domenica 9 marzo 2008

Heineken Jammin’, nell'era dell i-pod sale la voglia di rock festival (di Federico Zamboni)

Articolo di Federico Zamboni
Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 9 marzo 2008
Vasco. Linkin Park. Alanis Morissette. I redivivi Police. I redivivi Sex Pistols. Il sopravvissuto (a tutto) Iggy Pop. E poi i Baustelle. E Chris Cornell. E Marlene Kuntz. E Counting Crows.
E’ il cast, citando alla rinfusa, dell’Heineken Jammin’ Festival 2008, che si svolgerà tra il 20 e il 22 giugno al Parco San Giuliano di Venezia e che è arrivato all’undicesima edizione. Biglietti d’ingresso, esclusi i diritti di prevendita, a 42 euro per un solo giorno e a 96 per tutti e tre. Allettante, coi tempi che corrono. Ma il punto non è la convenienza del prezzo. E nemmeno questa specifica sequenza di artisti, che pure ha le sue buone, e talvolta ottime, attrattive. Il punto, che va al di là di qualunque caso particolare, è che partecipare a un festival è tutt’altra cosa che presenziare a un singolo concerto. Specie quando quest’ultimo si svolge nella propria città, o a breve distanza da essa.
Il singolo concerto è una semplice digressione, più o meno piccola, più o meno episodica, rispetto ai soliti itinerari: una pausa nel mezzo della solita routine; una sosta senza cambiare tragitto, e senza nemmeno uscire dall’autostrada. Un festival è un viaggio a pieno titolo: un’immersione prolungata, e quindi più coinvolgente, in una realtà diversa; abbastanza diversa da riuscire, almeno in parte, imprevedibile.
Il singolo concerto è una visita guidata e a tempo determinato: entri con gli altri, vedi quello che c’è da vedere, ascolti quello che c’è da ascoltare, ed è già ora di andarsene; per quanto sia stato bello (o soprattutto se è stato bello) si va via con un filo di rammarico: con la sensazione di essersi soltanto affacciati su un mondo nel quale sarebbe valsa la pena di fermarsi più a lungo – così da esserne non solo avvolti ma compenetrati – e col timore che la suggestione appena sperimentata si dissolva in fretta. Troppo in fretta. Così in fretta da non lasciare traccia.
Un festival è il lasciapassare per un’intera città. Che è stata allestita ad hoc e che alla fine verrà smontata, ma che intanto si può attraversare a piacimento e che, in qualche modo, sprigiona le proprie atmosfere indipendentemente dal fatto di essere sempre di guardia sulla piazza principale, con gli occhi spalancati sullo spettacolo di turno. La vera abbondanza è la libertà di prendere ciò che si vuole quando lo si vuole, non l’obbligo di ingozzarsi solo perché il menu è a prezzo fisso. Che t’importa se perdi qualcosa? Se non segui proprio tutto dall’inizio alla fine? Se qualcosa lo ascolti solo da lontano, lasciando che i suoni diventino come le linee di un magnifico panorama che, nella distanza, nasconde una parte dei suoi dettagli ma conserva intatto il suo fascino?
Un’intera città. Un habitat.
Un posto, purtroppo fittizio, purtroppo transitorio, in cui si può ritrovare l’impressione che le persone che ci circondano non siano solo dei perfetti estranei, ma individui coi quali, al di là di ogni altra differenza, c’è almeno un piccolo, almeno un minuscolo, nucleo di umanità condivisa. Sia pure con tutta la consapevolezza di quanto è cambiato il rapporto con la musica, e di quanto oggi quel rapporto sia più prossimo allo svago che non all’identificazione, si può comunque sperare che certe preferenze siano rivelatrici di un modo di essere. O, se non altro, di una residua necessità di sfuggire all’omologazione generale. Alla disattenzione generale.
Bravi, verrebbe da dire. Bravi. Il fatto stesso che mettiate la musica al centro dei vostri interessi, fino a dedicarle tre giorni consecutivi del vostro tempo, della vostra vita, segna una differenza decisiva con quelli che invece, nella musica, cercano solo un po’ di distrazione mentre stanno facendo qualcos’altro. Non è un dettaglio di poco conto. Per produrre delle vere conseguenze interiori, che lascino un’impronta persistente, qualsiasi esperienza ha bisogno di tempo e di spazio. Un tempo sufficientemente ampio. Uno spazio sufficientemente sgombro.
E invece no. Fuorviate dalle cattive abitudini, e dal falso mito della simultaneità, moltissime persone non concedono né l’uno né l’altro. Hanno fretta. Hanno questa convinzione che si possano (che si debbano?) fare più cose contemporaneamente: mentre parlano al cellulare ascoltano i nuovi successi alla radio, e intanto sbirciano le mail sul pc (o sullo schermo del telefonino, why not?) e già che ci sono rispondono alle due/tre/quattro più urgenti, e magari – grande cosa i link! – si collegano con la Borsa o con l’Ansa o con YouTube o...
E’ la sensibilità dei nuovi barbari, dice Baricco. Il loro modo di percepire (respirare) la realtà. E’ il dinamico, avvincente, irresistibile tourbillon del multimediale. E’ questa idea, alquanto astratta quando non in malafede, che il sovrapporsi delle attività e delle percezioni corrisponda a una maggiore complessità, e quindi ad un arricchimento, piuttosto che a una maggiore superficialità e, dunque, a un impoverimento.
Andate a un festival, invece. A un buon festival pieno di musica che viene sfornata sul momento. Pieno di musicisti che si infarinano le mani per impastarla. E pieno di gente che si gode la fragranza del prodotto finito: ma che sarebbe ben contenta di poterci mettere del suo, anche solo dando una mano (oscura, benedetta) dietro le quinte. Heineken Jammin’, Pistoia Blues, Gods of Metal, Italia Wave. Non ha importanza quale sceglierete. Ha importanza il modo – e il mood – con cui lo vivrete.
Federico Zamboni, nato a Milano nel 1958 ma cresciuto a Roma, è giornalista e conduttore radiofonico. Tra il 1979 e il 1981, con lo pseudonimo di Claudio Fossati, ha tenuto una rubrica (quasi) fissa sul quindicinale “Linea”, dedicata a quella che allora si chiamava la “musica giovanile”. Dopo aver smesso di scrivere articoli per circa 15 anni, dedicandosi a tutt’altre cose, ha ripreso a pubblicare regolarmente nel 2000. Prima su “Ideazione.com”, poi sui quotidiani “Linea”, di cui è stato caporedattore fino al maggio scorso, e “Secolo d’Italia”.

Nessun commento: