sabato 9 dicembre 2006

Moana, la Marilyn dell'anticonformismo

Dal Secolo d'Italia di mercoledì 8 marzo 2006
rubrica "Sei un mito"

Alta, bionda, occhi verdi, curve mozzafiato. Bellissima. Scandalosa. Trasgressiva. Contraddittoria. Ammirata da tutti, senza distinzioni: vecchi pensionati frequentatori di cinema porno, giovani studenti in cerca di emozioni usa e getta e intellettuali seri e rispettati. “A Moana, e il resto è silenzio”. Con queste parole Indro Montanelli le dedica un suo libro. Siamo nei primi anni Novanta. Moana è candidata alle elezioni con il partito dell’amore, movimento che vuole riunire “tutte le persone fuori dai giochi politici”. La sponsorizza Ilona Staller, già deputato dello stesso partito. L’intenzione è quella della staffetta tra pornostar. Eppure le due donne sono diversissime. La diva genovese è lontana anni luce dal cicciolinismo degli anni Settanta. Intelligente, colta e sensibile, nessuna concessione alle battute facili, al doppiosenso, all’esibizionismo fine a se stesso, al personaggio caricaturale da commedia erotica in servizio permanente effettivo. “Una star di testa e parola, pensante e ragionante, sempre presente a se stessa, mai abbandonata alla deriva del cinema o della televisione” l’ha definita Marco Giusti, che nel 2004, decennale della morte, ha pubblicato Moana, un libro che raccoglie un coerente blob sulla vita della Marilyn italiana. Non è un caso se la foto scelta per la copertina è la stessa pubblicata anni prima da Panorama, con Moana distesa su un lenzuolo rosso nella celeberrima posa dell’attrice americana. E’ una vocazione e un destino. Non viene eletta e non varca il portone di Montecitorio. Ma nessun altra icona erotica è riuscita a radicarsi altrettanto diffusamente nell’immaginario collettivo degli italiani. Non soltanto degli uomini. Non soltanto del voyeurismo militante di chi ne vede i film o assiste ai suoi spettacoli. “Impone alla scena italiana un tipo di cultura, di intelligenza e di grazia che nessuno avrebbe pensato in una pornostar”, scrive Giusti. A lei si ispirano fumetti hardcore, pièce teatrali e cataloghi d’arte. Come tutti i personaggi più importanti, ha chi la imita. Compito non facile. Moana è colta, misurata, professionale, abile nel gestire la sua immagine. Alla Guzzanti non rimane che esasperare proprio la sua serietà, presentarla come una maestrina del sesso, rigida e severa. E professionale lo è: “amo il senso del dovere”. Quando lavora in televisione non dà confidenza a nessuno. Si prepara, legge, tratta tutti con cortesia e distacco, senza smorfie e ammiccamenti. Imperturbabile. Ironica: “Che Guevara? Non so chi sia. Bisogna che mi informi, così se me lo chiedono non faccio una brutta figura”. Non rinuncia ad esprimere la propria concezione della vita e del mondo. Marco Gregoretti ha scritto su GQ che Moana era di destra e odiava i comunisti, di sicuro il suo anticonformismo è praticato: “la normalità non mi piace, non mi ci trovo bene, affatto”. Detesta le “femministe cretine”, il femminismo più becero, che liquida la pornografia come “sfruttamento della donna”. Critica che Moana rispedisce al mittente: “la vera perversione è la routine, l’abbrutimento nel lavoro quotidiano”. Aveva partecipato al concorso di miss Italia nel 1981, classificandosi tra le prime dieci, è si era sentita molto più mercificata che non su un set pornografico, lì è tutto più esplicito, paradossalmente pulito, osceno ma non volgare ed è la donna ad essere protagonista. “Per esperienza personale, non c’è tristezza su un set hard”, testimonia il regista Davide Ferrario, che per realizzare il film Guardami (1999), ispirato proprio a Moana, trascorre diversi giorni a Budapest, su un set a luci rosse allestito in un castello. “La pornostar – osserva – è un’icona che mette in crisi la cattiva coscienza postfemminista degli uomini maturi”. Come ha scritto Stefano Re, scrittore e autore di FemDom. Preludio all’estinzione del maschio (Castelvecchi), è Moana a “indirizzare il proprio destino, valorizza l’erotismo che mercifica. Nelle sue espressioni esprime passione, affettuosità, trasporto. Vive l’eros come espressione della sua identità femminile e lo vende senza perderne il possesso”. Sceglie per sè il motto almirantiano: “Vivo come se dovessi morire subito, penso come se non dovessi morire mai”. Il marito, Antonio Di Ciesco, racconta che dopo gli spettacoli Moana, dismessi i panni – si fa per dire – della bomba sexy, torna a casa e legge Thomas Mann. Tra le sue letture figurano D. H. Lawrence, Kundera, Poe e persino Le confessioni di Sant’Agostino, libri di storia medievale e soprattutto Nietzsche. Del filosofo tedesco l’appassiona il concetto della “volontà di potenza”: una copia dello Zarathustra è sul comodino in camera da letto. Non ama la mondanità, tantomeno i salotti buoni. Frequenta locali per omosessuali. Quando si candida, dichiara di voler difendere i loro diritti. E i gay ricambiano. Per loro, scrive Giusti, è “una blonde venus, una venere bionda, sul modello di Marlene Dietrich”. Aveva studiato recitazione alla scuola Alessandro Fersen e recitato al teatro Parioli di Roma ne L’adorabile impunita. Raccomandatissima da Craxi, mentore ed amante, era approdata giovanissima in Rai, iniziando come comparsa a Sereno variabile e valletta nel programma per bambini Tip Tap Club (1981). Avrebbe dovuto presentare Jeans 2 (1987) insieme a Fabio Fazio, ma la protesta della Federcasalinghe ne provoca l’esclusione. Pochi mesi dopo viene ingaggiata da Ricci per Matrjoska su Italia Uno, ma la trasmissione viene soppressa dopo una sola puntata perché ritenuta “troppo provocatoria” dai vertici Fininvest. Aveva avuto particine in commedie all’italiana lavorando con registi di grido come Verdone, Vanzina e persino con Fellini in Ginger e Fred (1985). Sfilato come modella per Chiara Boni, Fendi e Karl Lagerfeld. Ma aveva scelto la pornografia come professione affidandosi nel 1986 all’agenzia di Riccardo Schicchi: “non mi posso definire una vera attrice, perché amo interpretare esclusivamente me stessa e la decisione un po’ pazza di diventare una pornodiva è nata dal preciso desiderio di fare qualcosa nello spettacolo di poco tradizionale e scioccante”. Ma anche come scorciatoia per il successo: “le lunghe gavette non fanno per me”. Consapevole delle difficoltà e dei pregiudizi che avrebbe affrontato: “Sul palco rischio, il mio è un mestiere da kamikaze”. La sua irruzione in televisione, finalmente come opinionista, ne L’araba fenice, altro programma di Ricci del 1988, è dirompente. Riesce ad imporsi nel piccolo schermo con autorevolezza nonostante la nudità ostentata. La sua carica esplosiva è la risposta postmoderna al “dadaumpa” delle sorelle Kessler. Il trionfo del vitalismo degli anni Ottanta sull’ideologismo degli anni Settanta e il conformismo rassicurante dei Sessanta. Il suo stile di vita ne rappresenta l’esaltazione più magnificante: l’attico da due miliardi all’Olgiata a Roma, la mercedes coupé 3500 nera con gli interni in pelle rossa, la passione per lo champagne Cristal, per il lusso e tutto ciò che è “bello”. Viene invitata nei talk show più importanti, intervistata da Dario Bellezza, Roberto D’Agostino, Maurizio Costanzo, Giuliano Ferrara e Pippo Baudo. E da tutti trattata con rispetto. Il suo mito resiste ancora oggi in un susseguirsi di colpi di scena e battaglie legali, come quella tra i genitori e il marito per l’eredità miliardaria della diva. Come se non fossero bastate le centinaia di copertine che le sono state dedicate mentre era in vita - dalla prima su Blitz nel 1984 a quella, più prestigiosa, dell’Europeo nel 1985 - di Moana si torna a parlare con sempre maggiore insistenza. Un giornalista abruzzese, Brunetto Fantauzzi, è arrivato persino a sostenere che sia viva e la morte, all’ospedale Hotel de Dieu di Lione, per un carcinoma al fegato, il 15 settembre 1994 (e annunciata solo 2 giorni dopo), solo una messinscena di Moana per iniziare, a trentatré anni, una nuova vita. Inevitabile l’accostamento con un altro grande mito, Jim Morrison, morto nel 1971 a Parigi in circostanze altrettanto misteriose. Jacques Rocard, nel libro Vivo! afferma, infatti, che si trattò di una “morte simulata”, così da consentire a Morrison, sempre più stretto nel ruolo di rockstar, di sparire e lasciare spazio al poeta nietzschiano James Douglas. Il pamphlet di Fantauzzi, E viva Moana! Giallo politico (2005), è alla sua terza edizione e ha provocato l’apertura di un’inchiesta della Procura di Roma. Il giornalista sostiene che la diva avesse affermato che l’ambiente intorno a lei, malavita e servizi segreti, si fosse fatto pericoloso e che meditasse di abbandonare tutto per farsi da parte. Del caso se ne è occupato anche Chi l’ha visto che, al riguardo, avrebbe trovato la documentazione che proverebbe l’avvenuta cremazione. L’uso del condizionale è d’obbligo, perché molti rimarrebbero i punti interrogativi. Sempre la trasmissione di rai tre, in tempi più recenti, ha ospitato l’ultimo colpo di scena della saga: la rivelazione. Simone, il fratello venticinquenne di Moana, sullo slancio della rinnovata curiosità sulla pornodiva, ha annunciato di esserne il figlio. Neanche a farlo apposta, poche settimane dopo, è arrivato in libreria – fresco di stampa – un pubblicizzatissimo memoriale proprio del fratello-figlio, accompagnato da una prefazione scritta, guarda caso, proprio dalla giornalista della trasmissione che l’aveva intervistato. Un’operazione commerciale? Una speculazione? Non c’è mito che non produca gadget e polemiche. Moana non fa eccezione. A distanza di tanti anni resistono persino scritte e graffiti sui muri che invocano il suo nome. Moana, la “madonna del Decamerone”, come l’ha recentemente definita sul Giornale Vittorio Macioce, vive, comunque.


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