Dal Secolo d'Italia di mercoledì 2 gennaio 2008
«Credo che questi siano i tempi adatti per scrivere delle opere importanti. Elias Canetti chiedeva allo scrittore di “dar fondo all'universo” e di fornire una visione d'insieme del suo tempo. Io ci provo, a costo di sbagliare». Il torinese Claudio Ughetto, classe ’65, appartiene alla razza di coloro che non esitano a gettare il cuore – e la tastiera del computer – oltre l’ostacolo. Di idee “nonconformiste”, Claudio è stato a lungo collaboratore di Diorama letterario e attualmente partecipa delle attività del gruppo cagliaritano Opìfìce (www.opifice.it), che ha recentemente pubblicato un suo racconto nella raccolta Tutti Esplosi (Editore Perrone, 170 p. € 12). E un altro racconto sarà presto disponibile online ne “l’archivio delle emozioni” inaugurato da Charta Minuta, la rivista della fondazione FareFuturo, con la pubblicazione di Raccontiamoci, l’antologia di inediti disponibile nelle migliori edicole e librerie.
Gli scrittori che Ughetto ammira maggiormente corrispondono a un'idea di letteratura insieme rigorosa e – per dirla con l’amato Frank Zappa – absolutely free. Dai classici, come Sterne, Rabelais, Diderot e Cervantes, «i capisaldi dell'arte del romanzo secondo Kundera, maestri di umorismo e digressione», ai moderni. Céline su tutti. «Non credo nella narrativa di denuncia e “impegnata” – ci dice – paradossalmente uno scrittore di fantascienza e visionario come James G. Ballard rimane più attuale di tanti scrittorucoli politicamente schierati proprio perché riesce ad affrontare senza implicazioni ideologiche temi come la rivolta dei ceti medi». Tra i contemporanei italiani sceglie Antonio Moresco e Massimiliano Parente. «Perché li sento vicini alla mia idea di letteratura: tentare di raccontare la complessità del mondo senza pretese pedagogiche». Un’idea che nasce dalla passione per la scrittura e che trova il proprio compimento ne Una falciola di Terra (Editore Il Filo, 242 p. € 18), primo romanzo di Ughetto a metà strada tra il fantastico e suggestioni mitiche. Da poche settimane in libreria, rappresenta il coraggioso tentativo di affrontare «la grande questione elusa, che non è più il sesso, come sosteneva Freud, bensì la morte». La “liberazione sessuale” c’è stata. Le istanze del '68 e del ’77 si sono tramutate ormai nella loro parodia: l'anelito alla libertà in diritto tout court al consumo, l'attenzione all'individuo in mero individualismo. «I giovani di allora volevano farsi soggetto politico e hanno ottenuto di essere promossi consumatori, finendo per essere inghiottiti dal mercato. Della creatività e socialità dei Settanta, dello spontaneismo culturale di quegli anni non è rimasto nulla. E paradossalmente i sessantottini di ieri, oggi strenui conservatori a difesa del potere raggiunto, sono i primi ad avere timore dei giovani. Sembrano dirgli: “Avete una buona qualità di vita, la vostra parte di benessere, cos’altro volete?”». E aggiunge: «Mentre scrivevo Una falciola di Terra sono incappato ne Le particelle elementari di Michel Houellebecq, e immediatamente mi sono riconosciuto nella sua visione dell'uomo contemporaneo occidentale, un essere che non sa più cosa fare della propria esistenza e ha perso il senso e la capacità di incidere sul proprio destino». Uno scrittore di destra, Claudio Ughetto? Lui si schermisce e subito tiene a precisare di non riconoscersi in alcun partito, anche se «la sinistra si è ormai adagiata su un conformismo letale, perdendo ogni capacità critica e ponendosi a difesa dello status quo piuttosto che osare in mare aperto. La destra, nel rapporto con la modernità, è sicuramente più libertaria e aperta al nuovo, mentre a sinistra si alimenta la retorica del diritto, quella di inseguire ogni minoranza e di strumentalizzarne le esigenze». In ogni caso, Ughetto ritiene “destra” e “sinistra” categorie inefficaci per analizzare la realtà e ancor di più per intervenire. Si domanda: «È di destra o di sinistra la lotta al TAV o TAC in Valle di Susa? Sui temi concreti le identità di parte devono fare un passo indietro».
Una falciola di Terra narra di Potus, un barbone alcolista che sta morendo nella stanza di un lussuoso ospedale nella notte in cui viene annunciata la Bioterapia, misteriosa cura che garantirebbe l'immortalità. Tartacola, un suo amico d'infanzia, forse morto suicida, si affaccia alla finestra dell'ospedale per portarlo nell'Aldilà. Potus si rifiuta, non vuole morire con davanti la prospettiva di vivere in eterno, ma Tartacola insiste. Fanno un patto: due in uno, come un prodotto da discount. Vagheranno per quella città globalizzata, detta Asenia. E Tartacola cercherà di soddisfare ogni curiosità dell'amico. Il loro vagare è parallelo a quello di Max e Flip, due guitti di un talk-show televisivo che, come Potus, pretendono d'indagare sulla veridicità della notizia. Saremo davvero immortali? Sentiranno i pareri di personaggi più o meno competenti, entreranno nella mente di persone che alla notizia reagiranno in modo differente: un prete, una ragazza che ha tentato il suicidio, una coppia che ha deciso di concepire un figlio. Grazie a un narratore inaffidabile, uso di monologhi e una costruzione corale, seguiamo questi ed altri destini. Non tutti si concludono. Perché secondo Claudio Ughetto nella vita non tutto si spiega: «Preferisco una certa oscurità, unita all'imprevedibilità che mette in relazione i destini, le relazioni, i personaggi. In questo mi sento vicino al cinema di David Lynch, apparentemente incomprensibile ma capace di dire cose inedite. Adeguato ai nostri tempi».
Potus deve morire, scendere fino alla Falciola, il margine di Asenia in cui il governo ha relegato quelli che chiamano gli «Spostati», di cui lui era il Re, e organizzarsi il funerale aiutato da Tartacola. Uniche certezze della vita umana rimangono nascita e morte. Tra i due estremi può accadere di tutto – almeno finché la Bioterapia non sarà confermata. Allora per noi si aprirebbe un destino post umano. Ma che tipo di vita sarebbe? Il romanzo non ce lo spiega, non è il suo compito. L’autore, invece, ritiene che «l'intero senso della vita è determinato dalla nostra mortalità. E non mi riferisco tanto all'escatologia religiosa, alla vita dopo la morte, ai premi e alle punizioni. Cose in cui non credo. Ci piaccia o meno, la capacità di essere prossimi ai nostri simili, di provare empatia, è anche determinata dalla sofferenza e dal rischio. Vivere significa partecipare, rischiare. Gli abitanti di Asenia, di fronte all'opportunità di vivere in eterno, rinunciano persino ad uscire di casa per paura d'incidenti. Un po' come noi, sempre più ossessionati dalla sicurezza, tappati nelle nostre case a vivere esistenze mediatiche e virtuali».
In questo Claudio Ughetto si sente affine proprio a Houellebecq: «Dopo tanti sogni di emancipazione l'umanità continua ad interrogarsi su delle paure che finiscono per condizionare il suo futuro. Abbiamo rimosso l'idea della morte, che sembra essere la nostra ultima preoccupazione e proprio per questo ci terrorizza. Si vive più a lungo e meglio, diciamo. Pur dubbiosi, non ci spiacerebbe vivere per duecento anni e oltre, grazie alla tecnologia e la biogenetica. Però ci areniamo di fronte a dibattiti etici sull'opportunità o meno d'intervenire sulla cellula umana e il Dna. Vivere in eterno comporta l'impossibilità di accedere alla vita per altri esseri, a nostro egoistico beneficio. Perché scandalizzarsi? È arduo parlare di vita eterna senza prima comprendere il perché della vita».
Romanzo dai molteplici livelli di lettura (storia corale, fiaba, epica urbana...), i cui due protagonisti ricordano ora Dante e Virgilio umiliati e offesi, ora Peter Pan e Ulisse fuori parte, Una falciola di Terra s'interroga su questioni che ci riguardano, non senza leggerezza. L'autore non ha dubbi: «L'umorismo è l'unione del non serio e del terribile, secondo Kundera. Una forma espressiva che non offre risposte ed ha nel relativismo la sua forza». Un romanzo postmoderno, vista la sua complessa costruzione? «Oggigiorno un romanzo del genere può catalizzare di tutto, compresi i prodotti dell'immaginario collettivo, ma quando l'ho scritto avevo in testa Diderot e Rabelais. Due maestri inarrivabili, ma proprio per questo validi modelli».
Un romanzo da leggere. A costo di sorvolare su alcune sviste di un tipografo distratto, sperando che in futuro questa storia appassionante possa tornare sul mercato con un'edizione degna del suo potenziale.
Una falciola di Terra narra di Potus, un barbone alcolista che sta morendo nella stanza di un lussuoso ospedale nella notte in cui viene annunciata la Bioterapia, misteriosa cura che garantirebbe l'immortalità. Tartacola, un suo amico d'infanzia, forse morto suicida, si affaccia alla finestra dell'ospedale per portarlo nell'Aldilà. Potus si rifiuta, non vuole morire con davanti la prospettiva di vivere in eterno, ma Tartacola insiste. Fanno un patto: due in uno, come un prodotto da discount. Vagheranno per quella città globalizzata, detta Asenia. E Tartacola cercherà di soddisfare ogni curiosità dell'amico. Il loro vagare è parallelo a quello di Max e Flip, due guitti di un talk-show televisivo che, come Potus, pretendono d'indagare sulla veridicità della notizia. Saremo davvero immortali? Sentiranno i pareri di personaggi più o meno competenti, entreranno nella mente di persone che alla notizia reagiranno in modo differente: un prete, una ragazza che ha tentato il suicidio, una coppia che ha deciso di concepire un figlio. Grazie a un narratore inaffidabile, uso di monologhi e una costruzione corale, seguiamo questi ed altri destini. Non tutti si concludono. Perché secondo Claudio Ughetto nella vita non tutto si spiega: «Preferisco una certa oscurità, unita all'imprevedibilità che mette in relazione i destini, le relazioni, i personaggi. In questo mi sento vicino al cinema di David Lynch, apparentemente incomprensibile ma capace di dire cose inedite. Adeguato ai nostri tempi».
Potus deve morire, scendere fino alla Falciola, il margine di Asenia in cui il governo ha relegato quelli che chiamano gli «Spostati», di cui lui era il Re, e organizzarsi il funerale aiutato da Tartacola. Uniche certezze della vita umana rimangono nascita e morte. Tra i due estremi può accadere di tutto – almeno finché la Bioterapia non sarà confermata. Allora per noi si aprirebbe un destino post umano. Ma che tipo di vita sarebbe? Il romanzo non ce lo spiega, non è il suo compito. L’autore, invece, ritiene che «l'intero senso della vita è determinato dalla nostra mortalità. E non mi riferisco tanto all'escatologia religiosa, alla vita dopo la morte, ai premi e alle punizioni. Cose in cui non credo. Ci piaccia o meno, la capacità di essere prossimi ai nostri simili, di provare empatia, è anche determinata dalla sofferenza e dal rischio. Vivere significa partecipare, rischiare. Gli abitanti di Asenia, di fronte all'opportunità di vivere in eterno, rinunciano persino ad uscire di casa per paura d'incidenti. Un po' come noi, sempre più ossessionati dalla sicurezza, tappati nelle nostre case a vivere esistenze mediatiche e virtuali».
In questo Claudio Ughetto si sente affine proprio a Houellebecq: «Dopo tanti sogni di emancipazione l'umanità continua ad interrogarsi su delle paure che finiscono per condizionare il suo futuro. Abbiamo rimosso l'idea della morte, che sembra essere la nostra ultima preoccupazione e proprio per questo ci terrorizza. Si vive più a lungo e meglio, diciamo. Pur dubbiosi, non ci spiacerebbe vivere per duecento anni e oltre, grazie alla tecnologia e la biogenetica. Però ci areniamo di fronte a dibattiti etici sull'opportunità o meno d'intervenire sulla cellula umana e il Dna. Vivere in eterno comporta l'impossibilità di accedere alla vita per altri esseri, a nostro egoistico beneficio. Perché scandalizzarsi? È arduo parlare di vita eterna senza prima comprendere il perché della vita».
Romanzo dai molteplici livelli di lettura (storia corale, fiaba, epica urbana...), i cui due protagonisti ricordano ora Dante e Virgilio umiliati e offesi, ora Peter Pan e Ulisse fuori parte, Una falciola di Terra s'interroga su questioni che ci riguardano, non senza leggerezza. L'autore non ha dubbi: «L'umorismo è l'unione del non serio e del terribile, secondo Kundera. Una forma espressiva che non offre risposte ed ha nel relativismo la sua forza». Un romanzo postmoderno, vista la sua complessa costruzione? «Oggigiorno un romanzo del genere può catalizzare di tutto, compresi i prodotti dell'immaginario collettivo, ma quando l'ho scritto avevo in testa Diderot e Rabelais. Due maestri inarrivabili, ma proprio per questo validi modelli».
Un romanzo da leggere. A costo di sorvolare su alcune sviste di un tipografo distratto, sperando che in futuro questa storia appassionante possa tornare sul mercato con un'edizione degna del suo potenziale.
2 commenti:
ottimo Roberto!
tanti auguri di buon 2008 ricco di opportunità e serenità!
dopo questa lunga pausa si riprende a scrivere...
a presto! GB
Grazie Giambattista.
Alla tastiera!
A presto.
Posta un commento