Dal Secolo d'Italia del 20 settembre 2006
rubrica "Sei un Mito"
«Sono stata una principessa, una puttana, una santa: ho avuto centocinquanta vite in una». Si racconta, Claudia Cardinale, in una biografia avvincente come un romanzo: la storia – cui la parola fine è tenuta lontana da un entusiasmo esplosivo – di un’antidiva entrata nel mito senza mai rinunciare alla normalità, senza cedere di un millimetro ogni qual volta in gioco c’era la propria identità e un anticonformismo «selvatico» quanto irrinunciabile. Le stelle della mia vita (Piemme, € 17,90), da pochi giorni in libreria, altro non sono che «maestri, compagni e amici straordinari» incontrati in una vita talmente ricca di episodi che neanche il più immaginifico e fantasioso degli scrittori avrebbe saputo tratteggiare. Sarebbe stato impossibile per chiunque, del resto, prevedere un futuro altrettanto luminoso e impegnativo per la giovanissima «selvaggia orgogliosa e fiera» tunisina di origini siciliane, che sognava una vita avventurosa e spericolata di maestra nel deserto.«Una star era una specie di dea resa sacra dalle luci, i costumi e gli scenari, era qualcuno che viveva su un altro pianeta. Io volevo saltare, correre, e rincasavo spettinata e ricoperta di polvere». Ciononostante il cinema si sarebbe scomodato per andarla a cercare in quel fazzoletto d’Africa, attraversando il mar Mediterraneo, facendone prima la fidanzata d’Italia e poi consacrandola attrice internazionale ne Il gattopardo. In Tunisia, a dieci anni dalla fine della seconda guerra, la vita rimaneva dura per gli italiani che vivevano sotto il protettorato francese. Per molti francesi, l’Italia restava un paese fascista. «A scuola, le insegnanti evitavano di pronunciare il nome Cardinale all’italiana, saltando la e, che ci esponeva all’ostilità degli altri». L’attrice ricorda ancora come un gruppo di teppisti, «convinti di essere eroi», le distrussero a calci la cartella. Per gli immigrati, il cinema italiano era divenuto «una nuova patria». L’occasione, inattesa, giunse presto. Le società di produzione avevano un consolidato metodo di reclutamento, semplice quanto efficace: il concorso di bellezza. Persino Sophia Loren e Gina Lollobrigida erano passate per quella trafila. Le due grandi star che dividevano l’Italia – paese sempre pronto ad azzuffarsi - erano partite per Hollywood e occorreva trovare una nuova diva sulla quale investire. Ci avrebbe pensato l’Unitalia-Film, l’unione nazionale per la diffusione del film italiano all’estero, chiamando gli italiani di Tunisi ad eleggere l’italiana più bella della città. La vincitrice diventava così «il simbolo di un paese del quale a malapena parlavo la lingua», e con la fascia riceveva in premio un viaggio alla mostra di Venezia, l’ingresso nel sogno.In quegli anni il mito ha già un nome, anzi una sigla: B.B., sex symbol planetario. La bellissima attrice francese ha cinque anni più di Claudia, che ne è una fan: «Ero abbagliata dal personaggio di Brigitte Bardot. Aveva influenzato il look e il comportamento di tutte le ragazze della mia generazione. Come lei raccoglievo i capelli in una coda di cavallo, vestivo di nero, portavo maglioni a collo alto». Di certo non immaginava che nel ’71 avrebbe recitato con il mito ne Le pistolere. Claudia debutta ne I soliti ignoti di Mario Monicelli. E’ il ’58 e tutti, in Italia, vogliono scrollarsi di dosso la polvere di un dopoguerra sin troppo lungo. Se fino a quel momento la politica aveva fortemente condizionato il cinema, la voglia di divertirsi stava per prendersi la sua rivincita. Il cinema italiano si apprestava a mettere in soffitta il pessimismo del neorealismo per affidarsi alla vivacità della commedia. «Se, dopo la guerra, alcuni avevano pensato di promuovere la rivoluzione facendo piangere gli spettatori, quel tempo era finito» ricorda la Cardinale, che, nonostante il favore del pubblico, di ridere, in quel ’58, non aveva alcuna voglia. La partenza per Roma l’aveva sorpresa almeno quanto la scoperta di essere incinta dell’uomo che l’aveva stuprata per poi continuare a tormentarla. Il cinema l’aveva salvata, ma di abortire non voleva sentir parlare: «Un giorno avrei sentito dalle donne reclamare il diritto di scegliere. Quegli slogan mi hanno fatto male. Mio figlio l’ho scelto quando ho rifiutato di abortire, davanti alla mammana».Nel frattempo la sua carriera procedeva a ritmi impressionanti: «Accumulavo ruoli di ragazza, mentre presto sarei diventata madre». Le arriva in soccorso il produttore Cristaldi, spedendola a Londra per perfezionare l’inglese e soprattutto a partorire. Ma avrebbe dovuto tenere il segreto per lunghissimi e penosi anni. «Sarebbe stata la fine della mia carriera, ripeteva Cristaldi» che la mette - “gallina dalle uova d’oro” - sotto contratto con la sua Vides. Tra il ’58 e il ’73 gira oltre cinquanta film. Il cinema italiano era il secondo al mondo. Ogni anno si producevano sino a trecento film e vendevano oltre ottocento milioni di biglietti: ciò significava che ogni italiano adulto andava al cinema almeno una volta la settimana. Un vero fenomeno nazional popolare e la Cardinale incarnava l’euforia di quegli anni in cui tutto sembrava possibile e il miglioramento dei destini personali e collettivi dietro l’angolo. Si susseguono film di successo, in ruoli sempre più importanti. Ne Il bell’Antonio (’60) di Bolognini, tratto dal romanzo di Vitaliano Brancati, è Barbara, la moglie di un ragazzo impotente. E poi Rocco e i suoi fratelli (’60), La ragazza con la valigia (’61), La ragazza di Bube (’63). Ma il film che le avrebbe «cambiato la vita, aprendo la mia carriera al cinema internazionale» è il Gattopardo (’63) di Visconti. Il Gattopardo è l’unico romanzo del duca Giuseppe Tomasi di Lampedusa, scritto nel ’57, pochi mesi prima di morire. Il libro, pubblicato postumo, racconta le vicende di un principe che assiste con aristocratico distacco all’ineluttabile declino del suo mondo. Tradotto in dodici lingue, ha venduto milioni di copie. «In quegli anni, in cui la democrazia cristiana regnava sull’Italia, ma dove l’intellighenzia era di sinistra o di estrema sinistra, quel best seller mondiale aveva sollevato molte polemiche. Come considerare il principe di Salina? Un reazionario o un puro?» si domanda la Cardinale, che nell’adattamento cinematografico è l’eroina Angelica Sedara, accanto a Alain Delon. «Alain e io siamo gli esiliati dell’illusione che Visconti aveva creato per noi. Fino alla fine, resteremo dei principi decaduti che hanno conosciuto la grandezza del regno». Ancora oggi, in tutto il mondo, Angelica ha il volto di Claudia Cardinale. Contemporaneamente gira anche 8 ½ con Federico Fellini, passando disinvoltamente dalle eleganti vesti di Angelica a quelle sbarazzine della musa che ispira il regista depresso interpretato da Mastroianni, spostandosi dai fasti di Palazzo Gangi di Palermo alla semplicità di Cinecittà, costretta continuamente a cambiare tintura dei capelli «perché nessuno dei due giganti poteva tollerare che portassi la parrucca». Se il film di Fellini riscosse un clamoroso trionfo popolare, il Gattopardo a Cannes ricevette la palma d’oro senza dibattito: «il più bel film che si sia mai visto».Era giunto il momento di andare alla conquista di Hollywood. Sempre tenendo fede ai suoi principi, come ad esempio non mostrarsi nuda nei film: «Non ho mai mostrato il seno. Ho girato quasi duecento film riuscendo nell’impresa. Sono convinta che al cinema la nudità uccida l’erotismo». «Non sei una donna, sei un maschiaccio» l’ha rimproverata con affetto John Wayne, che con lei ha girato Il circo e la sua grande avventura (’64). «La Cardinale è una delle rare donne al mondo a poter brandire una mazza o un revolver senza far piegare in due dal ridere tutta una sala», testimonierà José Giovanni, autore di romanzi polizieschi pubblicati dal “fascista” Roger Nimier e poi regista di successo. Senza mai rinunciare alla sua femminilità. Sergio Leone, il maestro che la dirigerà in C’era una volta il west (’68), giudicherà quel ruolo femminile il più bello tra i tantissimi film della sua lunga attività di regista. Vaccinata al fascino maschile, dopo aver respinto le attenzioni di colleghi dal carisma di Jean Paul Belmondo, Steve McQueen, Paul Newman, Marlon Brando e Robert De Niro, finirà per innamorarsi dell’«unico che non mi voleva, un ombroso regista napoletano il cui sguardo trasparente era tagliente come l’acciaio», il coetaneo trentatreenne Pasquale Squitieri, avvocato, attore, politico idealista «tormentato dalle ingiustizie», già famoso per aver girato Camorra. Pagheranno entrambi le ire di Cristaldi, che nel frattempo aveva sposato la Cardinale e riconosciuto il figlio. «Era il padrone, quello che faceva il bello e il cattivo tempo, dava lavoro o condannava al silenzio». Se Squitieri dovrà rinunciare ad alcuni suoi progetti, l’attrice faticherà non poco a riconquistare la scena, nessun regista voleva inimicarsi il produttore più potente del cinema italiano. Insieme faranno diversi film, tra cui I guappi (’74), Il prefetto di ferro (’77), Corleone (’78), Atto di dolore (’90) e Claretta (’84), «una donna che in Italia era un mito». Squitieri, che più tardi diventerà senatore di Alleanza Nazionale, «non ha avuto paura di essere trattato da fascista consacrando un film ad un soggetto tabù: Mussolini» ricorda la Cardinale. E malgrado siano due spiriti liberi innamorati della propria libertà e abitino lontani, il regista a Roma e l’attrice a Parigi, sono più legati che mai, come «una vecchia coppia» qualsiasi.La Cardinale è a pieno titolo una delle icone più rappresentative del nostro cinema – non a caso il suo volto è tra i trentasei prescelti dal glorioso Studio Luxardo per raccontare, in una mostra a Palazzo Venezia a Roma, l’epoca d’oro del grande schermo – ma non si è seduta sugli allori né si è accontentata dei tanti premi ricevuti. Oltre al suo impegno politico in favore delle donne come ambasciatrice per l’Unesco, negli ultimi anni si è dedicata con passione al teatro e dal prossimo 17 ottobre potremo ammirarla di nuovo ne Lo zoo di vetro di Tennesse Williams al Teatro Eliseo di Roma nel ruolo di Amanda, una madre innamorata dei suoi figli. E dalla famiglia la donna Claudia ha sempre tratto la forza: «Ho avuto la fortuna di averne una. Per me è sempre stato un faro, un punto di riferimento». Niente di più atipico nel mondo di celluloide.
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