Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 23 marzo 2008
Il logo degli Him, il gruppo finlandese che ha suonato in Italia all’inizio di marzo, si chiama Heartagram ed è famoso, quanto meno tra gli appassionati di Heavy Metal. Un cuore che si fonde con un pentacolo, la stella esoterica a cinque punte. Il simbolo della sensibilità umana amalgamato a quello del potere sovrumano. Il cuore dell’Uomo: il suo bisogno di accelerare i propri battiti rincorrendo le emozioni, cercando in tutti i modi di convincersi che esse siano vere, e belle, e ben riposte. Il pentacolo della Magia: le forze occulte che ci circondano e che obbediscono a leggi oscure e severe, perseguendo scopi che sono del tutto indifferenti alla nostra tenerezza e al nostro romanticismo. O che, addirittura, se ne fanno beffe.
Il logo degli Him – racconta Ville Valo, cantante e leader del gruppo – lo ha disegnato egli stesso. Esattamente il giorno in cui ha compiuto vent’anni. «Probabilmente è la cosa migliore che io abbia mai realizzato artisticamente... Mi ci sono voluti cinque minuti, ma inconsciamente, forse, ci stavo lavorando su già da anni. Mi piace l'idea che il simbolo sia più grande della band. Sono davvero felice quando le persone se lo tatuano».
Quanto alle implicazioni esoteriche, Ville le nega. L’heartagram sarebbe sì la rappresentazione grafica dell’eterna lotta tra il bene e il male, tra la luce e l’oscurità, tra l’egoismo e l’amore, ma senza nessun rimando a dimensioni ultraterrene. E, men che meno, senza alcun legame col satanismo. Benché il nome stesso del gruppo, infatti, sia l’acronimo di His Infernal Majesty, il richiamo diabolico sarebbe talmente superficiale da sconfinare nello scherzo. Una citazione divertita, se non proprio divertente, pescata nell’inesauribile magazzino dell’immaginario contemporaneo. Una citazione spensierata come nel mondo del rock ce ne sono un’infinità: disinvolte e irrilevanti, provocatorie ma fini a se stesse, suggestive – e innocue – come un trucco di scena, o una maschera di carnevale.
Eppure, nei confronti del rock, e più che mai dell’Heavy Metal, c’è chi prende tutto sul serio. Terribilmente sul serio. Ogni minimo accenno all’esoterismo – non solo quelli espliciti e insistiti, dai Black Sabbath agli Slayer, dai Venom ai Mercyful Fate – viene visto, e attaccato, come il segno inequivocabile di un coinvolgimento profondo. Non semplice curiosità, o interessamento culturale, o seduzione artistica, ma una vera e propria adesione a culti inquietanti, o tout court demoniaci. Chi canta di sangue e di violenza deve essere per forza di cose uno psicopatico. Chi si rivolge al diavolo, all’interno di un pezzo, è manifestamente un satanista. Che utilizza la musica – il potere della musica – per fare nuovi proseliti. Nuovi adepti.
«La musica rock – si legge su un sito internet che inalbera la scritta “San Michele Arcangelo proteggici” – da sempre ha rappresentato un punto di contatto diretto tra i giovani e le sette demoniache».
Non è una posizione isolata. L’ostilità del cristianesimo, quanto meno di quello più rigido e chiuso in se stesso, comincia già con l’avvento del rock’n’roll. E non può che essere così, in effetti: ridotto all’osso, il messaggio che si sprigiona dal rock a partire dagli anni Cinquanta è che la vita appartiene ad ogni singolo individuo. A ogni singolo ragazzo. Non ci sono principi assoluti. Non ci sono comandamenti divini. A maggior ragione, poi, quando quei principi e quei comandamenti si sono ridotti ad affermazioni tanto altisonanti, e perentorie, quanto ipocrite. O vi sembra una società piena d’amore cristiano, la nostra?
Per dirla alla Joseph Ratzinger, l’attuale Papa Benedetto XVI, il rock è l’apoteosi del relativismo. Lo Stato non è d’accordo? La Chiesa non è d’accordo? Gli adulti non sono d’accordo? Benissimo. Il punto è che siamo noi a non essere d’accordo con loro. Il punto è che non abbiamo più nessuna voglia, nessuna esigenza, di chiedere il loro permesso per fare quello che vogliamo.
La chiave di volta è questa. Il rock è anticonformista per definizione e, quando non si limita a essere una parentesi giovanile per poi stemperarsi in mero intrattenimento, esprime sempre e comunque un’insofferenza per la realtà circostante. L’Heavy Metal, cui bisogna dare atto di essere meno permeabile alle lusinghe (e allo snaturamento) della commercializzazione in chiave pop, lo fa in maniera particolarmente evidente e iconoclasta.
Come ha scritto Luca Leonello Rimbotti nel suo acuto Rock duro anti-sistema, pubblicato dalle Edizioni Settimo Sigillo nel 2006, «l’estrema uscita dalle categorie della razionalità progressista – il venir meno della norma – è pur sempre un’apocalisse di redenzione, un precipitare nella crisi che, tradizionalmente, cova la luce del sempre nuovo re-inizio insito nella Creazione, una luce che usa farsi annunciare dalle tenebre... (...) L’Heavy-Metal non è che il luogo metropolitano da cui rispunta rigoglioso, e traboccante di energia ad alto voltaggio, un paganesimo diroccato, sbrecciato, certamente corroso e degradato, ma vivo, mai veramente cancellato dal subcosciente bianco, neppure nel cuore urbano del disfacimento modernista».
Niente anatemi, allora. Contro il male, vero o presunto, si possono alzare barriere di ogni sorta: ma l’ignoranza, l’inconsapevolezza, la rimozione più o meno ottusa, più o meno isterica, non sono affatto una vera difesa. Sono solo una distanza. Vale a dire il più precario dei baluardi. Una fuga anticipata. L’equivalente, nello spazio reale o in quello metaforico, della viltà.
Il logo degli Him – racconta Ville Valo, cantante e leader del gruppo – lo ha disegnato egli stesso. Esattamente il giorno in cui ha compiuto vent’anni. «Probabilmente è la cosa migliore che io abbia mai realizzato artisticamente... Mi ci sono voluti cinque minuti, ma inconsciamente, forse, ci stavo lavorando su già da anni. Mi piace l'idea che il simbolo sia più grande della band. Sono davvero felice quando le persone se lo tatuano».
Quanto alle implicazioni esoteriche, Ville le nega. L’heartagram sarebbe sì la rappresentazione grafica dell’eterna lotta tra il bene e il male, tra la luce e l’oscurità, tra l’egoismo e l’amore, ma senza nessun rimando a dimensioni ultraterrene. E, men che meno, senza alcun legame col satanismo. Benché il nome stesso del gruppo, infatti, sia l’acronimo di His Infernal Majesty, il richiamo diabolico sarebbe talmente superficiale da sconfinare nello scherzo. Una citazione divertita, se non proprio divertente, pescata nell’inesauribile magazzino dell’immaginario contemporaneo. Una citazione spensierata come nel mondo del rock ce ne sono un’infinità: disinvolte e irrilevanti, provocatorie ma fini a se stesse, suggestive – e innocue – come un trucco di scena, o una maschera di carnevale.
Eppure, nei confronti del rock, e più che mai dell’Heavy Metal, c’è chi prende tutto sul serio. Terribilmente sul serio. Ogni minimo accenno all’esoterismo – non solo quelli espliciti e insistiti, dai Black Sabbath agli Slayer, dai Venom ai Mercyful Fate – viene visto, e attaccato, come il segno inequivocabile di un coinvolgimento profondo. Non semplice curiosità, o interessamento culturale, o seduzione artistica, ma una vera e propria adesione a culti inquietanti, o tout court demoniaci. Chi canta di sangue e di violenza deve essere per forza di cose uno psicopatico. Chi si rivolge al diavolo, all’interno di un pezzo, è manifestamente un satanista. Che utilizza la musica – il potere della musica – per fare nuovi proseliti. Nuovi adepti.
«La musica rock – si legge su un sito internet che inalbera la scritta “San Michele Arcangelo proteggici” – da sempre ha rappresentato un punto di contatto diretto tra i giovani e le sette demoniache».
Non è una posizione isolata. L’ostilità del cristianesimo, quanto meno di quello più rigido e chiuso in se stesso, comincia già con l’avvento del rock’n’roll. E non può che essere così, in effetti: ridotto all’osso, il messaggio che si sprigiona dal rock a partire dagli anni Cinquanta è che la vita appartiene ad ogni singolo individuo. A ogni singolo ragazzo. Non ci sono principi assoluti. Non ci sono comandamenti divini. A maggior ragione, poi, quando quei principi e quei comandamenti si sono ridotti ad affermazioni tanto altisonanti, e perentorie, quanto ipocrite. O vi sembra una società piena d’amore cristiano, la nostra?
Per dirla alla Joseph Ratzinger, l’attuale Papa Benedetto XVI, il rock è l’apoteosi del relativismo. Lo Stato non è d’accordo? La Chiesa non è d’accordo? Gli adulti non sono d’accordo? Benissimo. Il punto è che siamo noi a non essere d’accordo con loro. Il punto è che non abbiamo più nessuna voglia, nessuna esigenza, di chiedere il loro permesso per fare quello che vogliamo.
La chiave di volta è questa. Il rock è anticonformista per definizione e, quando non si limita a essere una parentesi giovanile per poi stemperarsi in mero intrattenimento, esprime sempre e comunque un’insofferenza per la realtà circostante. L’Heavy Metal, cui bisogna dare atto di essere meno permeabile alle lusinghe (e allo snaturamento) della commercializzazione in chiave pop, lo fa in maniera particolarmente evidente e iconoclasta.
Come ha scritto Luca Leonello Rimbotti nel suo acuto Rock duro anti-sistema, pubblicato dalle Edizioni Settimo Sigillo nel 2006, «l’estrema uscita dalle categorie della razionalità progressista – il venir meno della norma – è pur sempre un’apocalisse di redenzione, un precipitare nella crisi che, tradizionalmente, cova la luce del sempre nuovo re-inizio insito nella Creazione, una luce che usa farsi annunciare dalle tenebre... (...) L’Heavy-Metal non è che il luogo metropolitano da cui rispunta rigoglioso, e traboccante di energia ad alto voltaggio, un paganesimo diroccato, sbrecciato, certamente corroso e degradato, ma vivo, mai veramente cancellato dal subcosciente bianco, neppure nel cuore urbano del disfacimento modernista».
Niente anatemi, allora. Contro il male, vero o presunto, si possono alzare barriere di ogni sorta: ma l’ignoranza, l’inconsapevolezza, la rimozione più o meno ottusa, più o meno isterica, non sono affatto una vera difesa. Sono solo una distanza. Vale a dire il più precario dei baluardi. Una fuga anticipata. L’equivalente, nello spazio reale o in quello metaforico, della viltà.
Federico Zamboni, nato a Milano nel 1958 ma cresciuto a Roma, è giornalista e conduttore radiofonico. Tra il 1979 e il 1981, con lo pseudonimo di Claudio Fossati, ha tenuto una rubrica (quasi) fissa sul quindicinale “Linea”, dedicata a quella che allora si chiamava la “musica giovanile”. Dopo aver smesso di scrivere articoli per circa 15 anni, dedicandosi a tutt’altre cose, ha ripreso a pubblicare regolarmente nel 2000. Prima su “Ideazione.com”, poi sui quotidiani “Linea”, di cui è stato caporedattore fino al maggio scorso, e “Secolo d’Italia”.
1 commento:
Da cattolico penso che Benedetto XVI non attaccasse la musica metal in se, io stesso sono un cultore dei Kiss e degli Iron Maiden (il mio approccio con gli Iron lo ebbi dopo il film Phenomena). Il problema è che finchè si tratta solo di canzoni da ascoltare va benissimo, ma quando a queste canzoni noi diamo un significato allora diventa un problema. Finchè si tratta di andare in giro con una maglietta che raffigura Eddie (il demone degli Irono Maiden) non è un problema, lo diventa se qul personaggio diventa un modello da seguire.
Giovanni
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