Dal Secolo d'Italia di giovedì 13 dicembre 2007
Parlare di Pinocchio è parlare dell’Italia, di noi stessi, degli italiani come sono stati e come potranno diventare. Perché il burattino inventato da Carlo Collodi nel 1982 è riuscito a incarnare, in felice compagnia dei personaggi di Emilio Salgari (a sinistra), l’anima profonda di un’italianità anarco-individualista, libertaria e creativa, dalla quale nessuno può prescindere: né i politici, né gli intellettuali, né i capitani d’industria... Insomma, chiunque voglia discutere dell’identità italiana deve prendere uno specchio e guardare negli occhi il burattino senza fili che è in tutti noi. Pena, finire nelle grinfie del Mangiafuoco di turno: «Se scopre che tu i fili non ce l’hai / se si accorge che tu il ballo non lo fai / allora sono guai / e te ne accorgerai attento a quel che fai / attento ragazzo che chiama i suoi gendarmi / e ti dichiara pazzo!», canta Edoardo Bennato. Non può essere un caso, infatti, se Ernesto Galli della Loggia ha voluto inserire nella sua collana “L’identità italiana”, per i tipi del Mulino, il Pinocchio spiegato da Ludovico Incisa di Camerana. Fu Alberto Asor Rosa a scorgere per primo in Pinocchio «il burattino-popolo d’Italia» e «la più vera tra le tante ricerche d’identità nazionale».
E se ricerca deve essere, se specchio interiore deve diventare, una cosa è certa: prima delle parole possono le immagini di una mostra, in questi giorni a Roma (a Palazzo Valentini, fino al prossimo 6 gennaio) che racconta il Pinocchio illustrato dal grande incisore e pittore Sigfrido Bartolini: “Pinocchio, come nasce un libro illustrato”. Nel 1983, infatti, Bartolini aveva curato la stampa della monumentale edizione di Pinocchio voluta dalla Fondazione Nazionale Carlo Collodi per il centenario della pubblicazione, illustrandola con oltre trecento xilografie in nero e a colori, frutto di ben dodici anni di lavoro: le testimonianze della fatica dell’artista sino all’edizione – studi preparatori, disegni di oggetti, legni incisi e prove di stampa – si sono trasformate in questa fortunata mostra che, dopo aver fatto il giro del mondo, è approdata nella Capitale. Il percorso della mostra si snoda principalmente fra le tavole di legni per le xilografie per illustrare il libro. Con un lungo e appassionato lavoro di incisione durato dodici anni, dal 1971 al 1983, Bartolini realizzò le xilografie, pubblicate dalle Edizioni della Fondazione Nazionale Collodi nel 1983 in un volume dal quale è stata tratta una più ampia tiratura in offset. Le opere di Bartolini restituiscono il suggestivo ritratto di un mondo reale, quello basato sulle attività artigianali, governato da protagonisti da fiaba, facendo proprio lo spirito del Collodi (nella vignetta con la sua creatura), che cento anni prima aveva mescolato il registro della realtà e quello del fantastico. Integrano il percorso espositivo le tavole sinottiche con le prove di stampa e i disegni originali ad acquarello e a china, per riscoprire e riproporre il mondo dove vissero Geppetto, la Fata Turchina, Mangiafuoco e il Gatto e la Volpe, mondo che Bartolini rappresentò fantasiosamente solo dopo un’accurata ricerca sulla natura e sulla cultura popolare toscana dei tempi di Collodi.
«Ci sono tutte le tavole incise su legno, montate su pannelli per l'esposizione», spiega la figlia del pittore, la studiosa Simona Bartolini: «La mostra che ha girato non solo Italia, ma anche altri paesi esteri - ricorda la Bartolini - parte dal bozzetto in legno di Pinocchio, costruito per fare da modello ai disegni, per arrivare alle tavole stampate. Il lavoro di una vita, dodici anni che a mio padre sono costati la salute e le mani. Grande toscano come il Collodi, da sempre affascinato dalla favola di Pinocchio, mio padre pensò di realizzare una cinquantina di xilografie che poi divennero 309, tutte donate, insieme alla matrici, alla Fondazione Nazionale Carlo Collodi».
Se Collodi ha saputo tratteggiare sulla tela dell’immaginario l’identità italiana, Bartolini, toscano anche lui, l’ha incarnata con il suo percorso di intellettuale raffinato: nato a Pistoia il 21 gennaio 1932 e scomparso il 24 aprile di quest’anno, Sigrifido, solo quindicenne, partecipa nel 1947 a una mostra promossa dal Comune di Pistoia, risultando tra i premiati: è la tappa d’esordio di un nutritissimo repertorio espositivo. Seguiranno, negli anni, oltre cinquanta mostre personali in varie città italiane – Roma, Milano, Torino, Venezia, Firenze – e all’estero – Stati Uniti, Francia, Spagna, Germania, Grecia – presentate e segnalate dai critici più autorevoli. Nel 1966 fonda con Barna Occhini il quindicinale Totalità, erede di La Voce e Lacerba, cui collabora con scritti e xilografie originali. Infaticabile sperimentatore di tecniche, Bartolini ha illustrato decine di volumi, tra i quali opere di Bernardo di Clairvaux, Vieira, Petrocchi, Serpieri, Savinio, Cattabiani, Nemi e Beatrice di Pian degli Ontani nonché, in occasione del Giubileo del 2000, il Vangelo. Scrittore, autore di fondamentali monografie sulle incisioni di Soffici, Sironi, Innocenti, Lega e Rosai, parte dei suoi scritti sull’arte sono stati raccolti nel volume La Grande Impostura (Polistampa 2002).
E soprattutto il “suo” Pinocchio, trasposto in immagini con fare delizioso con precisione quasi maniacale, con la coscienza intellettuale di mettere un altro mattone nella grande muro policromatico di un’identità italiana sempre in evoluzione: «Pinocchio riletto da adulti – ha scritto lo stesso Sigfrido Bartolini nella presentazione della sua opera – aggiunge, al sapore di favola fermo nel ricordo, un ampio ventaglio di significati riconducibili a più chiavi di lettura in grado di far sì che la fiaba realissima possa implicare riferimenti simbolici, magici, trascendenti». Tanto che Bartolini ha voluto inserire elementi di un immaginario europeo successivo alla nascita del Pinocchio di Collodi: «Per dare un afflato di verità, sia pure fantastica – spiega – nulla avrebbe dovuto essere scelto a caso: un luogo o un oggetto, quando possibile, dovevano anche richiamare, oltre al proprio significato, altre valenze che ne aumentassero il fascino e il sapore simbolico». E così, ad esempio, nelle tavole della mostra, i nomi sulle bottigliette dei medicinali che la Fata fa prendere a Pinocchio, Athelas, Lembas e Galatilion, sono i cibi magici degli elfi del Signore degli anelli di J.R.R. Tolkien.
Immaginario intrecciato, quindi, identità in movimento, quella del Pinocchio di Bartolini (dove si può trovare anche un omaggio ad Ardengo Soffici o il simbolo nordico della croce celtica sul sepolcro della misteriosa Fata), e di un’Italia, che a volte si ritrova dopo più di un secolo con gli stessi problemi: «Se nel teso di Collodi non manca una sottile ricorrente e attualissima polemica, si pensi al giudice-scimmione che porta occhiali cerchiati d’oro ma privi di lenti: indice di una giustizia ferma nel rispetto della forma ma indifferente alla reale visione dei fatti che pure è chiamata a giudicare, mi è sembrato doveroso rinnovarla nelle illustrazioni: nella città di Acchiappa-citrulli è affisso un manifesto elettorale dal quale l’immagine di una volpe invita a votare sicuri, ma vediamo come il povero elettore, eternamente gabbato, sia ridotto sul lastrico a chiedere l’elemosina». Non si può, allora, non seguire il ragionamento che fu di Giovanni Spadolini quando spiegava come Pinocchio fosse un libro per grandi, oltre che per bambini: «Offre uno spaccato della società italiana in via di costruzione che parte da una finalità ideale, tipicamente mazziniana, di una società migliore» Il burattino che diventa uomo libero, “senza fili” direbbe Bennato, che si appoggia sulle proprie forze, fa leva sul libero arbitrio, laicamente, sullo sforzo individuale, sul proprio lavoro e sulla propria fantasia. Pinocchio, vedi alla voce Italia. Italia, vedi alla voce Pinocchio .
E se ricerca deve essere, se specchio interiore deve diventare, una cosa è certa: prima delle parole possono le immagini di una mostra, in questi giorni a Roma (a Palazzo Valentini, fino al prossimo 6 gennaio) che racconta il Pinocchio illustrato dal grande incisore e pittore Sigfrido Bartolini: “Pinocchio, come nasce un libro illustrato”. Nel 1983, infatti, Bartolini aveva curato la stampa della monumentale edizione di Pinocchio voluta dalla Fondazione Nazionale Carlo Collodi per il centenario della pubblicazione, illustrandola con oltre trecento xilografie in nero e a colori, frutto di ben dodici anni di lavoro: le testimonianze della fatica dell’artista sino all’edizione – studi preparatori, disegni di oggetti, legni incisi e prove di stampa – si sono trasformate in questa fortunata mostra che, dopo aver fatto il giro del mondo, è approdata nella Capitale. Il percorso della mostra si snoda principalmente fra le tavole di legni per le xilografie per illustrare il libro. Con un lungo e appassionato lavoro di incisione durato dodici anni, dal 1971 al 1983, Bartolini realizzò le xilografie, pubblicate dalle Edizioni della Fondazione Nazionale Collodi nel 1983 in un volume dal quale è stata tratta una più ampia tiratura in offset. Le opere di Bartolini restituiscono il suggestivo ritratto di un mondo reale, quello basato sulle attività artigianali, governato da protagonisti da fiaba, facendo proprio lo spirito del Collodi (nella vignetta con la sua creatura), che cento anni prima aveva mescolato il registro della realtà e quello del fantastico. Integrano il percorso espositivo le tavole sinottiche con le prove di stampa e i disegni originali ad acquarello e a china, per riscoprire e riproporre il mondo dove vissero Geppetto, la Fata Turchina, Mangiafuoco e il Gatto e la Volpe, mondo che Bartolini rappresentò fantasiosamente solo dopo un’accurata ricerca sulla natura e sulla cultura popolare toscana dei tempi di Collodi.
«Ci sono tutte le tavole incise su legno, montate su pannelli per l'esposizione», spiega la figlia del pittore, la studiosa Simona Bartolini: «La mostra che ha girato non solo Italia, ma anche altri paesi esteri - ricorda la Bartolini - parte dal bozzetto in legno di Pinocchio, costruito per fare da modello ai disegni, per arrivare alle tavole stampate. Il lavoro di una vita, dodici anni che a mio padre sono costati la salute e le mani. Grande toscano come il Collodi, da sempre affascinato dalla favola di Pinocchio, mio padre pensò di realizzare una cinquantina di xilografie che poi divennero 309, tutte donate, insieme alla matrici, alla Fondazione Nazionale Carlo Collodi».
Se Collodi ha saputo tratteggiare sulla tela dell’immaginario l’identità italiana, Bartolini, toscano anche lui, l’ha incarnata con il suo percorso di intellettuale raffinato: nato a Pistoia il 21 gennaio 1932 e scomparso il 24 aprile di quest’anno, Sigrifido, solo quindicenne, partecipa nel 1947 a una mostra promossa dal Comune di Pistoia, risultando tra i premiati: è la tappa d’esordio di un nutritissimo repertorio espositivo. Seguiranno, negli anni, oltre cinquanta mostre personali in varie città italiane – Roma, Milano, Torino, Venezia, Firenze – e all’estero – Stati Uniti, Francia, Spagna, Germania, Grecia – presentate e segnalate dai critici più autorevoli. Nel 1966 fonda con Barna Occhini il quindicinale Totalità, erede di La Voce e Lacerba, cui collabora con scritti e xilografie originali. Infaticabile sperimentatore di tecniche, Bartolini ha illustrato decine di volumi, tra i quali opere di Bernardo di Clairvaux, Vieira, Petrocchi, Serpieri, Savinio, Cattabiani, Nemi e Beatrice di Pian degli Ontani nonché, in occasione del Giubileo del 2000, il Vangelo. Scrittore, autore di fondamentali monografie sulle incisioni di Soffici, Sironi, Innocenti, Lega e Rosai, parte dei suoi scritti sull’arte sono stati raccolti nel volume La Grande Impostura (Polistampa 2002).
E soprattutto il “suo” Pinocchio, trasposto in immagini con fare delizioso con precisione quasi maniacale, con la coscienza intellettuale di mettere un altro mattone nella grande muro policromatico di un’identità italiana sempre in evoluzione: «Pinocchio riletto da adulti – ha scritto lo stesso Sigfrido Bartolini nella presentazione della sua opera – aggiunge, al sapore di favola fermo nel ricordo, un ampio ventaglio di significati riconducibili a più chiavi di lettura in grado di far sì che la fiaba realissima possa implicare riferimenti simbolici, magici, trascendenti». Tanto che Bartolini ha voluto inserire elementi di un immaginario europeo successivo alla nascita del Pinocchio di Collodi: «Per dare un afflato di verità, sia pure fantastica – spiega – nulla avrebbe dovuto essere scelto a caso: un luogo o un oggetto, quando possibile, dovevano anche richiamare, oltre al proprio significato, altre valenze che ne aumentassero il fascino e il sapore simbolico». E così, ad esempio, nelle tavole della mostra, i nomi sulle bottigliette dei medicinali che la Fata fa prendere a Pinocchio, Athelas, Lembas e Galatilion, sono i cibi magici degli elfi del Signore degli anelli di J.R.R. Tolkien.
Immaginario intrecciato, quindi, identità in movimento, quella del Pinocchio di Bartolini (dove si può trovare anche un omaggio ad Ardengo Soffici o il simbolo nordico della croce celtica sul sepolcro della misteriosa Fata), e di un’Italia, che a volte si ritrova dopo più di un secolo con gli stessi problemi: «Se nel teso di Collodi non manca una sottile ricorrente e attualissima polemica, si pensi al giudice-scimmione che porta occhiali cerchiati d’oro ma privi di lenti: indice di una giustizia ferma nel rispetto della forma ma indifferente alla reale visione dei fatti che pure è chiamata a giudicare, mi è sembrato doveroso rinnovarla nelle illustrazioni: nella città di Acchiappa-citrulli è affisso un manifesto elettorale dal quale l’immagine di una volpe invita a votare sicuri, ma vediamo come il povero elettore, eternamente gabbato, sia ridotto sul lastrico a chiedere l’elemosina». Non si può, allora, non seguire il ragionamento che fu di Giovanni Spadolini quando spiegava come Pinocchio fosse un libro per grandi, oltre che per bambini: «Offre uno spaccato della società italiana in via di costruzione che parte da una finalità ideale, tipicamente mazziniana, di una società migliore» Il burattino che diventa uomo libero, “senza fili” direbbe Bennato, che si appoggia sulle proprie forze, fa leva sul libero arbitrio, laicamente, sullo sforzo individuale, sul proprio lavoro e sulla propria fantasia. Pinocchio, vedi alla voce Italia. Italia, vedi alla voce Pinocchio .
Filippo Rossi, giornalista e scrittore (autore, con Luciano Lanna, del saggio-dizionario Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra, Vallecchi 2003), ha cominciato al quotidiano Il Tempo, è stato caporedattore del settimanale l'Italia, direttore delle news di Radio 101 e collaboratore di diverse testate politico-culturali. Attualmente è coordinatore editoriale della fondazione presieduta da Gianfranco Fini, "Farefuturo".
Nessun commento:
Posta un commento