
Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 13 gennaio 2008

Potrebbe essere l’inizio di una nuova era, se dura, se tiene, se arriva sino in fondo. Le primarie per la presidenza degli Stati Uniti sono una battaglia elettorale lunga e faticosa, ricca di colpi di scena e capovolgimenti, capace di portare alle stelle e poi gettare nella polvere qualsiasi candidato, specie oggi in pieno dominio mediatico. Ma se Barack Obama dura, se ti

Quando alcuni mesi fa il senatore dell’Illinois aveva rotto gli indugi e deciso di affrontare la lunga maratona delle primarie, nessuno immaginava che una forza della natura come Hillary Clinton avrebbe trovato un rivale capace di tenerle testa. Giovane, affascinante, affabile e, soprattutto, testimonial vivente della speranza. Lui, nero, perfettamente e naturalmente integrato (e per questo malvisto dai radicali della comunità afroamericana) in una soc

In fondo, è il disagio vissuto da tutte le società occidentali contemporanee. La mucillagine italiana descritta dall’ultimo rapporto del Censis non è troppo diversa dall’arcipelago americano o dall’impasse che vivono società come quella francese o tedesca. Solo che Obama non solletica le paure dei suoi cittadini, non accresce il loro disorientamento per tradurlo in una politica di ricompattamento contro il nemico esterno, vero o immaginario. La prospettiva scelta da questo outsider apparente (un senatore negli Usa non può essere un vero outsider) è di guardare in positivo, di

Obama parla d’altro. Parla di sicurezza sociale e di sanità per tutti, in un paese dove il 15 per cento della popolazione non riesce a permettersi una tutela medica decente. Parla di investimenti pubblici nelle infrastrutture per rilanciare l’economia nazionale. Parla di riequilibrio energetico per spezzare il cappio della dipendenza petrolifera. Parla di tutela dell’ambiente contro un’amministrazione che è apparsa cocciutamente sorda verso questo argomento. Scalda i cuori, laddove la sua avversaria più temibile, quella Hillary Clinton carica di esperienza e di favori del pronostico, riesce a raffreddarli con il suo cinico senso per il potere.
Dopo l

Ci sono momenti, nella storia dei paesi, in cui un uomo, anche indipendentemente dalle sue capacità, incrocia il comune sentire della sua gente. E lo interpreta. Ad Obama può accadere così che anche un punto debole, come il fatto di non parlare della guerra in Iraq e più in generale della guerra al terrorismo, può trasformarsi in un punto di forza. Per lui la storia irachena s’è chiusa quando ha detto no, in Senato, nel momento in cui tutto il paese (e assieme ad esso Hillary Clinton) ha appoggiato la scelta di intervenire contro Saddam Hussein e il suo regime. Oggi, semplicemente, ha messo la questione alle spalle. Sce

Obama può durare, può tenere, può arrivare fino in fondo perché è capitato nel posto giusto al momento giusto e con la formula vincente. Quella della speranza, invece che della paura. Se sarà capace di dare concretezza e contenuto a quella che oggi appare ancora solo come una splendida suggestione, questo quarantacinquenne dall’aria di ragazzino potrà segnare uno spartiacque, anche a prescindere dalla sua vittoria finale. Sì, potrebbe anche perdere e ugualmente aprire la strada alla suanuova frontiera.
Saltiamo continente. Altri umori, altre atmosfere. Europa, Berlino, notte di San Silvestro. La cancelliera Angela Merkel ha da poco cominciato il tradizionale discorso televisivo di fine anno, che in Germania è riservato al capo del governo. Nei primi minuti concentra tutti i risultati positivi collezionati dalla Germania da quando lei è al governo: economia, politica internazionale, tenuta sociale. Il suo è uno stile pacato e composto, la voce monocorde s’impenna solo all’inizio delle frasi, descrive non declama. Non è in campag

È un orizzonte nuovo e poggia su un cambiamento di clima che a Berlino s’è innescato in concomitanza con un evento se vogliamo banale, il mondiale di calcio del 2006. In quell’estate è cambiato l’umore del paese, le malinconie e i lamenti hanno ceduto il passo alla fiducia e i tedeschi si sono accorti di colpo che non erano poi così male come s’erano rassegnati a raccontarsi da qualche anno. La politica ha assecondato questo cambio d’umore. E la

Un passo più ad est verso Varsavia. Il derby delle destre polacche è stato in fondo uno scontro fra una visione pessimistica e una ottimistica del destino della Polonia. Tra le paure e le angoscie elette a programma politico e pratica di governo dei gemelli Kaczynski e la saggezza positiva di Donald Tusk. La vittoria di quest’ultimo, ben superiore rispetto ai sondaggi delle settimane pre elettorali, è stata il risultato del cambio di clima che aveva investito la società polacca nei mesi precedenti. Al vuoto esistenzialeprodotto dalla rabbia e dal rancore populista dei Kaczynsky, gli elettori hanno preferito il messaggio ragionevole di Tusk, la sua fiducia nei cittadini e nei corpi inte

Ottimismo, speranza, umanesimo. C’è ansia di superare il primo decennio del nuovo secolo scartando dai binari consolidati dello scontro ideologico. Quella che avanza è una nuova generazione politica post ideologica, che mescola speranze e passioni difficilida incardinare nelle caselle tradizionali della destra e della sinistra. Il radical Obama incanta i repubblicani, il neogollista Nicolas Sarkozy attira i socialisti. L’ultimo messaggio del presidente francese rompe davvero gli schemi, la politica di civilizzazione rimette in discussione paradigmi consolidati, cerca di dare risposte positive alle ansie contemporanee pescando a destra e a sinistra, a est e ad ovest, rimette l’uomo al centro della politica, spoglia di ideologismi i progetti ambientalisti, attacca senza co

Scompaginare, sorprendere e inventare nuovi paradigmi. In fondo il politico che avanza sembra volere recuperare il senso antico del suo mestiere, immaginare il futuro senza lasciarsi imprigionare dalle paure del nuovo. Il fatto che siano crollate le ideologie aggiunge e non toglie la fantasia di inventare. Alcuni mesi fa la rivista di cultura politica tedesca Cicero sosteneva che proprio oggi si andava realizzando quanto profetizzato nei decenni precedenti: il crollo dei riferimenti politici che per due secoli avevano determinato i nostri orientamenti, il superamento della destra e della sinistra, la ricerca di nuove sintesi. È il tempo dei politici che interpretano la speranza di uncambiamento.
Pierluigi Mennitti (Brindisi, 1966). Laureato all’Università La Sapienza di Roma in Scienze Politiche, è stato direttore della rivista di cultura politica Ideazione, per la quale ha tenuto una rubrica (Alexanderplatz) in qualità di inviato in Germania, paese nel quale risiede. In veste di politologo ha più volte presenziato alla trasmissione Otto e mezzo condotta da Giuliano Ferrara. Collabora anche con la rivista Emporion e diversi quotidiani, tra cui il Secolo d'Italia.
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