mercoledì 20 febbraio 2008

Buttafuoco, l'affabulante ci riprova con "L'ultima del diavolo" (di Giuliano Compagno)

Articolo di Giuliano Compagno
Dal Secolo d'Italia di venerdì 15 febbraio 2008

La prima fesseria che potrebbe baluginare all’offuscata mente di chi non capisca nulla di alcunché è che quest’ultimo di Pietrangelo Buttafuoco sia soltanto un romanzo filo-islamico. A meno che sia da considerare eretico tout court chi ancora non aderisca retoricamente al vecchio trinomio Dio-Patria-Famiglia. Ma è un’ipotesi che non prenderei neanche sul serio. Semmai l’autore – oltre a esser bravo di penna e di spirito – lo sentirei più prossimo a un altro numero perfetto, quello di Dèi-Terra-Comunità, ove ci si annoia un po’ meno, non si ripudiano le tradizioni migliori e si rispettano almeno le statistiche matrimoniali, a tutt’oggi assai sconfortanti, mi pare. Ora, l’impressione è che qui, nel paesone Italia, scrittori, saggisti e intellettuali, guai a loro se si azzardano ad aprirsi al mondo per quel che esso è o per quel che a loro piacerebbe fosse… Per carità! Si tratti di cielo o di tenebre, che il volo sia basso, quasi radente la realtà, al riparo da vasti orizzonti e da grande distanze! Sarà per questo che l’italica narrativa familista-freudiana marcia così bene ai botteghini! Perché resta chiusa lì, in quel risicato angioletto dove si narra di minime beghe tra genitori asfittici e figli a passioni zero, di casi di cronaca buoni per psicopatici e per chi li rincorre, di fumettoni vippaioli con finale noir… Ma mai che si deliri davvero sul mondo, e non appena uno se la rischia, come ha fatto Buttafuoco con questo suo secondo romanzo (L’ultima del diavolo, pp. 262, euro 18), arriva puntuale il pistolotto etico-realista.
Siamo alle solite: se di mezzo c’è un arabo sei certamente filo-islamico, se c’è un sud-americano sei senz’altro no-global, e se persino ci sta questo e quello, beh, allora non hai colto la temperie del mondo, figlio mio, e faresti bene a leggere Lo scontro di civiltà di Samuel Philips Huntington, il fami gerato teorico del “Clash”. Là sì che c’è materia di turbamento! E perché mai uno dovrebbe sforzarsi di convincere del contrario il succitato signore? Ma la pensi come vuole! Se questi intende mescolare politica, morale e storia, si accomodi. Se a parer suo il bene dei cittadini passa per la revisione di ogni giudizio e di ogni fatto, di ogni epoca e di ogni conflitto, buon pro gli faccia. Ormai se ne sentono di ogni tipo: che il ’68 no, è meglio trasgredire in tradizione (la Messa di Natale, la festa di paese…); che gli anni ’70 nemmeno, pussa via! Brutti e cattivi! Si buttino i bambini (arte, cinema, filosofia) con l’acqua sporca (i terroristi, stop); che la società è fondata sul matrimonio ma forse anche tutta la Terra, per cui sposati o nisba! Ci manca una bella offensiva anti-divorzista, una lista elettorale per lo jus primae noctis e il Nobel a Federico Moccia… perché Signori miei, parliamo di valori condivisi! Ecco a me – e a Buttafuoco, presumo – tutto questo immalinconisce, altrimenti per quale motivo un giornalista di talento dovrebbe sedersi a sera alla sua scrivania per delirare sul mondo? E scrivere un romanzo deleuziano dove coabitano razze e religioni, anime vere e immaginarie, quarantacinque personaggi, il deserto e New York, Demoni e Cardinali… E ancora dialogare su miti e riti, sulle umane strategie e sull’esperienza del Sublime, dinanzi a cui, a ristare un attimo di più, l’uomo moderno sente che nulla, davvero nulla, è limpido, netto, bianco o nero, e che tutto, proprio tutto, è torbido, mescolato, ibrido. C’è davvero di tutto in questo thriller teologico: uno splendido principe di Santa Romana Chiesa e il diavolaccio Nick Mac Pharpharel, George W. Bush e Scipione Romualdo Romualdi, preside in pensione, gli angeli inquisitori Munkar e Nakir e Pavel, Pope di Mosca. E c’è una lotta scatenata dal Principe delle Tenebre affinché venga definitivamente rovesciato dagli altari un santo del quale peraltro, nessuno sa niente. Si tratta del monaco Bahira, un eremita del deserto che a Bosra, in Siria, per primo riconobbe il segno della profezia nel ragazzino giunto con una carovana, il giovane Mohammad. E su tutto, sulla ridda grottesca di santi, sheick, pope e mistici sufi, sullo scandalo di Cristo e di Maometto come due raggi della stessa luce, emerge dalle pagine del romanzo, la commossa certezza che i libri allargano i confini e che la conoscenza spirituale unisce i popoli oltre gli schemi da “scontro di civiltà”.
Ecco, anche per tutto questo, a me – e a Buttafuoco, lo so – commuove ancora la figura di Federico Nietzsche che rincorre affannato dei manifestanti a Berlino e gli urla dietro: «Sono l’uomo che cercate! Ascoltatemi! L’Europa ha una malattia che si chiama nazionalismo… e ne ha un’altra che si chiama idealismo… Spazzateli via!» Ma non ce la fa a raggiungerli, e si ferma desolato mentre la massa lo sbatacchia qua e là. E non gli resta che rantolare un’ultima sentenza: «Allora la vita tornerà di nuovo. La vita torna eternamente…». E vi è un’altra ragione per cui L’ultima del diavolo appare come un romanzo bellamente deleuziano: in uno dei suoi attacchi fulminanti sferrati contro il potere psicanalitico, il filosofo francese argomentò che la sua debolezza stesse nel concepire l’inconscio come un teatro, il che valeva a dire mettere in scena sempre le stesse rappresentazioni – come avviene da noi, film e romanzi che sono infinite copie... Invece per Deleuze l’inconscio era una fabbrica, era il luogo della costruzione di ogni leggenda e di ogni racconto, era l’andar per loro conto di fantasia e immaginazione, che è poi l’invenzione della scrittura. Dovremmo tutti esser lieti che sopravvivano intellettuali non conformisti, capaci di ritagliarsi uno spazio di libera creatività, non del tutto assorbiti nel circo mediatico dell’intrattenimento televisivo. La patente di non-conformismo, com’è noto, viene da anni contraffatta in stamperie apposite. Basta pronunciare una bizzarria e la si ottiene. Io ho piacere di riconoscere che la patente di Pietrangelo Buttafuoco è autentica. Potrete controllare al Pri, che non c’entra con La Malfa ma è il Pubblico Registro Intellettuale. Vi risulterà che questo talentuoso giornalista scelse di studiare filosofia in tempi in cui quella laurea valeva nulla, e figuriamoci nella sua Sicilia orientale! Che incominciò a scrivere proprio su questo giornale in un periodo di grama considerazione per chiunque non fosse posseduto da un riflusso new-age con venature post-moderne. Che con i suoi “dramatis personae” e i suoi “riempitivi” sul Foglio ha inaugurato un vero e proprio genere giornalistico. Che in pochi mesi trasformò un settimanale in via di liquidazione in una dei più provocatori periodici di costume del dopoguerra italiano. Che col suo primo romanzo, Le Uova del Drago, ha imposto il best seller di stampo “cattivista”. E che soprattutto, in anni caotici e di facile adesione, Pietrangelo Buttafuoco non ha mai ceduto alla retribuita tentazione di omologarsi a quel monopensiero per il quale, non solo le mosche hanno la tosse, ma se ne dovrebbe persino parlare! E c’è un solo mezzo per tacerne: riderne. Perché oggi più che mai il riso abbonda sulla bocca dei saggi. «Mentre si ride – scrisse Franz Kafka – si pensa che c’è sempre tempo per la serietà». E quando L’ultima del diavolo è esattamente la pagina che hai terminato di leggere, lasci quel mondo picaresco e salvifico per tornare alla realtà, come si suol dire. E un’altra volta ancora ti persuadi del fatto che tra serietà e riso c’è davvero pochino di interessante.

Giuliano Compagno ha pubblicato 16 volumi, tra saggistica, comica e narrativa, tra cui i romanzi Generazione zero, L'assente, Il sesso è una parola, Memoria di parte sino ai più recenti Critica della ragion pura e Siamo come negozi (Coniglio editore). Ha scritto per il teatro di Giancarlo Cauteruccio. Ha tradotto opere di Bataille, Beckett, Bullough, Jarry, Klossowski. Appartiene al Novecento. La sua richiesta di entrare nel Ventunesimo secolo è stata respinta. Non ha presentato ricorso.

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