Tirare giù un editoriale facendo la recensione di un libro non è una prova di grande giornalismo. Ma capita, abbastanza spesso per chi legge più di quanto scriva, di incontrare un libro che stimoli ad una riflessione o anche semplicemente sia un utile strumento di consultazione. Marco Revelli non è tra i miei autori preferiti e non considero i suoi libri indispensabili; Sinistra/Destra, l’identità smarrita, edito da Laterza è stato però una piacevole e utile scoperta, di cui mi sento di consigliare la lettura. È un saggio di duecento pagine, ma io l’ho letto in una sola notte insonne. Quindi non si tratta di una lettura complicata, altrimenti non ne sarei stato in grado.
Revelli è un professore di scienze politiche, cosa che, per chi ama Schopenhauer, sta a un politico come un professore di filosofia sta a un filosofo e, secondo alcuni, un economista a un operatore finanziario. Il professore di filosofia studia, o più spesso fa l’autopsia del pensiero che era vivo e pulsante quando il filosofo lo pensò e che finisce dissanguato e appiattito tra la carta e l’inchiostro. Se l’economista fosse così esperto come appare, dicono in Borsa, sarebbe un miliardario, invece scrive articoli. Il politologo analizza perché la politica vada di qui piuttosto che di lì, ma non sa o non vuole far nulla perché vada così o altrimenti e generalmente te la racconta dopo.
Come tutti sanno - perché l’ho ripetuto così spesso da venire a noia anche a me stesso - io non amo le citazioni, né chi ne infarcisce i propri discorsi e i propri scritti. Per gli accademici però è un duro e tirannico obbligo, perché essi ritengono che se non citassero continuamente le fonti rendendo credibile ciò che scrivono grazie all’autorevolezza di chi l’ha scritto prima di loro, qualcuno potrebbe non prenderli sufficientemente sul serio.
Io invece dico che Revelli scrive bene anche se ogni suo pensiero sembra dover essere confermato da Marx, Caron, Lefranc, Buber o più spesso Bobbio e Galante Garrone. Ha scritto vari saggi su destra e sinistra e da un po’ si interroga su dove vadano a finire le categorie della politica in quest’era di grandi cambiamenti. Come esplicita il titolo, quest’ultimo saggio è proprio una riflessione su questo tema. Purtroppo si tratta di solito di riflessioni sulla destra e la sinistra che vengono da una scuola, quella di Bobbio, in cui l’essere di sinistra sta all’essere di destra come la natura angelica sta a quella del bruto (e anche di un bruto che non si lava e ha tendenze sadiche) quindi si percepiscono spesso alcune forzature nel definire le categorie. Ma Revelli è un valido studioso, versatile e di grande erudizione, quindi riempie le pagine di interessanti nozioni dove tanti altri mettono invece avverbi, aggettivi e parole in inglese per far vedere quanto hanno viaggiato (almeno con la mente).
Ne esce una gita semantica tra i termini destra e sinistra che spazia dall’antropologia culturale allo studio delle religioni, alla storia dell'arte e alla psichiatria. Ci si può divertire a cercare di collocarsi tra gli assi cartesiani di Zagdoun, per vedere se siamo paranoici o depressi di destra e di sinistra, cioè se aderiamo più al tema paranoico virile (destra autoritaria e estrema) o a quello del depresso generoso (destra moderata o liberale) oppure paranoico seduttore o depresso fedele (per la sinistra estrema o libertaria e sociale). Finiti però i divertissement e le “curiosità” filosofiche, si finisce con delle analisi sociopolitiche molto attuali e pregnanti sui grandi cambiamenti imposti dalla globalizzazione e dalla pervasività mediatica che, alterando perfino la percezione ordinaria e ordinata dello spazio e del tempo, mettono ancor più in confusione i luoghi e i nomi della politica.
Le conclusioni sono interessanti, seppur tuttavia io non le condivida. Ma questo è dovuto al fatto che le letture rigide della destra e della sinistra che fanno parte del bagaglio delle “certezze che si van perdendo” di Revelli, non sono le mie. Revelli ritiene che le grandi distanze tra ricchi e poveri siano di destra, io penso siano semplicemente ingiuste. Revelli crede che abbreviare queste distanze sia di sinistra, io credo che in Italia, per la prima volta, l’abbia fatto il Fascismo. Revelli ritiene che il Fascismo fosse di destra, molti uomini di destra pensano di no e io credo che si ponesse fuori dalle categorie di destra e sinistra.
Revelli assegna la religiosità alla destra e la ribellione alle tradizioni alla sinistra, ma questo crea dei problemi su laicità e laicismo che a mio avviso appartengono, almeno oggi, l’una alla destra e il secondo alla sinistra.
C’è poi l’antinomia conservazione/progresso che porta alla dinamica rivoluzione/reazione; antinomie capovolte: la prima destra/sinistra e la seconda, per risposta, sinistra/destra. Ma oggi le forze della conservazione stanno tutte nel centrosinistra, mentre la rivoluzione ha provato a farla nel 1994 il centrodestra, provocando la reazione di chi, politicamente ed economicamente, aveva delle rendite di posizione da difendere.
Già in passato Revelli aveva cercato di affrontare questo cortocircuito che vedeva, a suo avviso, contrapposte due destre, una tecnocratica e confindustriale e una populista e particolarista. Denunciando la subalternità della maggioranza della sinistra politica e sindacale alla “destra tecnocratica”, invocava la nascita di una nuova “sinistra sociale” ancora inesistente.
Il mondo di Revelli, insomma, è un mondo dove c’è destra ovunque e la sinistra è sparita. Il che, per un uomo di sinistra, dev’essere un bell’incubo. A meno che le sue categorie non siano un poco forzate, nel qual caso anche per lui c’è una speranza di un mondo migliore. Che magari costruiremo noi. Da destra.
Revelli è un professore di scienze politiche, cosa che, per chi ama Schopenhauer, sta a un politico come un professore di filosofia sta a un filosofo e, secondo alcuni, un economista a un operatore finanziario. Il professore di filosofia studia, o più spesso fa l’autopsia del pensiero che era vivo e pulsante quando il filosofo lo pensò e che finisce dissanguato e appiattito tra la carta e l’inchiostro. Se l’economista fosse così esperto come appare, dicono in Borsa, sarebbe un miliardario, invece scrive articoli. Il politologo analizza perché la politica vada di qui piuttosto che di lì, ma non sa o non vuole far nulla perché vada così o altrimenti e generalmente te la racconta dopo.
Come tutti sanno - perché l’ho ripetuto così spesso da venire a noia anche a me stesso - io non amo le citazioni, né chi ne infarcisce i propri discorsi e i propri scritti. Per gli accademici però è un duro e tirannico obbligo, perché essi ritengono che se non citassero continuamente le fonti rendendo credibile ciò che scrivono grazie all’autorevolezza di chi l’ha scritto prima di loro, qualcuno potrebbe non prenderli sufficientemente sul serio.
Io invece dico che Revelli scrive bene anche se ogni suo pensiero sembra dover essere confermato da Marx, Caron, Lefranc, Buber o più spesso Bobbio e Galante Garrone. Ha scritto vari saggi su destra e sinistra e da un po’ si interroga su dove vadano a finire le categorie della politica in quest’era di grandi cambiamenti. Come esplicita il titolo, quest’ultimo saggio è proprio una riflessione su questo tema. Purtroppo si tratta di solito di riflessioni sulla destra e la sinistra che vengono da una scuola, quella di Bobbio, in cui l’essere di sinistra sta all’essere di destra come la natura angelica sta a quella del bruto (e anche di un bruto che non si lava e ha tendenze sadiche) quindi si percepiscono spesso alcune forzature nel definire le categorie. Ma Revelli è un valido studioso, versatile e di grande erudizione, quindi riempie le pagine di interessanti nozioni dove tanti altri mettono invece avverbi, aggettivi e parole in inglese per far vedere quanto hanno viaggiato (almeno con la mente).
Ne esce una gita semantica tra i termini destra e sinistra che spazia dall’antropologia culturale allo studio delle religioni, alla storia dell'arte e alla psichiatria. Ci si può divertire a cercare di collocarsi tra gli assi cartesiani di Zagdoun, per vedere se siamo paranoici o depressi di destra e di sinistra, cioè se aderiamo più al tema paranoico virile (destra autoritaria e estrema) o a quello del depresso generoso (destra moderata o liberale) oppure paranoico seduttore o depresso fedele (per la sinistra estrema o libertaria e sociale). Finiti però i divertissement e le “curiosità” filosofiche, si finisce con delle analisi sociopolitiche molto attuali e pregnanti sui grandi cambiamenti imposti dalla globalizzazione e dalla pervasività mediatica che, alterando perfino la percezione ordinaria e ordinata dello spazio e del tempo, mettono ancor più in confusione i luoghi e i nomi della politica.
Le conclusioni sono interessanti, seppur tuttavia io non le condivida. Ma questo è dovuto al fatto che le letture rigide della destra e della sinistra che fanno parte del bagaglio delle “certezze che si van perdendo” di Revelli, non sono le mie. Revelli ritiene che le grandi distanze tra ricchi e poveri siano di destra, io penso siano semplicemente ingiuste. Revelli crede che abbreviare queste distanze sia di sinistra, io credo che in Italia, per la prima volta, l’abbia fatto il Fascismo. Revelli ritiene che il Fascismo fosse di destra, molti uomini di destra pensano di no e io credo che si ponesse fuori dalle categorie di destra e sinistra.
Revelli assegna la religiosità alla destra e la ribellione alle tradizioni alla sinistra, ma questo crea dei problemi su laicità e laicismo che a mio avviso appartengono, almeno oggi, l’una alla destra e il secondo alla sinistra.
C’è poi l’antinomia conservazione/progresso che porta alla dinamica rivoluzione/reazione; antinomie capovolte: la prima destra/sinistra e la seconda, per risposta, sinistra/destra. Ma oggi le forze della conservazione stanno tutte nel centrosinistra, mentre la rivoluzione ha provato a farla nel 1994 il centrodestra, provocando la reazione di chi, politicamente ed economicamente, aveva delle rendite di posizione da difendere.
Già in passato Revelli aveva cercato di affrontare questo cortocircuito che vedeva, a suo avviso, contrapposte due destre, una tecnocratica e confindustriale e una populista e particolarista. Denunciando la subalternità della maggioranza della sinistra politica e sindacale alla “destra tecnocratica”, invocava la nascita di una nuova “sinistra sociale” ancora inesistente.
Il mondo di Revelli, insomma, è un mondo dove c’è destra ovunque e la sinistra è sparita. Il che, per un uomo di sinistra, dev’essere un bell’incubo. A meno che le sue categorie non siano un poco forzate, nel qual caso anche per lui c’è una speranza di un mondo migliore. Che magari costruiremo noi. Da destra.
Marcello De Angelis, giornalista professionista, è direttore di Area e Senatore della Repubblica.
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