mercoledì 19 dicembre 2007

Dal pianeta Subsonica verità di piombo (di Federico Zamboni)

Articolo di Federico Zamboni
Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 16 dicembre 2007
Veleggiano stabilmente in cima alle classifiche. Riempiono sistematicamente i palasport e, a maggior ragione, i locali più piccoli. Nel 2004 hanno rotto (e in malo modo) con la Mescal, la piccola casa discografica che li aveva seguiti fin dall’inizio, e sono passati a un colosso internazionale come la Emi.
Fermatevi alla superficie – al sound particolarissimo ma trascinante dei loro successi, ai titoli dei giornali, ai lustrini della pubblicità – e nei Subsonica vedrete solo un altro gruppo che ce l’ha fatta. Che è partito dall’underground torinese e che, complice il passaggio a Sanremo nel 2000, con l’efficacissima Tutti i miei sbagli, è arrivato ai vertici della scena italiana. Un gruppo che ha trovato l’alchimia giusta per mettere d’accordo gli appassionati più esigenti, che ascoltano davvero e si irrigidiscono, o peggio, di fronte a qualsiasi accenno di routine, e tutti gli altri che invece, dagli addetti ai lavori dei media al pubblico onnivoro, non chiedono altro che di seguire la corrente, inchiodati alla Regola Numero Uno dello show-business: il successo è attraente di per sé. Una folla balza all’occhio, e richiama altra folla.
Fermatevi alla superficie e, per l’ennesima volta, vi sfuggirà la parte migliore. La parte più interessante. Dietro le apparenze (al di sotto, al di sopra) c’è un universo da scoprire. Da esplorare. Un universo – o meglio: un multiverso – che non ha nulla di rassicurante ma che, al contrario, amplifica le tensioni individuali e sociali fino allo spasimo. La parola d’ordine è andare avanti, ma senza illudersi che sia facile. La sfida, assai più da naufrago alla deriva che da cavaliere alla ricerca del Graal, è coesistere con le proprie contraddizioni e con quelle degli altri. La lotta è contro questi virus che dilagano e che ci hanno contagiati ben prima che ne venissimo a conoscenza: e che, quindi, potessimo anche solo pensare a qualche misura preventiva. L’ottimismo è una parola che suona falsa e quasi insultante, di fronte alla disgregazione generale. L’unico antidoto al crollo definitivo diventa la determinazione. O anche solo la testardaggine.
Il punto di partenza, allora, è riconquistare un po’ di verità, in mezzo agli innumerevoli inganni delle “versioni ufficiali”. Dire le cose come sono e farlo anche (soprattutto) quando quelle cose sono sgradevoli, allarmanti, odiose. Ma non alla maniera dei talk-show, che hanno come unico scopo l’aggregazione di un pubblico e che, infatti, non fanno nemmeno finta di voler pervenire a una vera e propria conclusione. L’obiettivo dovrebbe essere quello di trasformare le singole informazioni in elementi di un quadro complessivo, nei tasselli di una consapevolezza permanente. Non è che il mondo scompare, quando chiudi il giornale o spegni la televisione. Il mondo continua a macinare le sue ingiustizie e i suoi drammi, sia individuali che collettivi. Non è sempre e soltanto cronaca: è Storia in tempo reale.
I Subsonica lo avvertono. Per istinto, per ragionamento, per un miscuglio di entrambi, ci arrivano. E incrociano la propria strada con quella di Roberto Saviano. Lui ha scritto Gomorra, loro compongono Piombo. Il richiamo è esplicito, il linguaggio simmetrico. «Chiazze di sangue, giornate di sole. Le dita sull’asfalto, l’arma già scarica. Giovane vita in un gesso sottile. Tutto finisce, in terra resta una sagoma». Il primo incrocio ne produce un altro. Saviano recensisce il disco su XL: «L’impotenza di chi brucia è la stessa di chi gela. Berlino è Baghdad, Torino è Napoli. Lo spazio cosmico aggredito e la terra violata sono le facce della stessa medaglia, e hanno sempre facce umane».
Poi, alla lunga, può diventare una reazione a catena. Una reazione incontrollabile. Il corto circuito, senza valvola salvavita, da cui rischiamo di non riprenderci mai più. O di riprenderci al prezzo di enormi sacrifici, di enormi perdite di vite umane.
«Gelidi tramonti. Un tempo erano fuoco sulla terra. Pallidi orizzonti, le ceneri di un tempo che dovrà finire. Gelidi i tuoi occhi: due orbite in un cielo senza luce. Nel tuo cuore il vento, l’eclissi di una sazia e spenta civiltà. Questo vuoto esploderà, esploderà. Questo vuoto esploderà, esploderà».
Hanno alzato il tiro, i Subsonica. Quello che in precedenza era solo accennato, o circoscritto a singoli episodi (come in Sole silenzioso, «collegata ai fatti di Genova e alla speculazione politica sulla tragedia dell’11 settembre»), diventa esplicito. A cominciare dal titolo del nuovo album, L’eclissi, lo sguardo si solleva dalle vicende personali, con tutti i loro “casini”, innanzitutto sentimentali, e abbraccia la realtà nel suo insieme. Max Casacci, chitarrista e decano della band, va dritto al sodo: «Non si può dire che l'Italia stia vivendo uno dei suoi periodi migliori. Sia politicamente, sia socialmente, le aree scure della nostra vita sono parecchie e l'immagine dell'eclisse le riflette perfettamente».
Un’eclisse per nulla momentanea. Un’eclisse che non si risolve affatto in un oscuramento di pochi minuti, e, quindi, in un fenomeno suggestivo da osservare a cuor leggero, con una curiosità da turisti che si godono lo spettacolo insolito senza il più piccolo timore. L’eclisse sarà lunga. Probabilmente lunghissima. Forse interminabile. Lascerà la Terra avvolta nelle tenebre – o in una luminosità appena accennata e, perciò, ancora più carica di rimpianto – e ci stringerà nellamorsa del freddo.
L’eclissi, la glaciazione. La causa, le conseguenze. Come sempre, tendiamo a capire meglio queste ultime. Così, nella grafica dell’album, il cerchio nero del sole si staglia sul retro della copertina; mentre l’immagine frontale è lo scorcio dell’abitacolo di un’automobile: si vede solo il volante, il cruscotto, la leva del cambio, l’ormai onnipresente navigatore satellitare. Ed è tutto coperto dal ghiaccio. Tutto ridotto, ormai, alla bizzarra, quasi incomprensibile scultura di un rito perduto. Denaro, Tecnologia, Consumo. La sacra, inviolabile trinità del nostro tempo.
Federico Zamboni, nato a Milano nel 1958 ma cresciuto a Roma, è giornalista e conduttore radiofonico. Tra il 1979 e il 1981, con lo pseudonimo di Claudio Fossati, ha tenuto una rubrica (quasi) fissa sul quindicinale “Linea”, dedicata a quella che allora si chiamava la “musica giovanile”. Dopo aver smesso di scrivere articoli per circa 15 anni, dedicandosi a tutt’altre cose, ha ripreso a pubblicare regolarmente nel 2000. Prima su “Ideazione.com”, poi sui quotidiani “Linea”, di cui è stato caporedattore fino al maggio scorso, e “Il Secolo d’Italia”. Attualmente cura il mensile “L’Officina”, appena ristrutturato in chiave “magazine”.

1 commento:

Anonimo ha detto...

ciao Roberto.
ho gli appuntamenti in facoltà per mettere su il mio convegno per la sicurezza nel lavoro.
felice?
guarda che diamine mi tocca ancora postare...

senza parole.

gb
http://lostonato.ilcannocchiale.it/