Dal Secolo d'Italia di venerdì 28 dicembre 2007
Della serie, la scoperta dell’acqua calda. Si, che Lucio Dalla non fosse per niente marxista e per nulla comunista lo si era sempre saputo. E il buon Lucio lo ha dichiarato in più occasioni. Eppure, per l’ennesima volta, è bastata un’intervista del cantautore al quotidiano cattolico on-line Petrus per scatenare la meraviglia degli addetti ai lavori: «Se mi sono esibito alle manifestazioni di sinistra è perché sono un professionista: gli organizzatori mi hanno pagato e io ho cantato». Una frase che ha dato la stura al solito sbalordimento mediatico. Quasi che, in Italia, un cantautore non possa che essere stato obbligatoriamente e convintamente “marxista e comunista”. Dalla lo ha dovuto ribadire per l’ennesima volta: «Non lo sono mai stato, per favore sfatiamo questa leggenda…».
Sì, una vera e propria «leggenda» che, oltretutto, ha riguardata quasi tutti i cantautori italiani. Basti pensare a Fabrizio De André che si definiva solo «un libertario» mentre «la sinistra marxista-leninista lo teneva fuori dai cancelli ideologici». O a Francesco De Gregori che ancora recentemente riconfermava la sua totale idiosincrasia per una cultura costruita su dogmi ideologici: «La politica – spiegava – è scelta». E anche se si pensa a Francesco Guccini – il cantautore politico per antonomasia – bisognerebbe forse rendersi conto, lo fa addirittura l’enciclopedia on-line Wikipedia, che il suo impegno «ha avuto spesso effetti di strumentalizzazione». Lui stesso ha dovuto ammettere a Edmondo Berselli: «Non sono mai stato stato un estremista, non è nella mia cultura. E neanche comunista, il Pci era allora il partito dell’Urss, figurarsi...». Leggende, quindi, nate – per dirla con espressioni care a Giampiero Mughini – dal combinato composto di deficienti progressisti e imbecilli moderati: i primi sempre presi nella furia d’incasellamento ideologico, i secondi ottusi nel vedere “comunisti” ovunque, anche dove non ci sono. Ma insieme racchiudono tutto dentro una comoda gabbia. Che vogliono spacciarci per l’egemonia (rivendicata o subita).
Sì, una vera e propria «leggenda» che, oltretutto, ha riguardata quasi tutti i cantautori italiani. Basti pensare a Fabrizio De André che si definiva solo «un libertario» mentre «la sinistra marxista-leninista lo teneva fuori dai cancelli ideologici». O a Francesco De Gregori che ancora recentemente riconfermava la sua totale idiosincrasia per una cultura costruita su dogmi ideologici: «La politica – spiegava – è scelta». E anche se si pensa a Francesco Guccini – il cantautore politico per antonomasia – bisognerebbe forse rendersi conto, lo fa addirittura l’enciclopedia on-line Wikipedia, che il suo impegno «ha avuto spesso effetti di strumentalizzazione». Lui stesso ha dovuto ammettere a Edmondo Berselli: «Non sono mai stato stato un estremista, non è nella mia cultura. E neanche comunista, il Pci era allora il partito dell’Urss, figurarsi...». Leggende, quindi, nate – per dirla con espressioni care a Giampiero Mughini – dal combinato composto di deficienti progressisti e imbecilli moderati: i primi sempre presi nella furia d’incasellamento ideologico, i secondi ottusi nel vedere “comunisti” ovunque, anche dove non ci sono. Ma insieme racchiudono tutto dentro una comoda gabbia. Che vogliono spacciarci per l’egemonia (rivendicata o subita).
Conan non sono io, né so di quale collega sia lo pseudonimo. Sta di fatto che i suoi corsivi sono sempre interessanti e intelligentemente "provocatori". Li pubblico (e raccolgo) qui con l'intento di sottrarli alla breve vita dei quotidiani e confidando di alimentare - se vi va - un confronto sui contenuti.
1 commento:
qui, alla fine, l'unico comunista resterò io...
vuoi vedere?
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