Dal Secolo d'Italia di martedì 20 novembre 2007
Le sentenze? «Sono atti pubblici, pronunciamenti in nome del popolo italiano, e questo vuol dire che possono essere lette e che ognuno se ne può fare un’idea. Negare questo principio significa abdicare a una delle libertà fondamentali garantite dalla Costituzione…». A sostenerlo è il giornalista Piero A. Corsini che assume questa constatazione a principio ispiratore del suo libro I terroristi della porta accanto (Newton Compton Editori, pp.300, euro 14,90). Un saggio che, raccontando – tra inchiesta, indagine psicologica, ricostruzione di un’epoca e giornalismo investigativo – la vicenda di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, finisce per fornire un nuovo importante contributo alla rilettura storica dei documenti processuali per la strage di Bologna e riproporre tutti i dubbi suscitati dalla sentenza per l’eccidio del 2 agosto 1980. Tra i propositi del libro c’è infatti, per ammissione dello stesso autore, soprattutto quello di «proporre delle chiavi di accesso a una materia così complessa, affinché la certezza della verità giudiziaria possa esseremessa a confronto, com’è giusto,com’è legittimo, con la verifica di una differente prospettiva, con il dubbio,con le domande rimaste inevase».
I terroristi della porta accanto è – a leggere l’introduzione – il «frutto di molti anni di lavoro, di un’inchiesta che si è stratificata nel tempo, imponendo continue riletture, ripensamenti, ricerche, verifiche». Nato nella stagione di Mixer, il libro viene completato e riproposto negli anni di La Storia siamo noi, due trasmissioni televisive che Corsini ha firmato come autore. Del resto, sullo stesso argomento il giornalista aveva già pubblicato nel ’97, per le edizioni di Tullio Pironti, Vita di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, di cui il nuovo libro è una estensione arricchita da tutto quello che è avvenuto in questo ultimo decennio. «Alla sensibilità di allora – spiega Corsini – s’è sovrapposto quanto è capitato nel tempo, non solo in termini di evenienze processuali, ma anche di esperienze personali, di incontri, di suggestioni diverse: tutto ciò, inevitabilmente, ha modificato il senso di quel libro, se non la sua struttura originaria». E all’inchiesta di allora, tesa a raccontare la vita dei due ex Nar, si affianca adesso l’indagine rigorosa e la verifica dei documenti processuali che ripropongono in presa diretta tutti i dubbi suscitati dalla sentenza per la strage dell’80 e tutti gli interrogativi rimasti ancora irrisolti. Il nuovo libro segue quindi un doppio tracciato: la storia della tragica stagione, tra il 1978 e il 1982, del cosiddetto “spontaneismo armato” e il dibattito sui processi e la sentenza.
All’autore, sin dal 1988, la vicenda di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro appare in prima battuta come il paradigma di una generazione di fuoco, «un modello da studiare per provare a capire il percorso di due ragazzi della porta accanto, né meglio né peggio di tanti altri, che imboccarono la via estrema, bruciando la propria vita e quella delle loro molte vittime». È dentro la tragedia degli adolescenti degli anni Settanta, accanto all’angoscia dei pomeriggi metropolitani pieni di urla e furore, alla violenza dell’odio per l’avversario politico, alla ferita mai rimarginabile dell’addio a un amico, che nasce e si colloca questa vicenda. Quando era quasi normale girare armati a diciott’anni. Una situazione anormale e impazzita che è difficile capire a tanti anni di distanza. «I ragazzi della via Pal in tragico», la definisce Fioravanti. E anche la Mambro, quando si guarda indietro, tende a fare riferimento al contesto, «perché allora è il momento di rivendicare la propria storia, e spiegare che quella violenza, la sua violenza e quella dei suoi amici, è ingiustificabile, ma non incomprensibile». E davvero la vicenda dei “ragazzi della porta accanto” somiglia a una tragedia greca: l’amicizia e il sangue, la passione e la morte….
Nel libro di Corsini tutto viene raccontato, a cominciare dal bilancio completo della stagione di fuoco dello “spontaneismo armato” dei Nar: 40 ferimenti, 70 rapine, 4 rapine in armeria, 7 disarmamenti cruenti delle forze dell’ordine, 4 assalti a truppe dell’esercito per il procacciamento di armi pesanti, 200 imputazioni per partecipazione a banda armata, e trentadue vittime. «A Roma – si legge nel libro – via Annibal Caro, via Acca Larentia, il liceo Giulio Cesare, viale delle Medaglie d’Oro, piazza Irnerio, viale Jonio, via Decio Mure, il Labaro, a Padova il Lungargine Scaricatore: sono i luoghi di questa storia. C’erano, per quelle vie, Valerio e Cristiano Fioravanti, Francesca Mambro, Alessandro Alibrandi, Giorgio Vale, Luigi Ciavardini e tutti gli altri: ragazzi con la pistola in pugno e due vite davanti: la propria, con la possibilità tradita di viverla altrove, in un altro modo, e quella delle loro vittime…».
Ma ecco che a dieci anni di distanza dal suo primo libro su questo argomento Corsini è ora costretto ad affrontare ciò che è successo dopo l’arresto dei protagonisti di questa storia e, soprattutto, la pesante accusa ricaduta su Fioravanti, Mambro e Ciavardini per Bologna, strage di cui essi si sono sempre ritenuti innocenti. Ed è diventato via via evidente che la vicenda del libro non era più, non poteva più essere, solo la storia di Valerio e Francesca, dei loro amici, dei loro nemici, del loro tempo e della loro tragedia di terroristi della porta accanto. No, ora l’inchiesta giornalistica si trasformava in una indagine sul mistero della strage e sui sospetti rimasti tali nonostante le verità processuali. «La storia di Fioravanti e Mambro porta con sé, inevitabilmente, anche la storia – annota Corsini – della strage di Bologna, per la quale sono stati condannati all’ergastolo con una sentenza definitiva». D’altronde il 2 agosto dell’80 nella stazione di Bologna si verificava quello che è stato definito il più orrendo crimine dell’Italia repubblicana: 85 morti e quasi 200 feriti. E fin dal primo momento la responsabilità vene attribuita all’estremismo nero, con una lunga scia di arresti e procedimenti giudiziari che contribuirono a criminalizzare pesantemente tutto un ambiente. E anche i processi si sono mossi tutti dentro quell’approccio, lasciandosi comunque alle spalle una tale serie di dubbi e di ambiguità da rendere scettici sulle verità giudiziarie numerosi osservatori delle più varie estrazioni politiche e culturali. Eppure, «secondo alcuni – rileva Corsini – Fioravanti e la Mambro sono solo due mostri, due assassini sanguinari che quel sabato d’agosto,alla stazione di Bologna, hanno fatto esplodere una bomba che ha provocato 85 morti e 200 feriti. Benché appunto condannati all’ergastolo, oggi sono liberi eppure, non contenti di essersela cavata così a buon mercato, hanno mobilitato ingenui intellettuali e mistificatori di professione che, nel tentativo di nascondere la verità, continuano a sostenere la loro innocenza».
Ma perché tanta acredine verso chi i dubbi sulla sentenza ha pure il diritto di nutrirli? Tanto che a oggi appare infatti «impossibile ragionare con pacatezza su quell’eccidio. Non sembra esserci spazio per una riflessione che affronti con serenità una mole processuale sterminata (quindici gradi di giudizio, milioni di pagine di atti), contraddizioni, le voci discordanti, le lacune di una verità giudiziaria che, per stessa ammissione di quanti non hanno dubbi sulla colpevolezza di Fioravanti e Mambro, ancora non hanno fornito risposte su alcuni punti fondamentali: il movente della strage, ad esempio; oppure i mandanti; o, ancora, il nome di chi avrebbe fornito l’esplosivo».
Efficace, da questo punto di vista, è già stata la chiusura del libro Storia nera del giornalista di sinistra Andrea Colombo: «Debolissime quanto a prove, fatti, riscontri, testimonianze, quelle sentenze utilizzano una fortissima e indebita politicizzazione come scudo e strumento di ricatto soprattutto nei confronti della sinistra». Aggiunge Corsini: «Se Fioravanti, Mambro e Ciavardini sono colpevoli “d’ufficio”, condannati senza darsi troppo pensiero del reale fondamento delle accuse, ciò vuol dire che la sinistra (il Pci egemone a Bologna) ha, di fatto, ottenuto il risultato di coprire l’ennesima, impunita “strage di Stato”…».
L’avvocato Ambra Giovene, anche lei politicamente a sinistra, tra i difensori di Mambro e Fioravanti, ammette che il suo compito è stato, per esplicita ammissione, «quello di difenderli da un processo ingiusto, che massacrava ogni più elementare regola di parità e contraddittorio, a fronte di una sentenza di primo grado che li condannava all’ergastolo facendo strame del buon senso e della logica, di una sentenza fondata sul nulla. Per quella sentenza non potevano essere giudicati colpevoli. E basta». E Pino Pisauro, altro legale della coppia, aggiunge: «In Italia c’è una bestialità politica. La politica serve al Potere, e la giustizia, spesso, non è che una variabile politica. Una sinistra ottusa cercava due mostri e li ha trovati in Fioravanti e Mambro, i perfetti capri espiatori per lastrage di Bologna».
Il libro di Corsini ripropone e presenta nel loro insieme tutte le dichiarazioni e le rivelazioni che nel corso degli anni hanno alimentato i dubbi. A cominciare da Francesco Cossiga che intervistato da La Storia siamo noi a proposito della bomba del 2 agosto, ha ammesso: «Io credo che lì fosse in atto, da parte di terroristi del Medio Oriente, un trasporto di esplosivo, che loro siano scesi dal treno e che gli sia scoppiata la valigia con l’esplosivo che c’era dentro». Una dichiarazione rilasciata non da un testimone qualsiasi, bensì dall’uomo politico che il 2 agosto 1980 era presidente del Consiglio. E non era la prima volta che Cossiga ha espresso la propria profonda convinzione dell’innocenza di Fioravanti e Mambro. Già nel ’91, da presidente della Repubblica, di fronte al Comitato per i servizi di sicurezza, aveva affermato di essersi sbagliato a definire a caldo “fascista” la strage. «Eppure – scrive Piero A. Corsini – nonostante le richieste avanzate in questo senso, in nessuno dei vari processi per la strage si è mai ritenuto opportuno convocare Francesco Cossiga per una deposizione. E benché i giudici di Bologna siano arrivati a escludere la possibilità di piste alternative alla colpevolezza dei due principali imputati, nel corso degli anni sono emersi sia degli scenari alternativi sul massacro di Bologna, sia degli elementi a sostegno dell’innocenza di Fioravanti e Mambro».
Gli ultimi tre capitoli del libro di Corsini sono interamente dedicati a dare conto di queste piste alternative e dei tanti elementi a sostegno dell’innocenza dei due ex Nar. Si va dalle dichiarazioni di Vincenzo Parisi, ex capo della Polizia e poi del Sisde, alla Commissione parlamentare Stragi sulla possibile connessione con l’eccidio di Ustica – «potrebbe essersi trattato il 2 agosto di una tragica replica stragistica» – alla matrice mediorientale denunciata, sempre da Cossiga, in più occasioni. Dalla testimonianza di Giuseppe Zamberletti, all’epoca della strage sottosegretario agli
Esteri, sulla cosiddetta “pista libica” sino a quanto emergeva dalla riunione del Comitato interministeriale per le informazioni e la sicurezza del 5 agosto ’80: «Tre giorni dopo la strage di Bologna – rileva Corsini – mentre il Sisde manifestava forti dubbi sulla responsabilità dei Nar, alcune tra le più alte autorità dello Stato ragionavano sul possibile legame con il disastro di Ustica». La pubblicazione sul quotidiano comunista il manifesto del verbale di quella riunione del Ciis arriverà, nel giugno 1994, al culmine dell’attività del Comitato «E se fossero innocenti?», creatosi all’indomani della sentenza di condanna nel secondo processo d’appello per la strage. Ad animarlo sono i fratelli della Mambro, l’avvocato Ambra Giovene, la ex br Anna Laura Braghetti, l’ex Prima Linea Sergio D’Elia, la scrittrice Maria Teresa Di Lascia, l’ex brigatista rosso Maurizio Iannelli. Il loro intento, scriveva Letizia Paolozzi sull’Unità, era «semplice e terribile: sollevare il ragionevole dubbio che si stiano condannando degli innocenti e coprendo i veri colpevoli». Tra i tanti, aderiscono alla campagna Furio Colombo e Oreste del Buono, Sergio Zavoli e padre Adolfo Bachelet, monsignor Luigi Di Liegro e il regista Carlo Lizzani.
Corsini prosegue, successivamente, con le vicende connesse al “caso Sparti”, il malavitoso supertestimone contro Fioravanti e Mambro scarcerato nell’82 per motivi di salute. Nel 2001 Sparti chiama a sé il figlio Stefano che, intervistato il 24 maggio 2007 da La Storia siamo noi, smentisce decisamente quanto sempre affermato dal padre. «Ma non sembra esserci spazio alcuno – commenta Corsini – per gli interrogativi, per la possibilità che da un processo così complesso, basato su indizi così flebili (peraltro tutt’altro che univoci, visto che sono sempre contraddetti da indizi di segno opposto), possa nascere un errore giudiziario».
La strage di Bologna, però, continua a presentarsi sempre di più come un mistero aggrovigliato e sfuggente, di cui, con scadenza periodica, qualcuno afferma di averne trovato la chiave. «Gli ultimi in ordine di tempo – si legge nel libro di Corsini – sono Lorenzo Matassa e Gian Paolo Pelizzaro: il primo è un magi strato, il secondo un giornalista, ed entrambi sono consulenti della Commissione parlamentare Mitrokhin, istituita il 2 maggio 2002». I due si sono messi sulle tracce di Thomas Kram, un uomo che si trovava a Bologna il giorno della strage, collegando la notizia a quanto riferito in una intervista del terrorista internazionale Carlos. Ma disciolta la Mitrokhin, il lavoro dei due consulenti è stato liquidato. «Poco importa – commenta Corsini – che la magistratura bolognese, resasi conto che già dai giorni immediatamente successivi la strage era disponibile la notizia della presenza di Kram a Bologna, abbia avviato una rogatoria per sentire l’ex-appartenente alle Cellule rivoluzionarie (a confermarlo è lo stesso sostituo procuratore Paolo Giovagnoli)».
Ha osservato in proposito Andrea Colombo: «Forse nessuna delle piste alternative avrebbe portato le indagini molto lontano. Ma per affermarlo bisognerebbe aver mosso su quei viottoli almeno qualche passo, e questo non si è mai verificato, nemmeno nei giorni immediatamente dopo la strage». C’è, infatti, pesante come un macigno, un “teorema” spiegato da Corsini: «Chiunque ardisca ipotizzare uno scenario diverso da quella prospettato dalle condanne di Fioravanti, Mambro e Ciavardini, viene immediatamente accusato di delegittimare l’operato dei magistrati e di fornire ausilio a tre terroristi che sperano in una improbabile revisione del processo». Ma è un’accusa, aggiunge l’autore de I terroristi della porta accanto, «che getta discredito su chi la pronuncia, e che, soprattutto, si assume la responsabilità assai onerosa: escludere a priori la possibilità che i veri colpevoli siano tutt’oggi liberi e indisturbati».
Alla fine del libro, dopo ben 287 dense pagine, Corsini è costretto ad ammettere: «L’epilogo si trasforma allora in un finale aperto. Non può essere altrimenti, almeno fino a quando la giustizia, proseguendo il suo lavoro, non avrà fornito tutte quelle risposte che rimangono ancora degli interrogativi aperti». Che continuano a riproporre sempre quelle precise, inevitabili domande. Chi ha voluto la strage di Bologna? Perché Mambro, Fioravanti e Ciavardini non possono essere innocenti? Il “divieto di fare domande” era una delle caratteristiche delle società totalitarie. Non vorremmoche continuasse a prevalere solo contro gli ex“terroristi della porta accanto”.
I terroristi della porta accanto è – a leggere l’introduzione – il «frutto di molti anni di lavoro, di un’inchiesta che si è stratificata nel tempo, imponendo continue riletture, ripensamenti, ricerche, verifiche». Nato nella stagione di Mixer, il libro viene completato e riproposto negli anni di La Storia siamo noi, due trasmissioni televisive che Corsini ha firmato come autore. Del resto, sullo stesso argomento il giornalista aveva già pubblicato nel ’97, per le edizioni di Tullio Pironti, Vita di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, di cui il nuovo libro è una estensione arricchita da tutto quello che è avvenuto in questo ultimo decennio. «Alla sensibilità di allora – spiega Corsini – s’è sovrapposto quanto è capitato nel tempo, non solo in termini di evenienze processuali, ma anche di esperienze personali, di incontri, di suggestioni diverse: tutto ciò, inevitabilmente, ha modificato il senso di quel libro, se non la sua struttura originaria». E all’inchiesta di allora, tesa a raccontare la vita dei due ex Nar, si affianca adesso l’indagine rigorosa e la verifica dei documenti processuali che ripropongono in presa diretta tutti i dubbi suscitati dalla sentenza per la strage dell’80 e tutti gli interrogativi rimasti ancora irrisolti. Il nuovo libro segue quindi un doppio tracciato: la storia della tragica stagione, tra il 1978 e il 1982, del cosiddetto “spontaneismo armato” e il dibattito sui processi e la sentenza.
All’autore, sin dal 1988, la vicenda di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro appare in prima battuta come il paradigma di una generazione di fuoco, «un modello da studiare per provare a capire il percorso di due ragazzi della porta accanto, né meglio né peggio di tanti altri, che imboccarono la via estrema, bruciando la propria vita e quella delle loro molte vittime». È dentro la tragedia degli adolescenti degli anni Settanta, accanto all’angoscia dei pomeriggi metropolitani pieni di urla e furore, alla violenza dell’odio per l’avversario politico, alla ferita mai rimarginabile dell’addio a un amico, che nasce e si colloca questa vicenda. Quando era quasi normale girare armati a diciott’anni. Una situazione anormale e impazzita che è difficile capire a tanti anni di distanza. «I ragazzi della via Pal in tragico», la definisce Fioravanti. E anche la Mambro, quando si guarda indietro, tende a fare riferimento al contesto, «perché allora è il momento di rivendicare la propria storia, e spiegare che quella violenza, la sua violenza e quella dei suoi amici, è ingiustificabile, ma non incomprensibile». E davvero la vicenda dei “ragazzi della porta accanto” somiglia a una tragedia greca: l’amicizia e il sangue, la passione e la morte….
Nel libro di Corsini tutto viene raccontato, a cominciare dal bilancio completo della stagione di fuoco dello “spontaneismo armato” dei Nar: 40 ferimenti, 70 rapine, 4 rapine in armeria, 7 disarmamenti cruenti delle forze dell’ordine, 4 assalti a truppe dell’esercito per il procacciamento di armi pesanti, 200 imputazioni per partecipazione a banda armata, e trentadue vittime. «A Roma – si legge nel libro – via Annibal Caro, via Acca Larentia, il liceo Giulio Cesare, viale delle Medaglie d’Oro, piazza Irnerio, viale Jonio, via Decio Mure, il Labaro, a Padova il Lungargine Scaricatore: sono i luoghi di questa storia. C’erano, per quelle vie, Valerio e Cristiano Fioravanti, Francesca Mambro, Alessandro Alibrandi, Giorgio Vale, Luigi Ciavardini e tutti gli altri: ragazzi con la pistola in pugno e due vite davanti: la propria, con la possibilità tradita di viverla altrove, in un altro modo, e quella delle loro vittime…».
Ma ecco che a dieci anni di distanza dal suo primo libro su questo argomento Corsini è ora costretto ad affrontare ciò che è successo dopo l’arresto dei protagonisti di questa storia e, soprattutto, la pesante accusa ricaduta su Fioravanti, Mambro e Ciavardini per Bologna, strage di cui essi si sono sempre ritenuti innocenti. Ed è diventato via via evidente che la vicenda del libro non era più, non poteva più essere, solo la storia di Valerio e Francesca, dei loro amici, dei loro nemici, del loro tempo e della loro tragedia di terroristi della porta accanto. No, ora l’inchiesta giornalistica si trasformava in una indagine sul mistero della strage e sui sospetti rimasti tali nonostante le verità processuali. «La storia di Fioravanti e Mambro porta con sé, inevitabilmente, anche la storia – annota Corsini – della strage di Bologna, per la quale sono stati condannati all’ergastolo con una sentenza definitiva». D’altronde il 2 agosto dell’80 nella stazione di Bologna si verificava quello che è stato definito il più orrendo crimine dell’Italia repubblicana: 85 morti e quasi 200 feriti. E fin dal primo momento la responsabilità vene attribuita all’estremismo nero, con una lunga scia di arresti e procedimenti giudiziari che contribuirono a criminalizzare pesantemente tutto un ambiente. E anche i processi si sono mossi tutti dentro quell’approccio, lasciandosi comunque alle spalle una tale serie di dubbi e di ambiguità da rendere scettici sulle verità giudiziarie numerosi osservatori delle più varie estrazioni politiche e culturali. Eppure, «secondo alcuni – rileva Corsini – Fioravanti e la Mambro sono solo due mostri, due assassini sanguinari che quel sabato d’agosto,alla stazione di Bologna, hanno fatto esplodere una bomba che ha provocato 85 morti e 200 feriti. Benché appunto condannati all’ergastolo, oggi sono liberi eppure, non contenti di essersela cavata così a buon mercato, hanno mobilitato ingenui intellettuali e mistificatori di professione che, nel tentativo di nascondere la verità, continuano a sostenere la loro innocenza».
Ma perché tanta acredine verso chi i dubbi sulla sentenza ha pure il diritto di nutrirli? Tanto che a oggi appare infatti «impossibile ragionare con pacatezza su quell’eccidio. Non sembra esserci spazio per una riflessione che affronti con serenità una mole processuale sterminata (quindici gradi di giudizio, milioni di pagine di atti), contraddizioni, le voci discordanti, le lacune di una verità giudiziaria che, per stessa ammissione di quanti non hanno dubbi sulla colpevolezza di Fioravanti e Mambro, ancora non hanno fornito risposte su alcuni punti fondamentali: il movente della strage, ad esempio; oppure i mandanti; o, ancora, il nome di chi avrebbe fornito l’esplosivo».
Efficace, da questo punto di vista, è già stata la chiusura del libro Storia nera del giornalista di sinistra Andrea Colombo: «Debolissime quanto a prove, fatti, riscontri, testimonianze, quelle sentenze utilizzano una fortissima e indebita politicizzazione come scudo e strumento di ricatto soprattutto nei confronti della sinistra». Aggiunge Corsini: «Se Fioravanti, Mambro e Ciavardini sono colpevoli “d’ufficio”, condannati senza darsi troppo pensiero del reale fondamento delle accuse, ciò vuol dire che la sinistra (il Pci egemone a Bologna) ha, di fatto, ottenuto il risultato di coprire l’ennesima, impunita “strage di Stato”…».
L’avvocato Ambra Giovene, anche lei politicamente a sinistra, tra i difensori di Mambro e Fioravanti, ammette che il suo compito è stato, per esplicita ammissione, «quello di difenderli da un processo ingiusto, che massacrava ogni più elementare regola di parità e contraddittorio, a fronte di una sentenza di primo grado che li condannava all’ergastolo facendo strame del buon senso e della logica, di una sentenza fondata sul nulla. Per quella sentenza non potevano essere giudicati colpevoli. E basta». E Pino Pisauro, altro legale della coppia, aggiunge: «In Italia c’è una bestialità politica. La politica serve al Potere, e la giustizia, spesso, non è che una variabile politica. Una sinistra ottusa cercava due mostri e li ha trovati in Fioravanti e Mambro, i perfetti capri espiatori per lastrage di Bologna».
Il libro di Corsini ripropone e presenta nel loro insieme tutte le dichiarazioni e le rivelazioni che nel corso degli anni hanno alimentato i dubbi. A cominciare da Francesco Cossiga che intervistato da La Storia siamo noi a proposito della bomba del 2 agosto, ha ammesso: «Io credo che lì fosse in atto, da parte di terroristi del Medio Oriente, un trasporto di esplosivo, che loro siano scesi dal treno e che gli sia scoppiata la valigia con l’esplosivo che c’era dentro». Una dichiarazione rilasciata non da un testimone qualsiasi, bensì dall’uomo politico che il 2 agosto 1980 era presidente del Consiglio. E non era la prima volta che Cossiga ha espresso la propria profonda convinzione dell’innocenza di Fioravanti e Mambro. Già nel ’91, da presidente della Repubblica, di fronte al Comitato per i servizi di sicurezza, aveva affermato di essersi sbagliato a definire a caldo “fascista” la strage. «Eppure – scrive Piero A. Corsini – nonostante le richieste avanzate in questo senso, in nessuno dei vari processi per la strage si è mai ritenuto opportuno convocare Francesco Cossiga per una deposizione. E benché i giudici di Bologna siano arrivati a escludere la possibilità di piste alternative alla colpevolezza dei due principali imputati, nel corso degli anni sono emersi sia degli scenari alternativi sul massacro di Bologna, sia degli elementi a sostegno dell’innocenza di Fioravanti e Mambro».
Gli ultimi tre capitoli del libro di Corsini sono interamente dedicati a dare conto di queste piste alternative e dei tanti elementi a sostegno dell’innocenza dei due ex Nar. Si va dalle dichiarazioni di Vincenzo Parisi, ex capo della Polizia e poi del Sisde, alla Commissione parlamentare Stragi sulla possibile connessione con l’eccidio di Ustica – «potrebbe essersi trattato il 2 agosto di una tragica replica stragistica» – alla matrice mediorientale denunciata, sempre da Cossiga, in più occasioni. Dalla testimonianza di Giuseppe Zamberletti, all’epoca della strage sottosegretario agli
Esteri, sulla cosiddetta “pista libica” sino a quanto emergeva dalla riunione del Comitato interministeriale per le informazioni e la sicurezza del 5 agosto ’80: «Tre giorni dopo la strage di Bologna – rileva Corsini – mentre il Sisde manifestava forti dubbi sulla responsabilità dei Nar, alcune tra le più alte autorità dello Stato ragionavano sul possibile legame con il disastro di Ustica». La pubblicazione sul quotidiano comunista il manifesto del verbale di quella riunione del Ciis arriverà, nel giugno 1994, al culmine dell’attività del Comitato «E se fossero innocenti?», creatosi all’indomani della sentenza di condanna nel secondo processo d’appello per la strage. Ad animarlo sono i fratelli della Mambro, l’avvocato Ambra Giovene, la ex br Anna Laura Braghetti, l’ex Prima Linea Sergio D’Elia, la scrittrice Maria Teresa Di Lascia, l’ex brigatista rosso Maurizio Iannelli. Il loro intento, scriveva Letizia Paolozzi sull’Unità, era «semplice e terribile: sollevare il ragionevole dubbio che si stiano condannando degli innocenti e coprendo i veri colpevoli». Tra i tanti, aderiscono alla campagna Furio Colombo e Oreste del Buono, Sergio Zavoli e padre Adolfo Bachelet, monsignor Luigi Di Liegro e il regista Carlo Lizzani.
Corsini prosegue, successivamente, con le vicende connesse al “caso Sparti”, il malavitoso supertestimone contro Fioravanti e Mambro scarcerato nell’82 per motivi di salute. Nel 2001 Sparti chiama a sé il figlio Stefano che, intervistato il 24 maggio 2007 da La Storia siamo noi, smentisce decisamente quanto sempre affermato dal padre. «Ma non sembra esserci spazio alcuno – commenta Corsini – per gli interrogativi, per la possibilità che da un processo così complesso, basato su indizi così flebili (peraltro tutt’altro che univoci, visto che sono sempre contraddetti da indizi di segno opposto), possa nascere un errore giudiziario».
La strage di Bologna, però, continua a presentarsi sempre di più come un mistero aggrovigliato e sfuggente, di cui, con scadenza periodica, qualcuno afferma di averne trovato la chiave. «Gli ultimi in ordine di tempo – si legge nel libro di Corsini – sono Lorenzo Matassa e Gian Paolo Pelizzaro: il primo è un magi strato, il secondo un giornalista, ed entrambi sono consulenti della Commissione parlamentare Mitrokhin, istituita il 2 maggio 2002». I due si sono messi sulle tracce di Thomas Kram, un uomo che si trovava a Bologna il giorno della strage, collegando la notizia a quanto riferito in una intervista del terrorista internazionale Carlos. Ma disciolta la Mitrokhin, il lavoro dei due consulenti è stato liquidato. «Poco importa – commenta Corsini – che la magistratura bolognese, resasi conto che già dai giorni immediatamente successivi la strage era disponibile la notizia della presenza di Kram a Bologna, abbia avviato una rogatoria per sentire l’ex-appartenente alle Cellule rivoluzionarie (a confermarlo è lo stesso sostituo procuratore Paolo Giovagnoli)».
Ha osservato in proposito Andrea Colombo: «Forse nessuna delle piste alternative avrebbe portato le indagini molto lontano. Ma per affermarlo bisognerebbe aver mosso su quei viottoli almeno qualche passo, e questo non si è mai verificato, nemmeno nei giorni immediatamente dopo la strage». C’è, infatti, pesante come un macigno, un “teorema” spiegato da Corsini: «Chiunque ardisca ipotizzare uno scenario diverso da quella prospettato dalle condanne di Fioravanti, Mambro e Ciavardini, viene immediatamente accusato di delegittimare l’operato dei magistrati e di fornire ausilio a tre terroristi che sperano in una improbabile revisione del processo». Ma è un’accusa, aggiunge l’autore de I terroristi della porta accanto, «che getta discredito su chi la pronuncia, e che, soprattutto, si assume la responsabilità assai onerosa: escludere a priori la possibilità che i veri colpevoli siano tutt’oggi liberi e indisturbati».
Alla fine del libro, dopo ben 287 dense pagine, Corsini è costretto ad ammettere: «L’epilogo si trasforma allora in un finale aperto. Non può essere altrimenti, almeno fino a quando la giustizia, proseguendo il suo lavoro, non avrà fornito tutte quelle risposte che rimangono ancora degli interrogativi aperti». Che continuano a riproporre sempre quelle precise, inevitabili domande. Chi ha voluto la strage di Bologna? Perché Mambro, Fioravanti e Ciavardini non possono essere innocenti? Il “divieto di fare domande” era una delle caratteristiche delle società totalitarie. Non vorremmoche continuasse a prevalere solo contro gli ex“terroristi della porta accanto”.
Luciano Lanna, laureato in filosofia, giornalista professionista dal 1992 e scrittore (autore, con Filippo Rossi, di Fascisti immaginari, Vallecchi 2004), oltre ad aver lavorato in quotidiani e riviste, si è occupato di comunicazione politica e ha collaborato con trasmissioni radiofoniche e televisive della Rai. Già caporedattore del bimestrale Ideazione e vice direttore del quotidiano L'Indipendente, attualmente è direttore responsabile del Secolo d'Italia.
1 commento:
Troppi interrogativi dietro questa vicenda terribile. E' ormai chiaro che dietro la strage di Bologna ci sono altri poteri a cui faceva comodo dare la colpa ai neofascisti. Ma deve essere chiaro che sia Fioravanti e Mambro non sono dei santi perchè hanno comunque ucciso. Quindi si cerchi la verità dietro la strage ma non trasformiamo in martiri persone che comunque in carcere meritano di stare.
Posta un commento