Posto l'articolo di Renato Nicolini pubblicato da L'Unità il 27 luglio 2007 in riferimento al mio articolo del 27 giugno scorso.
L’Estate Romana e la sfida di Veltroni
di Renato Nicolini (nella foto)
È almeno da quando ho letto sul Secolo d’Italia («E se invece di Walter avesse vinto Renato? Fu Nicolini nel ’77 a puntare sul nesso politica-immaginario», paginone centrale con richiamo in prima: «L’eresia di Nicolini che affascinò anche la destra») che mi sembra di dover rispondere parlando del Partito Democratico. Quella sera stessa - l’ormai lontano 27 giugno - avevo ascoltato su Sky il discorso di candidatura alla sua guida di Veltroni a Torino, incollato al televisore fino alle due di notte. Veltroni - ho sentito più ancora che pensato - ci invita a guardare avanti e non indietro, statue di sale come la famosa moglie di Lot, perché possano manifestarsi tutte le anime possibili del nuovo Partito Democratico. Perché il nuovo non sia soffocato, ancora in culla, da due genitori forse troppo possessivi come i DS e la Margherita. Walter mi ha appassionato perché penso che rimescolare le carte della politica serva all’Italia non solo dalla svolta di Occhetto dell’89 (cui mi opposi perché decideva di cambiare il nome del PCI senza sapere come cambiare il Partito), ma (almeno) dai tempi della nascita nel ’63 del centro sinistra e della crisi del ’68. (Strano che non si possa veramente guardare avanti senza fare insieme i conti col passato... ). I primi passi del Partito Democratico mi sembrava invece avessero prodotto una paradossale perdita di consensi ed attrattiva a sinistra, risucchiandolo forzatamente verso il buco nero del Family Day, la famiglia scritta all’inglese e (manifesto rivelatore) di plastica, insomma verso un nuovo centrismo. Veltroni segretario però non basta, da solo, a fare un nuovo Partito. La storia politica d’Italia, dopo il decennio ’68-’77 - ed anche dopo l’89, dopo Mani Pulite e, perché non dirlo?, dopo la discesa in campo di Berlusconi - non coincide più con la storia dei partiti. Il populismo mediatizzato che oggi toglie potere alla politica non nasce precisamente in Parlamento. Come possono scendere di nuovo in campo le tante anime della democrazia dell’ascolto, del conflitto e del confronto, respinte ai margini dalla logica degli interessi particolari, della spartizione del potere, dell’egemonia di gruppi sempre ristretti e sempre meno trasparenti?Furio Colombo, annunciando la propria candidatura alla Segreteria del Partito Democratico, in alternativa allo stesso Veltroni, ha dato un buon esempio, seguito da Rosy Bindi. Purtroppo subito contraddetti da un regolamento che sembra pensato per scoraggiare altri a fare altrettanto. Me, per esempio, che ne sono stato tentato, nell’ipotesi di una Costituente davvero aperta, dove è importante la presenza di chi la politica la vive senza farne la scelta di vita. Ma l’avrei fatto poi davvero? Perché la mia Estate romana - apprezzata trent’anni dopo anche dal Secolo - è stata un momento, abbastanza importante, della formazione politica del giovane Veltroni. Non lo dico io, lo dicono gli storici come Grazia Pagnotta (Sindaci a Roma), che rintraccia la radice del veltronismo «nella politica della cultura dell’assessorato Nicolini degli anni Settanta».Quell’Estate romana è rimasta - trent’anni dopo - nell’immaginazione di tanti - nonostante i tentativi di respingerla nell’effimero, o di omologarla al mercato culturale. Ha fatto sentire a tanti - in un periodo difficile, quello degli anni di piombo - di avere diritto alla città ed alla cultura, senza l’obbligo di trasformarsi in un’unica massa plaudente. Ha scritto un grande architetto, Louis Kahn: «una città è un luogo dove un bambino, quando l’attraversa, può vedere qualcosa che gli dirà quello che egli desidererà poi fare per tutta la vita». Credo che, forse inconsciamente, volessi conservare ai miei figli - Ottavia è nata lo stesso giorno di “Massenzio” - il diritto di vivere in una città che potesse ancora esprimere la meraviglia urbana, almeno in certi momenti d’estate. Forse c’è qualcosa di più. L’Estate romana ha contribuito alla nascita di un nuovo senso della politica: su basi diverse da quelle dell’appartenenza ideologica, che aveva caratterizzato l’Italia del dopoguerra, del PCI e della DC. L’orizzonte è apparentemente più limitato, la politica qualcosa di più circoscritto e quotidiano, il progetto piuttosto la scelta della direzione e del primo passo che la capacità (o la paranoia?) della completezza. Ma è la politica del nostro tempo. Penso a volte di aver lavorato sullo stesso terreno, il nesso tra spoliticizzazione e trasformazione della società, scomparsa delle vecchie e nascita delle nuove forme della politica - ma con intenzioni opposte, invitare alla trasversalità ed all’ibridazione anziché mediatizzare ed uniformare - su cui è inervenuto Silvio Berlusconi. Le televisioni private nascono, non a caso, nello stesso periodo dell’Estate romana. Mi sembrerebbe strano che quest’esperienza, che ovviamente non è stata solo personale ma che credo di poter rappresentare, rimanesse assente dal processo di formazione del Partito Democratico. Ho detto di no ad Occhetto, ma non lo posso ripetere oggi. Voglio perciò lavorare alla presentazione di una mia lista - con l’intenzione di rappresentare un particolare tipo di appoggio a Veltroni. Con questa lista, a Veltroni non voglio portare - che dono sarebbe offrire ciò che già si possiede - lodi ma critiche ed una certa diversità. Per intervenire nella società dell’indifferenza e della paura - oggi è ancora più calzante questa celebre definizione di Elias Canetti - non bisogna temere di perdere quello che si ha, ma quello che si potrebbe ottenere. Penso sia la strada maestra, anche oggi, per sconfiggere integralismi e terrorismo. Ma anche per abbattere davvero il costo della politica, sperimentando forme originali di autogestione piuttosto che clonare le nuove istituzioni sempre dal medesimo modello: la democrazia parlamentare. O per liberare la RAI dalle catene della lottizzazione e della prevalenza del controllo e dell’incompetenza partitica sul merito; o per ridare prestigio al cinema ed allo spettacolo italiano; o ridare smalto alla ricerca, all’università, all’istruzione. Molte cose vanno sottratte alla politica come controllo, non soltanto per ridare senso alla politica, ma per capire appieno che poderosa locomotiva per lo sviluppo può essere nella società globale l’industria dell’immateriale, la totale libertà e la piena autonomia di tutte le forme della cultura.
di Renato Nicolini (nella foto)
È almeno da quando ho letto sul Secolo d’Italia («E se invece di Walter avesse vinto Renato? Fu Nicolini nel ’77 a puntare sul nesso politica-immaginario», paginone centrale con richiamo in prima: «L’eresia di Nicolini che affascinò anche la destra») che mi sembra di dover rispondere parlando del Partito Democratico. Quella sera stessa - l’ormai lontano 27 giugno - avevo ascoltato su Sky il discorso di candidatura alla sua guida di Veltroni a Torino, incollato al televisore fino alle due di notte. Veltroni - ho sentito più ancora che pensato - ci invita a guardare avanti e non indietro, statue di sale come la famosa moglie di Lot, perché possano manifestarsi tutte le anime possibili del nuovo Partito Democratico. Perché il nuovo non sia soffocato, ancora in culla, da due genitori forse troppo possessivi come i DS e la Margherita. Walter mi ha appassionato perché penso che rimescolare le carte della politica serva all’Italia non solo dalla svolta di Occhetto dell’89 (cui mi opposi perché decideva di cambiare il nome del PCI senza sapere come cambiare il Partito), ma (almeno) dai tempi della nascita nel ’63 del centro sinistra e della crisi del ’68. (Strano che non si possa veramente guardare avanti senza fare insieme i conti col passato... ). I primi passi del Partito Democratico mi sembrava invece avessero prodotto una paradossale perdita di consensi ed attrattiva a sinistra, risucchiandolo forzatamente verso il buco nero del Family Day, la famiglia scritta all’inglese e (manifesto rivelatore) di plastica, insomma verso un nuovo centrismo. Veltroni segretario però non basta, da solo, a fare un nuovo Partito. La storia politica d’Italia, dopo il decennio ’68-’77 - ed anche dopo l’89, dopo Mani Pulite e, perché non dirlo?, dopo la discesa in campo di Berlusconi - non coincide più con la storia dei partiti. Il populismo mediatizzato che oggi toglie potere alla politica non nasce precisamente in Parlamento. Come possono scendere di nuovo in campo le tante anime della democrazia dell’ascolto, del conflitto e del confronto, respinte ai margini dalla logica degli interessi particolari, della spartizione del potere, dell’egemonia di gruppi sempre ristretti e sempre meno trasparenti?Furio Colombo, annunciando la propria candidatura alla Segreteria del Partito Democratico, in alternativa allo stesso Veltroni, ha dato un buon esempio, seguito da Rosy Bindi. Purtroppo subito contraddetti da un regolamento che sembra pensato per scoraggiare altri a fare altrettanto. Me, per esempio, che ne sono stato tentato, nell’ipotesi di una Costituente davvero aperta, dove è importante la presenza di chi la politica la vive senza farne la scelta di vita. Ma l’avrei fatto poi davvero? Perché la mia Estate romana - apprezzata trent’anni dopo anche dal Secolo - è stata un momento, abbastanza importante, della formazione politica del giovane Veltroni. Non lo dico io, lo dicono gli storici come Grazia Pagnotta (Sindaci a Roma), che rintraccia la radice del veltronismo «nella politica della cultura dell’assessorato Nicolini degli anni Settanta».Quell’Estate romana è rimasta - trent’anni dopo - nell’immaginazione di tanti - nonostante i tentativi di respingerla nell’effimero, o di omologarla al mercato culturale. Ha fatto sentire a tanti - in un periodo difficile, quello degli anni di piombo - di avere diritto alla città ed alla cultura, senza l’obbligo di trasformarsi in un’unica massa plaudente. Ha scritto un grande architetto, Louis Kahn: «una città è un luogo dove un bambino, quando l’attraversa, può vedere qualcosa che gli dirà quello che egli desidererà poi fare per tutta la vita». Credo che, forse inconsciamente, volessi conservare ai miei figli - Ottavia è nata lo stesso giorno di “Massenzio” - il diritto di vivere in una città che potesse ancora esprimere la meraviglia urbana, almeno in certi momenti d’estate. Forse c’è qualcosa di più. L’Estate romana ha contribuito alla nascita di un nuovo senso della politica: su basi diverse da quelle dell’appartenenza ideologica, che aveva caratterizzato l’Italia del dopoguerra, del PCI e della DC. L’orizzonte è apparentemente più limitato, la politica qualcosa di più circoscritto e quotidiano, il progetto piuttosto la scelta della direzione e del primo passo che la capacità (o la paranoia?) della completezza. Ma è la politica del nostro tempo. Penso a volte di aver lavorato sullo stesso terreno, il nesso tra spoliticizzazione e trasformazione della società, scomparsa delle vecchie e nascita delle nuove forme della politica - ma con intenzioni opposte, invitare alla trasversalità ed all’ibridazione anziché mediatizzare ed uniformare - su cui è inervenuto Silvio Berlusconi. Le televisioni private nascono, non a caso, nello stesso periodo dell’Estate romana. Mi sembrerebbe strano che quest’esperienza, che ovviamente non è stata solo personale ma che credo di poter rappresentare, rimanesse assente dal processo di formazione del Partito Democratico. Ho detto di no ad Occhetto, ma non lo posso ripetere oggi. Voglio perciò lavorare alla presentazione di una mia lista - con l’intenzione di rappresentare un particolare tipo di appoggio a Veltroni. Con questa lista, a Veltroni non voglio portare - che dono sarebbe offrire ciò che già si possiede - lodi ma critiche ed una certa diversità. Per intervenire nella società dell’indifferenza e della paura - oggi è ancora più calzante questa celebre definizione di Elias Canetti - non bisogna temere di perdere quello che si ha, ma quello che si potrebbe ottenere. Penso sia la strada maestra, anche oggi, per sconfiggere integralismi e terrorismo. Ma anche per abbattere davvero il costo della politica, sperimentando forme originali di autogestione piuttosto che clonare le nuove istituzioni sempre dal medesimo modello: la democrazia parlamentare. O per liberare la RAI dalle catene della lottizzazione e della prevalenza del controllo e dell’incompetenza partitica sul merito; o per ridare prestigio al cinema ed allo spettacolo italiano; o ridare smalto alla ricerca, all’università, all’istruzione. Molte cose vanno sottratte alla politica come controllo, non soltanto per ridare senso alla politica, ma per capire appieno che poderosa locomotiva per lo sviluppo può essere nella società globale l’industria dell’immateriale, la totale libertà e la piena autonomia di tutte le forme della cultura.
1 commento:
Cavoli. Tenuto conto dei tempi che corriamo, quasi metapolitico. Sicuramente ci offre una visione della politica più aperta, difficilmente comprensibile e divulgabile.
Alla fine non parla di tasse o di PIL, e questo è fuori dai paradigmi attuali.
Ciao.
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