domenica 9 marzo 2008

Corrado Guzzanti, sei tutti noi!


Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 9 marzo 2008


È tornato domenica scorsa, dopo una lunga assenza dal piccolo schermo. L’ha fatto a Parla con me, Rai Tre, ospite di Serena Dandini. Nei panni, o meglio nell’abito talare, di Padre Pizzarro, teologo sui generis dallo spiccato accento romanesco e dai modi sbrigativi e pratici di chi vuole capire senza girarci troppo intorno. Bentornato, allora. Perché, in una campagna elettorale giocata sul “casting” delle candidature, si sentiva la mancanza della satira. Non del partito unico della satira, unilateralmente schierato per combattere il male. Ma della satira che non guarda in faccia a nessuno e non si autocensura per appartenenza politica. Niente a che vedere con Fabio Fazio e neanche con la collega di sempre Serena Dandini, puntualizza Corrado Guzzanti: «Fanno talk show che inglobano qualche piccolo pezzetto di satira, ma la satira vera è un’altra cosa». Di quella «se ne è fatta poca, ha prevalso il modello del comico da consumo e due modelli di programmi: quelli di tipo cabarettistico e il “celentanismo”, fatti da showman con eccessi narcisistici».
Poco più che quarantenne, in quindici anni di carriera – dalle prime “comparsate” all’inizio dei Novanta a trasmissioni di successo come Avanzi, Tunnel, Maddecheaò, Pippo Chennedy Show e L’Ottavo Nano – Guzzanti ha dato vita a personaggi che sono entrati nell’immaginario collettivo. Giusto per citarne alcuni: dallo studente coatto Lorenzo al regista Rokko Smitherson, dal santone Quelo alla conturbante Vulvia. Per non parlare delle esilaranti imitazioni di personaggi reali, politici e non. Nel 2002 è stato anche autore e protagonista dello psicodramma televisivo Il Caso Scafroglia con Marco Mazzocca, recentemente uscito in due dvd con libro nella collana Senza filtro della Bur. E ora è pronto per il grande ritorno in tv. Sarà una delle guest star della seconda stagione di Boris, sarcastica sit com in onda prossimamente su Fox (Sky). Ma non esclude di tornare con un programma tutto suo. Gli spunti non mancano. «Dal punto di vista satirico è un bel momento, appaiono continuamente personaggi nuovi e non ci si limita più alla rissa tra Berlusconi e Prodi». Che poi tanto nuovo Ferrara non lo è, ma l’idea della lista per la moratoria sugli aborti è risultata sufficientemente «stravagante» per richiamare in servizio… Padre Pizzarro. Curioso ma scettico rispetto all’iniziativa del direttore del Foglio: «A Giulia’, ma che dobbiamo fa esattamente, spiegame, che vordì a moratoria sull’aborto? A moratoria sulla pena di morte vuol dire impedire di ammazza’ i condannati, a queste glie impediamo de abortì? No dice lui, “non potemo obbligà una a partorì per forza”. Allora a 194 la lasciamo così? No dice lui, “è omicidio”! E quinni che famo? A cambiamo sta legge. “Nun ho detto questo”. E che hai detto Giulià? “Vojo fa na battaglia culturale”. Ma allora va fa i girotondi daa vita che ce vai a fa in parlamento?» Domanda più che legittima. Infine il prelato suggerisce la mediazione: «Al massimo jo detto, tanto pe’ fallo contento, famo ‘na cosa più piccola, a ste ragazze che abortiscono levamoje i punti della patente».
Una cosa è certa, Guzzanti è pronto a interrompere quello che aveva definito «una sorta di personale aventinismo della satira» iniziato con la rielaborazione cinematografica di Fascisti su Marte. Una scelta maturata per sfuggire al “maccartismo” trasversale. Perché se è vero che certa destra «colpevolizza la sinistra come se fosse l’artefice dei pogrom di Stalin, anche da sinistra la situazione non cambia. Si banalizza in tutti i modi la destra al fine di identificare un nemico. Così l’unica identità che resta è quella dell’ “anti”, che interrompe ogni forma di comunicazione».
Una politica che troppo spesso recita a copione, confidando nelle rispettive rendite di posizione. Ruoli preconfezionati, nella pretesa di conservare la realtà a propria immagine e somiglianza. Tanto da far scrivere a Guzzanti, nel suo Libro de Kipli, una delle sue migliori battute: «Se i partiti non rappresentano più gli elettori, cambiamoli questi benedetti elettori». Dicevamo di Fascisti su Marte (Fandango), la pellicola nata dalla fortunata striscia andata in onda sui Rai Tre nel 2001 e arrivata nel 2006 sul grande schermo in una corposa versione di 90 minuti (disponibile anche in dvd).
«Un kolossal di fanta-revisionismo», l’ha definito Guzzanti. Nato da un’intuizione geniale: raccontare attraverso una serie di cinegiornali del Ventennio, «miracolosamente sottratti alla censura della storiografia marxista», l’eroica impresa di un gruppo di fascisti impegnati a conquistare Marte, «rosso pianeta bolscevico e traditor» (location: una cava della Magliana). Capitanati dal gerarca Barbagli (Guzzanti) e animati da irriducibile volontà littoria, malgrado le mille difficoltà incontrate per bonificare l’inospitale terreno sabbioso, il 10 maggio del 1939 possono affermare: “Marte è fascista!” Intendiamoci, niente a che vedere con l’antifascismo di maniera. Denunciando il conformismo di ieri, non si risparmia quello attuale. «Quel tipo di linguaggio a cui tutti gli italiani si adeguarono in nome dell’ideologia dell’orbace – ha sottolineato Pietrangelo Buttafuoco, nell’ “assolvere” Guzzanti – è speculare ai riflessi condizionati del politicamente corretto. La maestra elementare che portava i bambini ai sabati ginnici corrisponde oggi alla maestra che organizza la giornata dell’ambiente e della solidarietà. Quando tra 70 anni sarà completato il regime democratico ci sarà un artista satirico che farà il film “Democratici su Marte” sostituendo alla macchietta del fascista quella del girotondino». Lo scrittore siciliano muove solo una critica a Guzzanti: «Avrebbe dovuto chiedere una consulenza a Mario Landolfi, il primo ad aver inventato il personaggio del gerarca con cui ha divertito legioni di redattori del Secolo». E non a caso, infatti, il film, nato da “intenzioni di sinistra”, è diventato un vero e proprio cult a destra, malgrado Guzzanti non sia mai stato particolarmente tenero con la destra politica. Pur senza rinunciare all’umorismo. «Il solo modo per affrontare argomenti seri senza pregiudizi».
«Ciò che fa ridere, in effetti, viene in qualche modo “esorcizzato”, decomposto e diluito in elementi comici e dunque innocui – aveva previsto Annalisa Terranova – ed è quindi logico aspettarsi che il pubblico di destra sarà più numeroso di quello di sinistra. Il primo ha infatti bisogno di sorridere dei suoi idoli di un tempo, il secondo ha più difficoltà a vedere il “nemico” in un’atmosfera circense. La sinistra, che ancora usa i toni del melodramma quando si parla di fascismo storico e di “fascismo di ritorno”, difficilmente si abitua a passare dall’operetta all’avanspettacolo. Un problema insuperabile per coloro che nell’era della fine delle ideologie si ostinano a tenere alti gli steccati “assoluti”, in pratica gli imperativi categorici che piacciono al camerata Barbagli. Per tutti gli altri saranno romanissime e italiche risate». “Apprezzamento” che, a parere di alcuni, avrebbe dovuto imbarazzare Guzzanti. «Tutt’altro, mi ha fatto molto piacere – ha risposto con il consueto anticonformismo – che il Secolo d’Italia abbia parlato bene del mio film. In fondo, negli ultimi anni ho attaccato il centrosinistra più del centrodestra. Un autore non deve mai porsi il problema di essere politically correct: è un falso problema». Come è un falso mito quello dell’elettorato di centro. «Ma chi sarà mai ‘sto elettorato di centro?». I politici più esilaranti? «Mastella – risponde Guzzanti – uno straordinario pezzo comico, quel suo “Mi dimetto per amore”. Ma anche Casini ultimamente ci dà tante soddisfazioni. E la Santanchè, che giudica il candidato premier dal profumo. E De Mita. Povero De Mita, quasi mi fa tenerezza! Ho detto quasi, eh? L’uomo lo conosciamo, i suoi capricci sono divertenti, soprattutto è fantastico sentirlo ancora parlare in modo cauto, barocco, democristiano».
Meno complimenti da sinistra. Evidentemente non gli hanno perdonato le imitazioni riservate agli esponenti politici di quell’area. Di aver rappresentato Rutelli per quello che è: un indecisionista privo di un’identità politica precisa. Candidato premier senza idee e programmi da portare avanti. Indimenticabile l’amletico Rutelli che, rivolto all’immancabile cranio, si interroga: «Mi tocca fare il leader della sinistra, ditemi che devo fare, troppi problemi, troppe decisioni, qualcuno ci dica che dobbiamo fare. La mia signora me l’aveva detto: stai attento, quelle sono brutte compagnie. Io te posso dì una cosa sola: se vince Berlusconi… Berlusco’, ricordati degli amici». (Alema’, mettiti una mano sulla coscienza, aggiungiamo noi). Hanno criticato Guzzanti perché nel passato è stato «perfido» con Veltroni, il piccolo Budda della sinistra, l’intoccabile. Gli faceva dire: «A Zigo Zago c'era un mago con la faccia blu. E io questo mago lo vorrei alleato». «Perfido? Non direi, anzi mi rimprovero di essere troppo soft», ha dichiarato in una recente intervista. Le sue imitazioni del leader Pd rimangono di straordinaria attualità (ancora gettonatissime su youtube). Basti pensare al lungo sketch accanto a una finta Livia Turco. Anche allora (eravamo nel 2006) si parlava di candidature da gettare in pasto all’opinione pubblica. La Turco gli fa i nomi dei possibili candidati: Raul Bova? «Sarebbe stato perfetto, ma ha paura di perdere pubblico». Paola e Chiara? «Hanno la tournée, abbiamo provato a incastrare le date ma niente…». Di Caprio? «Magari. Lo voglio dire perché so che c’è una corrente Di Caprio contro di me. Ma io non ho niente contro Di Caprio. Io l’ho chiamato, è lui che ha rifiutato. Mi ha detto che già ha fatto Titanic e non può fossilizzarsi nella parte di quello che affonda. È ovvio, ha ragione». Amedeo Nazzari? «Amedeo Nazzari sarebbe stato perfetto ma, lo voglio dire con chiarezza, è morto». La piccola Heidi, azzarda la Turco? «No, il nonno vota a destra». E Topo Gigio? incalza. «C’ha i diritti Mediaset e non ce li dà».
E cosa dire dell’imitazione di Prodi? Da quando Veltroni lo ha spedito al confinio, sottraendolo alla curiosità di giornali e tv, prendersela con Prodi è sin troppo facile. Come sparare sulla Croce Rossa. Eppure negli ultimi mesi il fuoco amico dei comici di sinistra non l’ha risparmiato. Da Luciana Littizzetto, che l’ha sbertucciato davanti a un esterrefatto Fabio Fazio – «Ohè Romano! Metti il bollo, togli il bollo; metti una tassa, togli la tassa… Cosa abbiamo capito noi italiani della Finanziaria? Una beatissima mazza!» – al compagno Dario Vergassola – «Il cuneo fiscale ve lo mettete in c…» – per arrivare (persino!) a Antonio Cornacchione: «Per colpa di Prodi arriva un’ondata di freddo. Tutta l’Italia batte i denti tranne lui. Perché gira con un cappotto di pelo di pensionato». Guzzanti, a differenza loro, satireggia Prodi da tempi non sospetti, quando ancora tutti lo veneravano come lo statista che avrebbe salvato l’Italia. Pippo Chennedy Show. 1997. Serena Dandini intervista un Prodi (Guzzanti) comodamente seduto in poltrona, intento ad accarezzare una mortadellona, con tanto di tortellino-anello gigante al dito. Indisponente nel giustificare gli impegni assunti e non mantenuti: «Queste erano le promesse di un anno fa. Ora penserò ai miei elettori e mi preoccuperò di fare delle promesse nuove». E poi l’affondo. Ma D’Alema lo sapeva che era un semaforo? domanda la Dandini. «No, D’Alema era in difficoltà, guidava nella nebbia. Ecco una macchina da corsa, ci salgo sopra e vinco le elezioni. E’ salito sopra a un semaforo, è rimasto lì, non si è mosso di un metro. Pensava di controllarmi come un burattino e invece io ho il potere e lo esercito». Ieri, ad ascoltare Veltroni un milione di anni fa. Lui non c’era. E se c’era, dormiva. Il sonno dei giusti, naturalmente.

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