Posto con piacere l'articolo di Enrico Nistri - pubblicato sul Secolo d'Italia di domenica 22 luglio 2007 - che, prendendo spunto dal mio precedente pezzo "Elio Vittorini, il deviazionista innamorato dell'America", offre un contributo interessante sulla complessa personalità dello scrittore siciliano.
Dal Secolo d'Italia di domenica 22 luglio 2007
L’articolo che Roberto Alfatti Appetiti ha dedicato a “Elio Vittorini, il deviazionista innamorato dell’America”, ha avuto fra gli altri meriti quello di suscitare in chi scrive una nostalgia e una curiosità. La nostalgia degli anni in cui, grazie a un pionieristico saggio di Anna Panicali (Il primo Vittorini, Celuc libri, Milano 1974) puntualmente recensito da Daniele gaudenti sul L'Italiano di Romualdi, la generazione dei ragazzi di destra degli anni Cinquanta, che, come ricorda Alfatti Appetiti, era stato obbligato a leggerne i romanzi sui banchi di scuola in base alla “vulgata antifascista”, ebbe modo di conoscere la vera storia dell’autore del Garofano rosso. È la storia di un giovanissimo collaboratore della Conquista dello Stato di Malaparte, formatosi nel clima antimoderno e strapaesano prima di approdare alle pagine di Solaria, che per altro tutto fu meno che la rivista antifascista per cui è stata oggi fatta passare, prova ne sia che fra i suoi collaboratori annoverava anche Alessandro Pavolini. Ma è anche la storia di un irrequieto collaboratore del Bargello, il settimanale del fascio fiorentino, di uno spirito libero che col regime ebbe sempre un rapporto conflittuale, fu stimatissimo da Mussolini, che ispirandosi a un suo articolo intitolato “la vera cultura è sempre cultura popolare” decise di dare al futuro Ministero della cultura popolare tale denominazione, ma iniziò dagli anni della guerra di Spagna un lento distacco dal regime che l’avrebbe fatto approdare a un nuovo e ancor più conflittuale rapporto col Pci di Togliatti.
La curiosità è invece un’altra e si esprime in un interrogativo: fu davvero Vittorini l’autore – come scrive Alfassi Appetiti – di un articolo pubblicato sul Bargello in cui invitava i fascisti italiani a recarsi in Spagna per battersi contro il reazionario Franco? Sulla base delle sue conoscenze in materia, e in particolare della più completa biografia dello scrittore, pubblicata da Raffaele Crovi (Il lungo viaggio di Vittorini, Marsilio, Venezia 1998), chi scrive si è fatto un’opinione un po’ diversa. È vero che Vittorini, da “fascista rosso” qual era, fu decisamente contrario a Franco, nel cui colpo di Stato militare vedeva, non a torto, la premessa per la fondazione di un regime autoritario e clericale, molto distante – falangismo di facciata a parte – dalla sua concezione del fascismo. Ed è possibile che – secondo quanto ha scritto Romano Bilenchi, nel suo articolo Vittorini a Firenze, pubblicato sul Ponte nel 1973 - egli abbia meditato di espatriare per raggiungere, insieme a Vasco Pratolini, la Spagna e unirsi ai repubblicani. Ma un suo articolo in cui invitava i fascisti a battersi contro Franco non uscì mai sul Bargello. Per la rivista fiorentina Vittorini scrisse invece due importanti articoli dedicati alla Spagna, uno prima dell’Alzamiento, l’altro dopo. Nel primo, pubblicato il 23 febbraio 1936, ammoniva tra l’altro: “Le cosiddette reazionarie ‘destre europee’ non hanno nulla a che fare col Fascismo (come del resto non ci hanno a che fare le ‘sinistre’) e il Fascismo non ha che da perderci ad appoggiarsi, fuori d’Italia, su di esse”. Il secondo lo scrisse nell’estate del 1936 e lo spedì all’allora direttore del Bargello Gioacchino Contri, che tuttavia non lo pubblicò. Più che un commento politico, era una “corrispondenza inventata” da Malaga, che da un lato costituiva un’apologia dei repubblicani, dall’altro insinuava la tesi che dietro il colpo di Stato franchista non ci fossero l’Italia e la Germania, ma la Gran Bretagna, interessata a istituire una sorta di protettorato sulla Spagna come, appoggiando Salazar, se l’era garantito sul Portogallo: “Fu l’Inghilterra a pagare la marcia su Lisbona… E ora paga la marcia su Madrid. Vuole le Baleari. Assolutamente vuole le Baleari. Ne ha bisogno per metterci aeroplani e navi contro l’Italia”. A parte questo ingenuo tentativo di rovesciare la logica delle alleanze, mescolando speranze e verità (il Portogallo in effetti seguì effettivamente nella seconda guerra mondiale una politica estera filobritannica), lo scritto colpisce da un lato per la modernità stilistica, col suo “linguaggio di orchestrazione del parlato” che anticipa Hemingway, dall’altro per la sua acritica apologia dei repubblicani e anche delle loro distruzioni . C’è un passaggio, in particolare, che deve aver indotto Contri a non pubblicare l’articolo: “Nell’Avenida c’erano quattro o cinque ville rosicchiate dall’incendio. Le facciate sembravano intatte ma attraverso i vuoti delle finestre si vedeva che dentro non esisteva più niente, né pareti né impianti. Si trattava ad ogni modo di case Liberty – di quegli ibridi prodotti del capriccio borghese che fanno l’orgoglio delle nostre cittadine di riviera. Una laida chiesetta ottocentesca del Sagrato Corazon completava, in fondo all’Avenida, la distruzione. Si sorrise. Non per furia bolscevica, ma per furore di architetti razionali, sembrava dato al fuoco tutto ciò!”. Giustificare il vandalismo dei rojos in nome del razionalismo architettonico fascista era un po’ troppo anche per il tollerante Contri, che fino all’ultimo protesse Vittorini consentendogli di continuare a pubblicare sul Bargello sotto pseudonimo i suoi articoli, per continuare a guadagnarsi il pane.
Molto altro si potrebbe dire del rapporto tra Vittorini, il fascismo, il comunismo e in genere l’impegno politico. Molto è stato già scritto, dalla stessa Panicali, cui si deve anche un più completo saggio sullo scrittore siciliano (Il romanzo del lavoro, Milella, Lecce 1982), da Crovi, da Luperini, che ha visto nel Politecnico una sorta di continuità con Primato; ma forse la miglior definizione del rapporto fra l’autore del Garofano rosso e la politica l’aveva data, sia pure con una punta di sarcasmo, Eugenio Montale in una lettera del 1935 a Quasimodo: “Elio è sempre in orbace e di malumore”. “Di malumore”, per il suo rifiuto di riconoscersi nell’ideologia dominante, Vittorini lo era stato in camicia nera nella Firenze di Pavolini, e lo sarebbe rimasto in camicia rossa nel rapporto con Togliatti, assai meno tollerante di molti gerarchi fascisti. A sua volta, per non scivolare in indebite agiografie, è giusto ricordare che intollerante in molte occasioni si rivelò egli stesso, quando si trovò a detenere un non trascurabile potere editoriale, come rivela l’incomprensione per il Gattopardo.
Oltre che alle inimicizie, però, Vittorini dimostrò di saper essere fedele ad alcune amicizie destinate a sopravvivere ai cambiamenti di regime, come dimostra il suo comportamento nei confronti di Gioacchino Contri. Quando il vecchio direttore del Bargello fu sottoposto dopo la guerra a procedimento di epurazione, si vide difeso da una testimonianza scritta di Vittorini, che l’8 settembre 1945 dichiarò testualmente: “il dr. Gioacchino Contri nella sua qualità di direttore del Bargello settimanale della ex Federazione Fascista di Firenze: 1) mi ha aiutato a guadagnarmi il pane negli anni tra il 1932 e 1936, lasciandomi collaborare al suo giornale con articoli di cultura artistica e letteraria contro il parere delle autorità fiorentine che disapprovavano il mio modo di pensare e di scrivere. 2) Mi ha dato modo, specie intorno al ’36 (…) di inserire nelle sue note culturali, che egli pubblicava nel suo giornale, degli spunti di carattere politico che mettevano in cattiva luce la politica interna destra del fascismo. 3) Mi ha vivamente difeso presso i dirigenti fascisti di Firenze e le autorità di polizia fiorentine (…) 4) Mi ha dato modo di continuare a collaborare con pseudonimi al Bargello pur dopo la mia messa al bando dalla attività giornalistica, mettendo in pericolo se stesso, non solo per il fatto di favorire la mia persona, ma anche per il fatto che i miei articoli, sotto la veste culturale, continuavano ad essere opera disgregatrice del fascismo”.
Certo, difendendo Contri, Vittorini difendeva in fondo anche se stesso, creandosi l’alibi di una collaborazione al Bargello dettata dall’intenzione di svolgere un’opera “disgregatrice del fascismo”. Eppure, in tempi in cui chi dopo aver collaborato col regime aveva scelto il protettore giusto non si sentiva in dovere di fare sconti a nessuno, non mancava un fondo di nobiltà in quell’onesto riconoscimento all’ex amico che l’aveva protetto finché aveva potuto, anche se non gli aveva potuto o voluto pubblicare la sua “corrispondenza immaginaria” da Malaga.
La curiosità è invece un’altra e si esprime in un interrogativo: fu davvero Vittorini l’autore – come scrive Alfassi Appetiti – di un articolo pubblicato sul Bargello in cui invitava i fascisti italiani a recarsi in Spagna per battersi contro il reazionario Franco? Sulla base delle sue conoscenze in materia, e in particolare della più completa biografia dello scrittore, pubblicata da Raffaele Crovi (Il lungo viaggio di Vittorini, Marsilio, Venezia 1998), chi scrive si è fatto un’opinione un po’ diversa. È vero che Vittorini, da “fascista rosso” qual era, fu decisamente contrario a Franco, nel cui colpo di Stato militare vedeva, non a torto, la premessa per la fondazione di un regime autoritario e clericale, molto distante – falangismo di facciata a parte – dalla sua concezione del fascismo. Ed è possibile che – secondo quanto ha scritto Romano Bilenchi, nel suo articolo Vittorini a Firenze, pubblicato sul Ponte nel 1973 - egli abbia meditato di espatriare per raggiungere, insieme a Vasco Pratolini, la Spagna e unirsi ai repubblicani. Ma un suo articolo in cui invitava i fascisti a battersi contro Franco non uscì mai sul Bargello. Per la rivista fiorentina Vittorini scrisse invece due importanti articoli dedicati alla Spagna, uno prima dell’Alzamiento, l’altro dopo. Nel primo, pubblicato il 23 febbraio 1936, ammoniva tra l’altro: “Le cosiddette reazionarie ‘destre europee’ non hanno nulla a che fare col Fascismo (come del resto non ci hanno a che fare le ‘sinistre’) e il Fascismo non ha che da perderci ad appoggiarsi, fuori d’Italia, su di esse”. Il secondo lo scrisse nell’estate del 1936 e lo spedì all’allora direttore del Bargello Gioacchino Contri, che tuttavia non lo pubblicò. Più che un commento politico, era una “corrispondenza inventata” da Malaga, che da un lato costituiva un’apologia dei repubblicani, dall’altro insinuava la tesi che dietro il colpo di Stato franchista non ci fossero l’Italia e la Germania, ma la Gran Bretagna, interessata a istituire una sorta di protettorato sulla Spagna come, appoggiando Salazar, se l’era garantito sul Portogallo: “Fu l’Inghilterra a pagare la marcia su Lisbona… E ora paga la marcia su Madrid. Vuole le Baleari. Assolutamente vuole le Baleari. Ne ha bisogno per metterci aeroplani e navi contro l’Italia”. A parte questo ingenuo tentativo di rovesciare la logica delle alleanze, mescolando speranze e verità (il Portogallo in effetti seguì effettivamente nella seconda guerra mondiale una politica estera filobritannica), lo scritto colpisce da un lato per la modernità stilistica, col suo “linguaggio di orchestrazione del parlato” che anticipa Hemingway, dall’altro per la sua acritica apologia dei repubblicani e anche delle loro distruzioni . C’è un passaggio, in particolare, che deve aver indotto Contri a non pubblicare l’articolo: “Nell’Avenida c’erano quattro o cinque ville rosicchiate dall’incendio. Le facciate sembravano intatte ma attraverso i vuoti delle finestre si vedeva che dentro non esisteva più niente, né pareti né impianti. Si trattava ad ogni modo di case Liberty – di quegli ibridi prodotti del capriccio borghese che fanno l’orgoglio delle nostre cittadine di riviera. Una laida chiesetta ottocentesca del Sagrato Corazon completava, in fondo all’Avenida, la distruzione. Si sorrise. Non per furia bolscevica, ma per furore di architetti razionali, sembrava dato al fuoco tutto ciò!”. Giustificare il vandalismo dei rojos in nome del razionalismo architettonico fascista era un po’ troppo anche per il tollerante Contri, che fino all’ultimo protesse Vittorini consentendogli di continuare a pubblicare sul Bargello sotto pseudonimo i suoi articoli, per continuare a guadagnarsi il pane.
Molto altro si potrebbe dire del rapporto tra Vittorini, il fascismo, il comunismo e in genere l’impegno politico. Molto è stato già scritto, dalla stessa Panicali, cui si deve anche un più completo saggio sullo scrittore siciliano (Il romanzo del lavoro, Milella, Lecce 1982), da Crovi, da Luperini, che ha visto nel Politecnico una sorta di continuità con Primato; ma forse la miglior definizione del rapporto fra l’autore del Garofano rosso e la politica l’aveva data, sia pure con una punta di sarcasmo, Eugenio Montale in una lettera del 1935 a Quasimodo: “Elio è sempre in orbace e di malumore”. “Di malumore”, per il suo rifiuto di riconoscersi nell’ideologia dominante, Vittorini lo era stato in camicia nera nella Firenze di Pavolini, e lo sarebbe rimasto in camicia rossa nel rapporto con Togliatti, assai meno tollerante di molti gerarchi fascisti. A sua volta, per non scivolare in indebite agiografie, è giusto ricordare che intollerante in molte occasioni si rivelò egli stesso, quando si trovò a detenere un non trascurabile potere editoriale, come rivela l’incomprensione per il Gattopardo.
Oltre che alle inimicizie, però, Vittorini dimostrò di saper essere fedele ad alcune amicizie destinate a sopravvivere ai cambiamenti di regime, come dimostra il suo comportamento nei confronti di Gioacchino Contri. Quando il vecchio direttore del Bargello fu sottoposto dopo la guerra a procedimento di epurazione, si vide difeso da una testimonianza scritta di Vittorini, che l’8 settembre 1945 dichiarò testualmente: “il dr. Gioacchino Contri nella sua qualità di direttore del Bargello settimanale della ex Federazione Fascista di Firenze: 1) mi ha aiutato a guadagnarmi il pane negli anni tra il 1932 e 1936, lasciandomi collaborare al suo giornale con articoli di cultura artistica e letteraria contro il parere delle autorità fiorentine che disapprovavano il mio modo di pensare e di scrivere. 2) Mi ha dato modo, specie intorno al ’36 (…) di inserire nelle sue note culturali, che egli pubblicava nel suo giornale, degli spunti di carattere politico che mettevano in cattiva luce la politica interna destra del fascismo. 3) Mi ha vivamente difeso presso i dirigenti fascisti di Firenze e le autorità di polizia fiorentine (…) 4) Mi ha dato modo di continuare a collaborare con pseudonimi al Bargello pur dopo la mia messa al bando dalla attività giornalistica, mettendo in pericolo se stesso, non solo per il fatto di favorire la mia persona, ma anche per il fatto che i miei articoli, sotto la veste culturale, continuavano ad essere opera disgregatrice del fascismo”.
Certo, difendendo Contri, Vittorini difendeva in fondo anche se stesso, creandosi l’alibi di una collaborazione al Bargello dettata dall’intenzione di svolgere un’opera “disgregatrice del fascismo”. Eppure, in tempi in cui chi dopo aver collaborato col regime aveva scelto il protettore giusto non si sentiva in dovere di fare sconti a nessuno, non mancava un fondo di nobiltà in quell’onesto riconoscimento all’ex amico che l’aveva protetto finché aveva potuto, anche se non gli aveva potuto o voluto pubblicare la sua “corrispondenza immaginaria” da Malaga.
Enrico Nistri, giornalista dal 1980 e scrittore, ha collaborato e collabora con testate scientifiche come la Nuova rivista storica, Il pensiero politico, L’antologia Viesseux e quotidiani come Il giornale e il Secolo d’Italia. Ha pubblicato numerosi saggi, fra cui Eserciti e società nell’era moderna (D’anna), Le strade di Strapaese (Alba), Di castello in castello. L’aretino (I libri del Bargello). Con la Loggia de’ Lanzi ha pubblicato il volume Anni trenta, I tre anni che sconvolsero la destra (e non solo) e, pur non sentendosi federalista, il libro-intervista con Riccardo Migliori Il federalismo della destra.
Nessun commento:
Posta un commento