martedì 7 agosto 2007

Sì, a destra il cinema di Bergman andava forte

Dal Secolo d'Italia di venerdì 3 agosto 2007
di Luigi G. de Anna*
La sala del cinematografo si andava riempendo del fumo delle nostre nazionali. Non si udivano allora gli scherzosi commenti che eravamo soliti fare durante le proiezioni, protetti dalla complice oscurità. Quando si riaccendevano le luci iniziava il dibattito. Lo conduceva qualche volta Attilio Mordini, oppure Franco Cardini o qualche altro giovane (di allora). Al cinema d'essais (mai lo avremmo chiamato cineclub) "Drieu La Rochelle" dei giovani missini di Firenze, Ingmar Bergman (in una foto recente) ritornava di anno in anno tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta. Mi sono chiesto più tardi perchè lo amassimo tanto. Certo, c'era il fascino di quel medioevo nordico, il medioevo del Settimo Sigillo (1957) e della Fontana della vergine, come di quelle notti senza buio di Sospiri di una notte di mezza estate, o il frusciare delle foglia di betulla del Posto delle fragole (1957).
Non posso negare che molta parte del fascino che il Nord ha esercitato su di me, tanto da farmelo diventare la mia nuova Terra, va equamente distribuito tra Knut Hamsun e Ingmar Bergman. Per anni gli svedesi che incontravo si sono meravigliati del perchè di tanto amore per il loro regista, che essi non condividevano affatto. Bergman li rattristava, loro già così tristi, li sferzava con i loro malanni nazionali, le loro anime piagate, la loro ricerca di una verità diluita e annegata nella loro infelice fede luterana. Ma noi, in quella sala fiorentina densa di fumo, forse irrobustiti dalla nostra solarità meridionale, amavamo il grande maestro. O meglio lo amammo fino a che la trilogia religiosa (quella costituita da Come in uno specchio, Luci d'inverno e Il silenzio, diretti tra il 1960 e 1962) ce lo rese un po' per volta estraneo. Quella società che raffigurava con tanta crudezza, andava ora somigliando a quella inumana congrega che aveva creato la socialdemocrazia nordica, e non poteva più piacerci. Forse si è esagerato nello scavare nel passato del giovane Ingmar. I suoi rapporti con la destra radicale svedese furono labili, il richiamo che il nazismo esercitò su di lui piuttosto una tentazione intellettuale, la ricerca di quelle radici comuni a un popolo verso cui lo spingeva per contrasto il suo esasperato individualismo. Troppo delicato era Bergman, il Drieu del Nord, per aderire veramente a quella dottrina. Forse qualche ricordo gli tornò negli anni della tarda vecchiaia, quando, sposato con Ingrid von Rosen, si rese in qualche modo partecipe di una famiglia che molto aveva contribuito ai movimenti nazionalisti svedesi. Ingrid morì nel 1995. La sua scomparsa fu un colpo terribile per Bergman, che cominciò a soffrire di depressione nella solitudine della sua isola di Faro dove si era ritirato da anni. Era la sesta moglie.
Spesso Bergman ha occupato le pagine dei giornali con le sue complicate storie d'amore. Le sue compagne furono principalmente le attrici che recitavano nei suoi film. Quell'oscuro legame tra chi domina ma è al tempo stesso dominato, si ripeteva ad ogni unione. Della sua vita privata sappiamo molto, grazie anche alla biografia che pubblicò nel 1986, Lanterna magica. Questa lanterna fu appunto il primo strumento che da bambino lo avvicinò al cinema. «Quella zoppicante macchinetta fu il mio primo apparecchio di stregoneria» (da Quattro film, Milano, 1961).
Particolarmente interessante è quanto racconta della sua infanzia. Era nato il 14 luglio del 1918, proprio quando anche in Svezia infuriava l'epidemia di spagnola. Sua madre, esausta per la malattia, lo mandò a balia in campagna. Queste due donne, la madre e la servitrice, entreranno spesso come figure cardine nei suoi film. Il terzo personaggio chiave è il padre, un pastore luterano molto severo, che ricompare nella figura del vescovo Vegelius in Fanny och Alexander del 1982, il suo ultimo film. In questo capolavoro troneggia anche il personaggio della nonna, che si ispira alla vera nonna di Ingmar, che possedeva una grande casa signorile a Uppsala e una villa padronale in campagna. La casa un po' misteriosa dalle molte stanze e l'idilliaca villa ricompaiono in alcuni suoi film, luoghi dell'infanzia, ma anche della sua psiche. Bergman non era una persona di facile carattere. Estremamente pignolo, odiava l'improvvisazione e nel suo lavoro era molto esigente, quasi maniacale. Non diresse soltanto 40 lungometraggi, ma anche 120 lavori teatrali e numerosi film per la televisione. Le sue rappresentazioni al prestigioso Dramaten di Stoccolma sono rimaste delle pietre miliari nella storia del teatro europeo.
Ora Bergman se n'è andato. La Morte, quel signore vestito di nero del suo Settimo Sigillo, è venuto a prenderlo. Ingmar Bergman se ne va con i suoi personaggi, che non torneranno più. «E il severo Signore della Morte li invita alla danza... Se ne vanno lontani dall'alba in una danza solenne, verso la terra delle tenebre, mentre la pioggia cade sui loro volti e lava le loro guance dal sale delle lacrime...». Il settimo sigillo si è fnalmente aperto per Ingmar Bergman.

*Luigi De Anna (3.8.1946), giornalista e scrittore, si è laureato in Lettere nel 1973 (Università di Firenze). Nel 1988 ha presentato la sua tesi di dottorato: "Conoscenza e immagine della Finlandia e del Settentrione nella cultura classico-medievale". Dal 1997 è professore di Lingua e cultura italiane presso l'Università di Turku, in Finlandia. Gran parte del suo lavoro di ricerca è incentrato sulle relazioni culturali tra Italia e Finlandia. A Turku, De Anna è stato fra i fondatori della Società di Lingua e cultura italiane che pubblica la rivista 'Settentrione'.

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