Articolo di Adriano Scianca
Dal Secolo d'Italia di martedì 18 marzo 2008
Uno sfondo simile, due immagini antitetiche. Negli infiniti, labirintici, asettici corridoi di un ospedale, un medico passa in rassegna i malati. Il tono è solenne, l’incedere pomposo, dietro di lui un codazzo ossequioso e ruffiano di dottori, dottorini, praticanti, infermieri, portantini. Per ogni infermo c’è una pubblica parola di accondiscendenza e un calcolo cinico sussurrato sotto voce. Il paziente, inteso come limone da spremere, è tutto. Il male, inteso come nemico da combattere, è nulla. Altra immagine. In un altro ospedale, un altro dottore percorre corridoi simili. Ma è solo. Non indossa il camicie, non si è rasato. L’incedere è claudicante, non ha nulla di solenne. Maltratta pazienti, colleghi, superiori. Va dritto alla malattia. La fiuta, la caccia, la scova, la combatte. A prescindere dal paziente, nonostante il paziente.
Il primo è Guido Tersilli, il medico della mutua immortalato nella celebre pellicola di Luigi Zampa. Il secondo è il dottor House, eroe televisivo degli ultimi anni, che anche ieri è stato il programma più visto della serata televisiva con 5.664.000 spettatori, pari al 21, 56% dell’intera platea della tv generalista.
Il confronto tra Guido Terzilli e Doctor House non illustra solamente un differente approccio alla professione medica, ma anche diverse visioni della vita, dell’etica e, perché no, della politica. Così, almeno, presenta il parallelo tra i due dottori di celluloide Filippo Rossi nell’ultimo numero, interamente dedicato al “Modello Dr. House”, di Charta Minuta, rivista della Farefuturo, la fondazione presieduta da Gianfranco Fini.
La maschera di Alberto Sordi contro il misantropo personaggio di Hugh Laurie: «Da una parte –spiega il giornalista – l’Italia di ieri, del l’opportunismo e dei corporativismi, delle piccole beghe e dei grandi egoismi, delle appartenenza sciatte e del politichese enigmatico, della concertazione infinita, dell’indecisionismo delle coalizioni, del passo lento e delle tattiche furbesche. Dall’altra, l’Italia di domani, che a milioni si appassiona al Dr. House e sogna una società in cui la retorica buonista e inconcludente venga sostituita da parole di aspro buon senso, dette da gente che sappia prendersi la responsabilità delle proprie decisioni, che non cerchi l’eterno inciucio dell’anima».
Lo scontroso primario del reparto di Diagnostica dell’ospedale Princeton Plainsboro Teaching Hospital come modello per l’Italia che viene, insomma. House, spiega Angelo Mellone nell’editoriale, «è tutto ciò che manca alla politica italiana, come arte collettiva e come ruvido confronto tra leadership. Dr. House incarna il volto crudo e ruvido della decisione orientata ad un criterio di verità, immerso nel pluralismo dei possibili della nostra società liquida, che non ammette tentennamenti, sfasature, retroazioni incapacitanti». Ed ecco allora che fioccano i paragoni illustri: Cioran, Schmitt, Kierkegaard, Céline. Autori che affrontano la realtà senza mentire, al di là delle favole e dei racconti consolatori. Profeti del parlar chiaro, cantori di un solido realismo decisionista. E a proposito di “parlar chiaro”, diciamola tutta: «Il Dr. House è chiaramente fascio». Lo assicura il giornalista Gianluca Nicoletti, che, intervistato da Cecilia Moretti, traccia un ritratto del personaggio di Hugh Laurie come eroe antimoderno e “selvatico”, nel senso che dà lo psicologo Claudio Risè a tale termine. Il nostro affezionatissimo, spiega Nicoletti, «ha in sé una moralità profonda e radicata, un’etica guerresca». Delle donne ha una visione arcaica, «non vede nella donna un’amica-confidente alla pari. È un personaggio antico, il camionista, il mercenario, il bello e maledetto, il guerriero che considera la donna come il suo riposo ». Gregory House, continua l’editorialista de La Stampa, è un «animale allo stato puro, irsuto, barbuto, con l’aria di uno che nemmeno si lava tanto». Un ritratto simile a quello che ne fa Carlo Freccero, intravedendo in filigrana dietro la figura del medico claudicante il profilo dell’eterno cacciatore, l’uomo delle origini – meglio: l’uomo originario – che armato di clava insegue la sua preda, ne fiuta l’odore, ne ricostruisce il percorso in base a indizi banali e impercettibili. E infine la stana, la combatte e la uccide. Una figura arcaica che sembra aver poco a che fare col “buon selvaggio” di rousseauviana memoria, veltroniano avant la lettre poi demolito dagli studi etologici novecenteschi. Il buon selvaggio, insomma, come capostipite degli anti-House.
Una categoria, quella dei temporeggiatori, dei buonisti, degli utopisti, di chi racconta frottole per imbonire se stesso e gli altri a dispetto della realtà, che ricorre spesso negli articoli di Charta Minuta. Abbiamo detto di Tersilli. Ma anche un’altra indimenticabile maschera del cinema italico ben si presta a rappresentare vizi atavici del nostro Paese che solo la cura House potrebbe guarire. Parliamo del ragionier Ugo Fantozzi, personaggio borghese, conformista, sfruttato, vile e ignorante quanto basta. Uno che vivacchia nella società, accettando la sua nicchia di piccole sicurezze eternamente frustrate senza mai sentirsi parte di un progetto più ampio, di una visione d’insieme, di una comunità nazionale. «Ciò che manca a noi italiani – spiega lo stesso Paolo Villaggio, intervistato da Andrea Baffo – è il senso dello Stato, perché lo Stato è partecipazione anche a livello emozionale, invece gli italiani non vogliono esserci, ma vogliono essere dei sudditi e possibilmente mantenuti». Ma attenzione, avverte l’attore genovese, meglio il conformismo fantozziano di certe tendenze attualmente in voga, dove neanche i borghesissimi pilastri esistenziali del ragioniere riescono a reggere di fronte alla consumistica voglia di apparire.
A proposito di vuota apparenza, c’è un altro antagonista nato del medico del Princeton Plainsboro Teaching Hospital, stavolta in carne ed ossa, il cui nome emerge spesso nella rivista diretta da Adolfo Urso; scopriamone i tratti nella citazione di Marco Revelli proposta da Ivo Germano: «Walter Veltroni è l’opposto simmetrico del dottor House. Il dottor House è il professionista che usa il proprio cattivo carattere per fare il bene. La sua diagnostica è basata sulla ricerca della verità, anche le più scomode, sul rifiuto dell’ipocrisia, della verità tranquillizzante. Il male va guardato in faccia per essere curato. Viceversa Veltroni fa il buono per convivere con il male. La sua diagnostica è basata sul racconto edificante del reale, in cui persino il negativo compare per rendere più fulgido il positivo. In cui anche la disgregazione sociale è in funzione dell’ostentazione dei buoni sentimenti».
Ma non tutta l’Italia, fortunatamente, si preoccupa unicamente di sorridere pensando a ciò che “si può fare”. Altri, nei più disparati ambiti, pensano anche a ciò che “si deve fare”. Ce lo ricorda Michele De Feudis tracciando un “catalogo semiserio” degli House nostrani in cui trovano posto antipatici di successo come il rude ma altresì competente Fabio Capello, allenatore con pochi fronzoli e una bacheca ricca di trofei proprio per la sua tendenza a fregarsene dei buonismi puntando all’essenziale. Concretezza al di là dei formalismi, sempre in ambito sportivo, la garantisce anche “Ringhio” Gattuso, mentre un dinamitardo della cultura e della Tv come Vittorio Sgarbi ha saputo fare del suo essere controcorrente il segreto del suo successo. E così via, con altri House tricolori come Massimo Fini, Carmelo Bene, Bettino Craxi, Indro Montanelli e Giampiero Mughini. Anticonformisti, talvolta antipatici, eppure sempre dispensatori di parole e azioni che fecondano la realtà, tracciano le vie, risolvono problemi. Tutte figure illustri dell’album di famiglia degli House.
Il primo è Guido Tersilli, il medico della mutua immortalato nella celebre pellicola di Luigi Zampa. Il secondo è il dottor House, eroe televisivo degli ultimi anni, che anche ieri è stato il programma più visto della serata televisiva con 5.664.000 spettatori, pari al 21, 56% dell’intera platea della tv generalista.
Il confronto tra Guido Terzilli e Doctor House non illustra solamente un differente approccio alla professione medica, ma anche diverse visioni della vita, dell’etica e, perché no, della politica. Così, almeno, presenta il parallelo tra i due dottori di celluloide Filippo Rossi nell’ultimo numero, interamente dedicato al “Modello Dr. House”, di Charta Minuta, rivista della Farefuturo, la fondazione presieduta da Gianfranco Fini.
La maschera di Alberto Sordi contro il misantropo personaggio di Hugh Laurie: «Da una parte –spiega il giornalista – l’Italia di ieri, del l’opportunismo e dei corporativismi, delle piccole beghe e dei grandi egoismi, delle appartenenza sciatte e del politichese enigmatico, della concertazione infinita, dell’indecisionismo delle coalizioni, del passo lento e delle tattiche furbesche. Dall’altra, l’Italia di domani, che a milioni si appassiona al Dr. House e sogna una società in cui la retorica buonista e inconcludente venga sostituita da parole di aspro buon senso, dette da gente che sappia prendersi la responsabilità delle proprie decisioni, che non cerchi l’eterno inciucio dell’anima».
Lo scontroso primario del reparto di Diagnostica dell’ospedale Princeton Plainsboro Teaching Hospital come modello per l’Italia che viene, insomma. House, spiega Angelo Mellone nell’editoriale, «è tutto ciò che manca alla politica italiana, come arte collettiva e come ruvido confronto tra leadership. Dr. House incarna il volto crudo e ruvido della decisione orientata ad un criterio di verità, immerso nel pluralismo dei possibili della nostra società liquida, che non ammette tentennamenti, sfasature, retroazioni incapacitanti». Ed ecco allora che fioccano i paragoni illustri: Cioran, Schmitt, Kierkegaard, Céline. Autori che affrontano la realtà senza mentire, al di là delle favole e dei racconti consolatori. Profeti del parlar chiaro, cantori di un solido realismo decisionista. E a proposito di “parlar chiaro”, diciamola tutta: «Il Dr. House è chiaramente fascio». Lo assicura il giornalista Gianluca Nicoletti, che, intervistato da Cecilia Moretti, traccia un ritratto del personaggio di Hugh Laurie come eroe antimoderno e “selvatico”, nel senso che dà lo psicologo Claudio Risè a tale termine. Il nostro affezionatissimo, spiega Nicoletti, «ha in sé una moralità profonda e radicata, un’etica guerresca». Delle donne ha una visione arcaica, «non vede nella donna un’amica-confidente alla pari. È un personaggio antico, il camionista, il mercenario, il bello e maledetto, il guerriero che considera la donna come il suo riposo ». Gregory House, continua l’editorialista de La Stampa, è un «animale allo stato puro, irsuto, barbuto, con l’aria di uno che nemmeno si lava tanto». Un ritratto simile a quello che ne fa Carlo Freccero, intravedendo in filigrana dietro la figura del medico claudicante il profilo dell’eterno cacciatore, l’uomo delle origini – meglio: l’uomo originario – che armato di clava insegue la sua preda, ne fiuta l’odore, ne ricostruisce il percorso in base a indizi banali e impercettibili. E infine la stana, la combatte e la uccide. Una figura arcaica che sembra aver poco a che fare col “buon selvaggio” di rousseauviana memoria, veltroniano avant la lettre poi demolito dagli studi etologici novecenteschi. Il buon selvaggio, insomma, come capostipite degli anti-House.
Una categoria, quella dei temporeggiatori, dei buonisti, degli utopisti, di chi racconta frottole per imbonire se stesso e gli altri a dispetto della realtà, che ricorre spesso negli articoli di Charta Minuta. Abbiamo detto di Tersilli. Ma anche un’altra indimenticabile maschera del cinema italico ben si presta a rappresentare vizi atavici del nostro Paese che solo la cura House potrebbe guarire. Parliamo del ragionier Ugo Fantozzi, personaggio borghese, conformista, sfruttato, vile e ignorante quanto basta. Uno che vivacchia nella società, accettando la sua nicchia di piccole sicurezze eternamente frustrate senza mai sentirsi parte di un progetto più ampio, di una visione d’insieme, di una comunità nazionale. «Ciò che manca a noi italiani – spiega lo stesso Paolo Villaggio, intervistato da Andrea Baffo – è il senso dello Stato, perché lo Stato è partecipazione anche a livello emozionale, invece gli italiani non vogliono esserci, ma vogliono essere dei sudditi e possibilmente mantenuti». Ma attenzione, avverte l’attore genovese, meglio il conformismo fantozziano di certe tendenze attualmente in voga, dove neanche i borghesissimi pilastri esistenziali del ragioniere riescono a reggere di fronte alla consumistica voglia di apparire.
A proposito di vuota apparenza, c’è un altro antagonista nato del medico del Princeton Plainsboro Teaching Hospital, stavolta in carne ed ossa, il cui nome emerge spesso nella rivista diretta da Adolfo Urso; scopriamone i tratti nella citazione di Marco Revelli proposta da Ivo Germano: «Walter Veltroni è l’opposto simmetrico del dottor House. Il dottor House è il professionista che usa il proprio cattivo carattere per fare il bene. La sua diagnostica è basata sulla ricerca della verità, anche le più scomode, sul rifiuto dell’ipocrisia, della verità tranquillizzante. Il male va guardato in faccia per essere curato. Viceversa Veltroni fa il buono per convivere con il male. La sua diagnostica è basata sul racconto edificante del reale, in cui persino il negativo compare per rendere più fulgido il positivo. In cui anche la disgregazione sociale è in funzione dell’ostentazione dei buoni sentimenti».
Ma non tutta l’Italia, fortunatamente, si preoccupa unicamente di sorridere pensando a ciò che “si può fare”. Altri, nei più disparati ambiti, pensano anche a ciò che “si deve fare”. Ce lo ricorda Michele De Feudis tracciando un “catalogo semiserio” degli House nostrani in cui trovano posto antipatici di successo come il rude ma altresì competente Fabio Capello, allenatore con pochi fronzoli e una bacheca ricca di trofei proprio per la sua tendenza a fregarsene dei buonismi puntando all’essenziale. Concretezza al di là dei formalismi, sempre in ambito sportivo, la garantisce anche “Ringhio” Gattuso, mentre un dinamitardo della cultura e della Tv come Vittorio Sgarbi ha saputo fare del suo essere controcorrente il segreto del suo successo. E così via, con altri House tricolori come Massimo Fini, Carmelo Bene, Bettino Craxi, Indro Montanelli e Giampiero Mughini. Anticonformisti, talvolta antipatici, eppure sempre dispensatori di parole e azioni che fecondano la realtà, tracciano le vie, risolvono problemi. Tutte figure illustri dell’album di famiglia degli House.
Adriano Scianca (1980), laureato in filosofia, collaboratore di diverse riviste, giornali e siti web, nonchè appassionato di cultura non conforme, filosofia sovrumanista e pensiero postmoderno.
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