sabato 19 maggio 2007

Fascisti Immaginari

Risistemando i libri sugli scaffali, mi è capitato tra le mani Percorsi di marzo/aprile 2004, con una mia recensione di Fascisti Immaginari, la bellissima antologia di Luciano Lanna e Filippo Rossi. La posto anche qui, a futura memoria.
Fascisti sì, ma immaginari. Fascisti orfani del fascismo. Fascisti persino antifascisti. Fascisti per sempre, parafrasando un film di Marco Risi. Impresentabili, golpisti d'ufficio, reazionari loro malgrado, reietti, avanzi, ma non quelli politicamente corretti dell'omonima trasmissione satirica televisiva. Fascisti per scelta, spesso di altri. Fascisti autoreferenziali e fascisti senza referenze. Abusivi in un dopoguerra lunghissimo, allungato all'infinito dai tessitori dell'opinionismo che conta. Finchè l'elastico, troppo a lungo straziato, non si è spezzato, rumorosamente. Restituendoci indietro lo sterminato mondo della destra diffusa, postfascista e afascista, ma anche libertaria, anarchica e guascona. L'antologia di Lanna e Rossi è questo. Lo sforzo di raccogliere i pezzi caduti in terra, i cocci di una storia infranta, di una contaminazione sottile. La fatica immane di raccontare un immaginario disperso, frammentato, ignorato. Per la prima volta a parlare non sono questionari universitari. «Da uno a dieci quanto vi piace Julius Evola? Da unoa dieci quanto vi sentite di destra?». Non parlano le gole profonde delle sezioni di partito. Non parlano i nati dirigenti. Con la loro aria diligente e la risposta pronta. Parla il popolo della destra che non sapeva di essere di destra. Che non saprebbe spiegare di quale destra e perchè. Una destra non ideologica, poco fedele al marchio d'origine, insofferente ai dogmi, curiosa nei confronti della modernità. Una destra fondata su suggestioni astratte, esistenziali e letterarie, piuttosto che sensibile a parole d'ordine. Ci sono salutari dosi di autoironia in questo libro poderoso. Da sfogliare, con leggerezza. Non c'è enfasi retorica. Non c'è compiacimento nel racconto concentrato di questi cinquanta anni di costume e vite vissute. «Occhiali da sole, gnomi, mercenari e piumini Moncler, dischi e paracadustisti, vernice e guantoni da boxe, uniformi e poesie, macchiette, studiosi e avventurieri» scrive nella prefazione Filippo Ceccarelli. Ci sono la storia, i miti, i gusti, le letture di coloro che erano contro. Out. Indegni di partecipare alla grande festa democratica. Una condanna senza appello. Spesso autoinflitta. Giuseppe Berto l'aveva scritto: «La mia generazione ha commesso un'infinita di errori, ma l'errore più grosso è quello d'essersi coltivata dentro un senso collettivo di colpa, una convinzione d'indegnità che ci ha portato sbrigativamente al disinteresse, alla rinuncia ad esercitare una funzione attiva nella società e persino nella famiglia». Questo libro rappresenta una terapia ed un efficace esorcismo. Il biglietto da visita di una identità riconquistata. Un riconoscimento. Un atto di fede. Fascisti sì, ma immaginari, ognuno con un fascismo disegnato a propria immagine e somiglianza. Ricorrendo a molte licenze poetiche, interpretazioni fantasiose, confondendo le proprie aspirazioni con un fascismo che non c'era più. Ma c'è anche molto altro nel libro. Gli autori mettono in campo la nazionale degli outsider. Anzi, diremmo l'internazionale, se non fosse categoria marxiana. Ed ecco, su tutti, spuntare tra le pagine due campioni dell'anticonformismo, di cui la sinistra si è da tempo indebitamente appropriata: Charles Bukowski e John Fante. Era fascista Bukowski, l'autore di Storie di ordinaria follia? Giammai, la sua faccia butterata è perfetta quale icona dell'antiamericanismo pret à porter. Era un beat e come tale di sinistra, protestano indignati i professorini. Storie. Al riguardo Hank aveva le idee chiare: «I primi beat, almeno, avevano l'Idea. Ma sono stati presto affiancati e travolti da impostori, tipi dalla barba ben curata, prime donne, poetini in ritma baciata». Adorava sbeffeggiare «beatniks, hippies, proto-hippies, maoisti, contestatori, sessantottini», ribelli di professione con «il dente troppo tenero». «Si attaccano alla tetta dell'adulazione umana, la succhiano ed eccoli ben presto inghiottiti». Preferiva Bach alle protest-song di Bob Dylan e John Baez. Rifiutava il mito dello scrittore impegnato e progressista, era un artista del grottesco, con il gusto della battuta sarcastica: «In democrazia prima si vota e poi si prendono gli ordini, nelle dittature almeno non si spreca tempo a votare». E cosa dire di John Fante, celebrato nell'Italia del dopoguerra come narratore proletario, solo perchè raccontava le umili vicende della sua famiglia italiana, i mitici Bandini, emigrati negli Stati Uniti per sopravvivere. Eppure ogni occasione era buona perchè John, che aveva come modello Knut Hamsun ed amava fortificarsi con «pesanti dosi di Nietzsche», ostentasse la sua avversione al comunismo, all'intellighentia rossa, al «marxismo da salotto di uno stupido gruppo di laureati di Harvard». Aveva faticato per sfondare nel mondo letterario e ancora prima per affermarsi come sceneggiatore cinematografico. Italiano, cattolico e «insensibile alle cause della sinistra», ebbe a definirlo la vedova, la poetessa Joyce Smart. Tre ottimi motivi per essere guardato a vista da coleghi e critici militanti, quasi fosse un rinnegato, un infiltrato, un provocatore. E lui si vendicava come poteva, alla sua maniera. Irriverente ed esagerato, maestro nell'esasperare i tratti ed insultare: «I poveri non sono mai rossi. I finocchi sono rossi!». Destino comune, quello degli irregolari di ogni tempo e nazione. Quando sono bravi diventano, o li fanno diventare, di sinistra. Poi, per fortuna, arriva in soccorso qualcun altro fuori dal coro, come Lanna e Rossi, ed Hank e John tornano ad essere fascisti, immaginari.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Fascisti Immaginari è un libro bellissimo, che si legge sfogliandolo quà e là, e ogni volta ci trovi qualcosa di nuovo, che ti era sfuggito.Tutto il nostro immaginario, o supposto tale, è condensato in quelle pagine che contribuiscono a svecchiarci di tanti retaggi che ci sono stati appioppati sia da sinistra, ma anche dalla stessa destra.Ippolito Edmondo Ferrario
www.ippolitoedmondoferrario.it

Roberto Alfatti Appetiti ha detto...

Ciao Edmondo, un abbraccio forte e a presto.

Anonimo ha detto...

Grazie, leggere commenti così dopo qualche anno dall'uscita del libro è una cosa che riempie di orgoglio. Filippo Rossi

Anonimo ha detto...

Fascisti immaginari: si corre il rischio di essere troppo immaginari e poco fascisti.Con tutte le conseguenze pericolose del caso

Anonimo ha detto...

è un po' di tempo che frequento "l'ambiente" e curo una piccola libreria di periferia dell'"area"... e per quel che può valere ritengo che Fascisti immaginari sia uno degli esperimenti più intelligenti e stimolanti che mi sia capitato di leggere: originale ed accattivante non "puzza di vecchio" e di catacombale come troppe delle "nostre" pubblicazioni.
Un grazie di cuore agli autori che hanno regalato a tutti noi un ventata di freschezza una boccata d'aria per un ambiente quasi costantemente immerso nell'apnea del vecchiume!
Francesca Delmastro

salvatore martorana ha detto...

E' diventato atto di maturità affermare che destra e sinistra sono categorie passate, figuriamoci rosso/nero-comunista-fascista... però non si può non rimanere affascinati da questo spulciare, come fatto anche da Mellone, nello scibile per trovare orme, tracce, odori che richiamino alla nostra interpretazione di destra/sinistra o, appunto, di fascismo.