giovedì 5 luglio 2007

Don Backy, la via italiana alla beat generation

Dal Secolo d'Italia di giovedì 5 luglio 2007

Non c’è niente di più triste dei libri scritti dai cantanti “arrivati”(o da loro commissionati) per raccontare la propria carriera: ammiccanti, patetici nello sbandierare un imbarazzante tardogiovanilismo, moderatamente rivoluzionari, intenti a gestire il successo con puntigliosità da ragionieri imbolsiti, attenti a miscelare banali dichiarazioni per interviste usa e getta. L’ultimo libro di Don Backy, fresco di tipografia nonostante il gran caldo di questi giorni – Questa è la storia… Memorie di un juke box (€ 29,50 per la bellezza di 591 immagini e un milione di battute contenute in 256 pagine di grande formato, Coniglio Editore) – non attiene a questo genere di feticismo autoreferenziale. Perché, pur attraverso le sue esperienze personali raccontate in terza persona, l’artista di Santa Croce sull’Arno, Pisa (classe ’39), ci restituisce, con ricchezza di episodi, originalità d’opinioni e (va detto) abilità di scrittore, gli ultimi 40 anni del nostro costume. Già, perché questo toscanaccio dai mille talenti, oltre ad essere cantante e autore di ben 400 canzoni, attore di cinema e teatro con 23 film e due commedie musicali sulle spalle, disegnatore di tre fumetti pubblicati e pittore, rimane uno scrittore che conserva immutato il gusto della sfida, pronto a rimettersi in gioco senza accomodarsi in un clichè, ancorché collaudato.
Nel libro appena edito, che mette insieme – seguendo l’ordine temporale degli avvenimenti – una vera e propria trilogia del nostro immaginario collettivo ("Rock and roll", "Storie di strada beat", "C’era una volta il Clan") Mario Olivieri lo presenta così: «Un cavaliere di ventura nato in ritardo, un duro sentimentale, un tranquillo che prende fuoco nell’acqua, cui si adatta una celebre considerazione di Ennio Flaiano: “La serietà è apprezzabile soltanto nei fanciulli. Negli uomini saggi, è il riflesso delle rinuncia”». E la saggezza non è certo la qualità migliore di Don Backy. Ben cosciente che andare controcorrente presenti ostacoli: «Quando non si è allineati non si esiste per i salotti e gli ambienti che contano. Va avanti solo chi è omologato, chi ha le idee in linea». Del resto aveva preso alla lettera l’invito che Jack Kerouac aveva rivolto alla sua generazione: «Scrivi perché il mondo possa leggere e vedere le immagini precise che ne hai».
La sua vita è un romanzo: nel ’55 «aveva sedici anni e James Dean era appena morto…». Poco incline agli studi, smise di frequentare le magistrali e si inventò cantante senza aver mai suonato prima, suggestionato dalle immagini di Freddie Bell and his Bell Boys – che avevano eseguito Giddy Up A Ding Dong – e dalle note di Only you, ascoltata dai Platters. L’onda anomala del rock and roll si apprestava a “sconquassare” il Vecchio continente, così come le poesie beat, e Aldo Caponi era pronto a trasformarsi in Agaton e poi in Don Backy in un percorso tutto all’insegna di una personalissima via italiana al beat.
«Volevo rinnovare la nostra musica e non galleggiare nelle cover dei testi inglesi e americani come allora facevano in troppi» ha scritto Don Backy. La contestazione guascona, vitalista ed estetica dell’artista toscano era ben diversa da quella degli pseudorivoluzionari che iniziavano ad affollare le università e a fare proselitismo nel tentativo di alimentare ideologie nate vecchie con il ribellismo giovanile. «Io avevo ben altro per la testa, quei contestatori dell’università, Curcio, Capanna, Negri e nipotini vari volevano solamente andare al potere. Noi eravamo contro in ogni caso».
Quello di sinistra era un mondo che sentiva estraneo al suo immaginario, «permeato com’era delle amate atmosfere guareschiane. Per la sua concezione romantica – non illuminista – del mondo, non avrebbe mai potuto rinunciare all’emozione, alla bellezza, alla poesia, allo stupore». In controtendenza, Don Backy nella sua Serenata, canzone anticapellona in cui invita tutti i «lungocrinuti a passare dal parrucchiere», strapazza «chi si faceva crescere i capelli fin sulle spalle» riducendo la rivolta generazionale ad una banale questione di look, sostituendo ad un vecchio conformismo bacchettone un nuovo conformismo, altrettanto omologato ed omologante. Affermazioni decisamente coraggiose, che gli fecero rischiare il pestaggio, quando un gruppo di «zazzeroni» tentarono di aggredirlo per raparlo a zero.
La sua principale preoccupazione, scrive nel libro, era di far sopravvivere lo spirito autentico di quegli anni, di salvare le sue canzoni dalla marea ideologica che montava a sinistra. «Le sue canzoni non ne furono contagiate. La creatività non doveva essere gettata all’ammasso, circoscritta e in ostaggio di aggettivi: impegnata, di contestazione, di protesta o di convenienze e anticonformismi di maniera. Pur tuttavia, avvertiva l’incamminarsi di un treno – sul quale alcuni si erano già accomodati – che forse gli sarebbe convenuto prendere, per tutta quella serie di agevolazioni – che aveva letto su un libricino di Flaiano – che adesso gli tornavano alla memoria per chi si iscrivesse al Partito Comunista».
Arrivò, come lo definisce, il momento de “l’approfondimento politico”: «Davanti all’Università Statale era in corso un sit-in di studenti. Qua e là spuntavano cartelli che chiedevano la fantasia al potere. Seduto ad un tavolino Mario Capanna – la loro guida pratica – se ne stava da solo, con il capo chino su un libro di Marcuse, dove pareva potesse trovarsi la formula per cambiare un sistema immobile. Don preferiva ripensare «al coraggio di Jan Palach, un giovane cecoslovacco di ventuno anni, che – alla maniera dei bonzi – si era dato fuoco. Tentava di immedesimarsi nell’atroce sofferenza provocata da quel gesto estremo – fatto per per salvare la Cecoslovacchia dall’invasione Sovietica – ragionando con se stesso, quasi a chiedersi dove sarebbe potuto arrivare lui per un ideale». Opinioni che non si fa scrupolo di ripetere in televisione. Nel ’69, ospite della trasmissione Speciale per voi, arriva a prendersela con chi per superficialità sposa gli slogan in sinistrese. Non ha difficoltà a riconoscere di essere di destra. Lo allontanano dalla tv e probabilmente anche per questo il suo primo romanzo, Io che miro il tondo (pubblicato da Feltrinelli nel ’67), «nonostante il grande successo di pubblico e l’accoglienza favorevole della critica, non fu mai più ristampato dalla casa editrice». Sempre nel ’67 - quarant'anni fa - osservando una copertina di una nuova rivista di fumettu, la Sgt. Kirk, la prima a pubblicare per la prima volta Una ballata del mare salato di Corto Maltese, era arrivata la folgorazione per la letteratura disegnata. «Una sensazione coinvolgente e magica» che lo porterà a seguire le orme del maestro Hugo Pratt e di Dino Buzzati, dal cui Poema a fumetti ha “rubato” – come ha scritto Vincenzo Mollica – «la voglia di sperimentazione e di divertimento» che animavano il grande scrittore. Sino a dare vita, nel ’74, ad una bellissima storia che, anni dopo, approderà in tv sotto forma di commedia musicale a fumetti. E anche se alcune sue canzoni hanno cullato i sogni di milioni di giovani e meno giovani, come L’immensità e Poesia, l’ultima bellissima canzone composta per il Clan di Celentano (con il quale romperà burrascosamente, ndr), è forse proprio in quei disegni, nei colori e nei testi, che si esprime più compiutamente la sua sensibilità di antagonista: «Mercanti avari, falsi missionari / vi ruberanno i fiori / in cambio di macerie congelare / e solo vermi, in luogo di rugiada / divoreranno i semi / di civiltà per secoli vissute».

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Lasciamo la parola a lui:

http://www.youtube.com/watch?v=SD6bg8rNgK4

http://www.youtube.com/watch?v=LQXHEa9lOSw

Grazie Roberto

P.S. sapete che trovare in libreria un volume di Ennio Flaiano di questi tempi è come andare a caccia della pentola d'oro... Chissà perchè?? (ironico)... Un pò come per le opere di Ezra Pound...

Cordialmente
Susanna Dolci

Anonimo ha detto...

Chapeau! ivo germano

Roberto Alfatti Appetiti ha detto...

Grazie Susanna! In questi giorni sono al mare e ci metto un po' a rispondere...

Un saluto e un ringraziamento a Ivo Germano, che seguo con estremo interesse.

A presto.