00).
«Un capolavoro, un Pennacchi doc», spiega Lucio Caracciolo in una videorecensione sul sito di Laterza. Che aggiunge: «Leggendolo capirete perché Antonio Pennacchi non è molto amato nell'accademia italiana». Lo scrittore di Latina, vincitore del Premio Strega con Canale Mussolini (Mondadori), ha compiuto un imprevedibile e sorprendente "excursus" tra conventicole universitarie, cronaca di vita famigliare in un fondo rustico a Borgo Podgora e il ritrovamento di reperti del neolitico, il vissuto giovanile nel Msi, il ricordo affettuoso del fratello Gianni e un convegno internazionale del 1989 sul tema: "The Fossil Man of Monte Circeo: Fifty Years of Studies on th Neandertals in Latium". «Sinceramente - spiega Pennacchi nell'incipit "A scanso di equivoci" - non è un romanzo e secondo teoria e prassi della critica letteraria andrebbe forse più ascritto al genere dell' "invectiva" che a quella delle "confutationes". Io qui difatti - o almeno fino all' "Addendum" - non do spiegazione esaustiva di nessun problema escatologico, non fornisco la parola "che mondi possa aprire". Pongo solo una serie di interrogativi a certe spiegazioni che hanno fornito gli scienziati patentati, ma che a me non m'hanno per niente convinto. Pongo problemi. Faccio domande. Me diano loro le risposte. Se sono capaci». La storia parte da un misterioso ritrovamento nel 1939, durante i lavori di ampliamento dell'alberghetto dell'imprenditore Guittari, vicino al Circeo, «il suo elettricista Bevilacqua, scavando scavando, si era imbattuto nell'ostruzione di una apertura che - una volta rimosso l'ostruzione stessa - immetteva in un cunicolo stretto stretto che però alla fine sbucava in una grotta. Da questa grotta principale si dipartivano poi due antri secondari ed in uno di questi - che il Blanc (l'esimio Alberto Carlo, paleontologo di riconosciuta fama - n.d.r.) chiamò "Antro dell'Uomo" - c'era appunto un cranio... Era il 26 febbraio del 1939 ormai, e neanche venti giorni dopo, il 15 marzo, le truppe tedesche entravano a Praga. I nembi di guerra erano già tutti all'orizzonte... ma nonostante questo, la notizia fece il giro del mondo». Secondo la teoria scientifica del Blanc, «si trattava di una manifestazione di antropofagismo rituale da parte di un gruppo di Neandertaliani ai piedi del Monte Circeo», tesi corroborata dall'allargamento del buco occipitale nel cranio rinvenuto, al fine di poter facilmente prelevare il cervello per poterlo mangiare. Intorno al teschio erano disposte pietre che formavano un "cerchio magico". La biografia dello scrittore si interseca con questa querelle grazie al ricordato convegno internazionale di studi. «Ero un operaio che lavorava in fabbrica e che durante il tempo libero, la cassa integrazione ed altre fortunate coincidenze s'era messo a scrivere romanzi - che nessuno pubblicava - e a studiacchiare per contro suo... Era il 1989 ripeto, quasi trent'anni che era morto Blanc - 1960 - e cinquanta esatti da quando lui aveva scoperto il cranio del Circeo». Gli accademici si divisero per giorni, senza trovare un accordo né un punto di condivisione tra chi sostenne la tesi del cranio legato all'antropofagia e al culto arcaico dei morti e chi, di contro, asseriva (la scuola americana) inequivocabilmente che potesse essere stata «una iena l'ultimo essere vivente che ha visto e toccato questo cranio più di cinquantamila anni fa». Il dibattito fu spigoloso, il professor Antonio Ascenzi, dell'Accademia dei Lincei non si trattenne e attaccò polemico: «Non mi risulta che le iene o la natura si divertano a fare dei circoli di pietre per metterci dentro i crani». Nel 2006 il certamen ebbe una seconda puntata, con un nuovo convegno, a Sabaudia, per i centocinquantanni della scoperta dell'Uomo di Neandertal e un seguito di articoli e lettere polemiche pubblicate sul periodico Limes. Pennacchi, con velato sarcasmo, sottolinea una certa perversa esterofilia da parte dei ricercatori italiani: «A me - a dire la verità - all'inizio m'era pure venuto il sospetto che si trattasse del solito caso di noi italiani, che appena arriva uno dall'America e dice "Ho fatto una pensata", subito esplodiamo in coro: "E come no? Ciài ragione tu". Veltroni ci fece un congresso dell'ex Pci con lo slogan a tutto campo "I care", roba che i compagni poi, in fabbrica, di notte facevano la fila a chiedere: Mache cazzo vòr di' st'Icàre". Poi dice perché adesso votano per Berlusconi».
Sull'argomento, infatti, l'autore riporta anche la provocazione di un geologo, il professor Mortari, il quale intravide una cospirazione atlantica dietro la difesa delle posizioni "pro-iena": «Il teo-con! Il creazionismo, l'antievoluzionismo, l'attacco a Darwin». La descrizione di questa diatriba non propugna soluzioni che chiarifichino il quadro, ma alla fine, per una somma di casi della vita, che seguono proprio la circolarità delle pietre intorno al cranio, rimanda agli anni sessanta, quelli della giovinezza ribelle a latina, con una serie di incontri imprevisti, una ri-connessione con tanti protagonisti di un'altra epoca. Da qui l'appendice, intitolata "Il camerata Neandertal", un raffinato amarcord scaturito dalla battuta sul teschio di Ajmone Finestra, ufficiale decorato con croce di ferro di 2° classe tedesca, medaglia d'argento al valore militare della Rsi, prigioniero degli americani a Coltano, poi scampato ad una probabile fucilazione su ordine di un tribunale del quale faceva parte anche Oscar Luigi Scalfaro. «E come non lo so? Io l'ho visto lì sul posto, dentro la grotta del Guattari»: l'ex parlamentare neofascista si rivela, come nella sceneggiatura di un giallo, testimone oculare inconsapevole dell'intricata vicenda. Lo scrittore di Latina traccia un ritratto affettuoso di Finestra, "Il Federale", ricostruendone le imprese in grigioverde e l'umanità con cui trattava i partigiani catturati e fatti prigionieri, tra cui il principe Carlo Caracciolo, poi editore de l'Espresso e la Repubblica. Sono pagine che riconciliano con la politica intesa come visione del mondo, per la quale si può anche rischiare la vita.
Finestra e Pennacchi si incontrarono, uno professore e l'altro studente del magistrale nel 1964, tre anni dopo il primo era segretario provinciale del Msi, il secondo responsabile giovanile. "Il Federa'" però cacciò dal partito il giovane discepolo, complice una dimostrazione antiamericana ai giardinetti, insieme al fratello Gianni Pennacchi, esponendo striscioni con scritto "Peace for Vietnam". La partecipazione a questa protesta causò anche la dolorosa esclusione dalla squadra locale di rugby e da lì l'impegno politico di Antonio svoltò a sinistra, come ricordato ne "Il fasciocomunista". Nel 1968 i due ebbero un alterco per una scazzottata in piazza e da allora non si erano più parlati. La riconciliazione avvenne nel 1995: il personaggio del racconto "Palude" di Pennacchi era proprio ispirato al vecchio Federale missino, Finestra, allora sindaco, se ne rallegrò. Un incontro a tre in comune (c'era anche Nando Cappelletti) sancì la riappacificazione («io di sinistra e loro fasci, ma senza più acredine»). Negli anni successivi però si verificarono ulteriori convergenze rosso-nere con Pennacchi e il sindaco Finestra sullo stesso fronte contro le speculazioni edilizie legate al nuovo piano regolatore (poi ricostruite nel film Latina Littoria). Nando Cappelletti, ai tempi assessore, si dimise per coerenza con la propria storia politica: aveva una agenzia di pubblicità, da giovane grafico aveva realizzato i manifesti dei Campi Hobbit, la sensibilità ecologista e il diritto alla bellezza erano cardine della militanza già da allora. «Anch'io - scrive Pennacchi descrivendo il funerale di Cappelletti, scomparso a 58 anni - vicino a Ferdinando Parisella l'ho salutato per l'ultima volta con il braccio levato. Il saluto romano. Non per me, ma per lui, perché era un mio compagno e ci avrebbe tenuto». Il finale è pieno di colpi di scena, tra aneddoti legati alla scrittura di Canale Mussolini, un mal di schiena onnipresente e un "neurochirurgo fascio". Ma la chiave di volta della storia restano Finestra e Pennacchi (sul sito Laterza.it c'è anche una imperdibile videointervista), al punto che Paolo Forte, un tempo segretario di Lotta Continua nel capoluogo laziale, non può esimersi dal sottolinearne la curiosa e strampalata fatalità: «Sì, vabbè. Però come può essere che proprio a te e a Finestra capitino sempre queste cose? In mezzo a tanta gente che ci sta a questo mondo, perché proprio a lui, che ha fatto tante guerre, il fascista, il senatore, il sindaco, doveva pure succedere di vedere il cranio del Circeo e poi proprio a te, sessant'anni dopo, doveva succedere di metterti a studiarlo? Ma che, solo voi due ci state in questo mondo?».
Michele De Feudis
1 commento:
Superlativo! Anni fa quando lessi per la prima volta IL FASCIOCOMUNISTA rimasi letteralmente folgorato da Antonio Pennacchi. Proprio pochi giorni fa mi sono rivisto il cd del film "Mio fratello è figlio unico" ispirato al libro. Mi prende sempre moltissimo il finale, nel libro non c'è ma è bello comunque, in cui Accio novello Robin Hood assegna di sua iniziativa le chiavi degli appartamenti popolari a quella povera gente che aspettava da anni, grazie all'inefficienza dell'ente assegnante, un tetto migliore sotto il quale vivere. Ebbene secondo me quel gesto è anch'esso il riassunto di come si comporta un vero "fasciocomunista". Presto quindi la nuova creatura letteraria di Accio Benassi, pardon volevo dire Antonio Pennacchi, andrà ad occupare un posto speciale nella mia biblioteca un pò "sui generis".
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