Articolo di Filippo Rossi
Dal Secolo d'Italia di domenica 23 settembre 2007

E’ opportuno parlare, da destra, dell’icona ormai quarantennale di Che Guevara? E comunque, in caso di risposta affermativa, come parlarne? Ancora in molti rispondono a queste domande con un moto di cupo disgusto, di spontanea avversione, come se la potenza nell’immaginario globale dell’ic


Lasciamo stare la pigrizia mentale delle catalogazioni da salotto politichese – è questo il segnale preciso del libro di Incisa di Camerana – e cerchiamo piuttosto di arrivare, col racconto e un approfondimento per connessioni, ai significati profondi che Che Guevara, come uomo e come mito dell’immaginario collettivo, porta con sé: significati che si innestano – spiega l’autore – in una tradizione culturale non certo terzomondista ma tutta, tutta europea. E in primo luogo, allora, si capisce come le magliette con l’immagine del Che in Europa non siano affatto un’appropriazione indebita, non siano solo moda globalizzata e, soprattutto, non siano per niente ideologia. “Il non-europeo Guevara – annota Incisa – non si presenta infatti come una figura del Terzo Mondo, ma come una figura occidentale senza riscontro in aree extraeuropee, dal mondo arabo all’Africa, alla Cina, al Vietnam, all’India”. Sul piano storico-politico – questa la tesi dell’ex ambasciatore – la figur


Da questo punto di vista, vale la pena seguirlo fino infondo il ragionamento vertiginoso di Incisa di Camerana: “Ai miti del primo cinquantennio, agli ‘indomabili’, come li chiama Maurizio Serra, impegnati sul bordo tra decadenza e modernità, i Malraux, i D’Annunzio, i Lawrence, i Marinetti succede nella seconda metà del secolo un unico personaggio, il Che, che rifiuta a ogni costo un monologo intellettuale già sbiadito, respinge la decadenza e dimostra un assoluta ripugnanza per effetti letterali e gesti teatrali, ma è capace con la sua immagine di cancellare ogni sconfitta, di affascinare e commuovere”. Questo comunista atipico “senza tessera, malvisto da Mosca e da Pechino, non apparteneva alla stirpe dei Lenin, degli Stalin e tanto meno dei vecchi burocrati dell’ultimo ciclo sovietico”. La sua stirpe era quella dei Marinetti e dei Papini, dei Drieu La Rochelle e dei Louis-Ferdinand Céline, degli Ernst Jünger, dei Giuseppe Prezzolini. Quello stesso Prezzolini che, ancora negli anni Sessanta, riusciva a interpretare le insofferenze dei nuovi “barbari”: “La gioventù di oggi che si riunisce in bande, che veste in modo strano, con una specie di uniforme del ‘vizio’ e si arruola subito in qualunque disordinata attività, non è attratta da assicurazioni sociali, da posti garantiti, dalla carriera… E’ una gioventù che anela all’avventura, cerca un mondo dove non ci sia sicurezza ma rischio, dove quello che avverrà quando ci si entra è sconosciuto, misterioso, pericoloso, e perciò grandemente attraente”. In buona compagnia di Prezzolini, ha ragione Incisa di Camerana secondo il quale Che Guevara “era rimasto per sempre giovane l



La cantava Gabriella Ferri: “Addio Che / la gente come te / non muore nel suo letto / non crepa di vecchiaia … / Addio Che / come volevi tu / Sei morto in un giorno solo / e non poco per volta…”
Alla domanda “Chi ha ucciso Che Guevara?”, un suo biografo ha risposto: “I nemici e lui stesso”. Questo significa, commenta Incisa, che il Che aveva completato con la sua morte “un percorso eroico giunto al capolinea. Sopravvivendo avrebbe dovuto ricominciare da capo”. In fondo, la persistenza del mito del Che nell’immaginario giovanile di questo inizio millennio si spiega anche così: con il culto del
cavaliere solitario, senza macchia che parte contro le ingiustizie del mondo: “Un’immagine antica che rinasce nella modernità e che – ha spiegato l’antropologo Francesco Macello - rimanda più alla mitologia arturiana che non alla vulgata del marxismo-leninismo in cui, nel fare la storia, gli individui, sono sopraffatti dalla ineluttabilità delle masse”.
Un eroe solo, il Che raccontato da Incisa di Camerana, erede legittimo della cultura e dell’immaginario europeo, comunista atipico, mai burocrate, un anarco-individualista in cerca di avventura e di senso interiore, l’ultimo mito rimasto indenne dalle rovine del Novecento, figlio di D’Annunzio e Garibaldi, fratello di James Dean, con Sandokan e Zorro nella bisaccia e Don Chisciotte della Mancia impresso a caldo in un “cuore avventuroso”; Che Guevara icona popolare e modernissima, una sorta di Corto M
altese vissuto realmente, che viaggia oltre le ideologie per parlare a giovani ancora capaci di continuare a sognare altri mondi, altre vite. “E’ nata, alimentata da un’iconografia suggestiva, che documenta le sue avventure fino al martirio, una leggenda romantica o romanzesca ma svincolata da pregiudiziali ideologiche”. Non abbandoniamolo alle grinfie di chi ha fatto dell’ideologia una scuola di vita: questo l’appello non scritto ma evidente del libro di Incisa di Camerana. Non lasciamo marcire il mito là dove i miti non vengono capiti. Un Ernesto Che Guevara, quello che ci svela e racconta Incisa, che è impossibile considerare “dall’altra parte”, perché non ha “una parte”, viaggia ancora solo, senza briglie né sella, come scrisse Jean Cau, su strade che con l’ideologia le contrapposizioni dogmatiche non hanno nulla, ma proprio nulla, a che fare.
Alla domanda “Chi ha ucciso Che Guevara?”, un suo biografo ha risposto: “I nemici e lui stesso”. Questo significa, commenta Incisa, che il Che aveva completato con la sua morte “un percorso eroico giunto al capolinea. Sopravvivendo avrebbe dovuto ricominciare da capo”. In fondo, la persistenza del mito del Che nell’immaginario giovanile di questo inizio millennio si spiega anche così: con il culto del

Un eroe solo, il Che raccontato da Incisa di Camerana, erede legittimo della cultura e dell’immaginario europeo, comunista atipico, mai burocrate, un anarco-individualista in cerca di avventura e di senso interiore, l’ultimo mito rimasto indenne dalle rovine del Novecento, figlio di D’Annunzio e Garibaldi, fratello di James Dean, con Sandokan e Zorro nella bisaccia e Don Chisciotte della Mancia impresso a caldo in un “cuore avventuroso”; Che Guevara icona popolare e modernissima, una sorta di Corto M

Filippo Rossi, giornalista e scrittore (autore, con Luciano Lanna, dell'antologia Fascisti immaginari, Vallecchi 2003), ha cominciato al quotidiano Il Tempo, è stato caporedattore del settimanale l'Italia, direttore delle news di Radio 101 e collaboratore di diverse testate politico-culturali. Attualmente è coordinatore editoriale della fondazione presieduta da Gianfranco Fini, "Farefuturo".
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