lunedì 31 marzo 2008

Il ritorno di Flavio Giurato, cantautore per puro piacere (di Federico Zamboni)


Articolo di Federico Zamboni
Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 30 marzo 2008
Brutta storia: c’è un cantautore di alto livello che tra il 1978 e il 1984 fa tre dischi coinvolgenti e anomali, firmando nell’82 un capolavoro assoluto come Il tuffatore, ma che non ha abbastanza successo da poter continuare. Nonostante i passaggi in televisione, grazie all’entusiastico (e amichevole) supporto di Carlo Massarini/Mr.Fantasy (foto a destra), il grande pubblico rimane indifferente. E alla fine i discografici si tirano indietro.
Non è in discussione il suo valore artistico: quella che manca è proprio una prospettiva commerciale. Non tanto perché le copie vendute sono poche: ma appunto perché lui non tiene in alcun conto i gusti del pubblico e non concede nulla di nulla al marketing. Invece di diventare via via più accomodante – o se non altro più abile nell’imporsi all’attenzione generale, trasformando le proprie asperità personali nei tratti distintivi di un personaggio mediatico, magari scostante ma a suo modo stabilizzato e, quindi, riconoscibile – si preoccupa solo di proseguire la sua ricerca. Esplorando nuove tematiche. Scandagliando altri approcci. Fino a fare del terzo album, che in termini promozionali avrebbe avuto tutto da guadagnare nel riprendere le atmosfere del Tuffatore, la sua opera più impervia.
Bella storia: c’è una persona di talento che non è disposta a tutto pur di fare della propria passione un lavoro. Una persona che non crede affatto che le canzoni diventino vere, e importanti, e degne dello sforzo che ci vuole a scriverle e ad affinarle, solo quando le si incide su disco. Una persona che messa di fronte al bivio, di qua le autostrade dell’omologazione, di là le strade blu della libertà individuale, ha avuto la forza di preferire le seconde. Non è questione di non avere fretta o di non voler pagare il pedaggio: è che si è diretti in posti diversi, in cui si arriva soltanto se si è pronti a metterci tutto il tempo che ci vuole. Tutto il tempo. La fatica. L’amore.
Flavio Giurato ha fatto così. Ha realizzato i suoi tre album come voleva e, dopo, ha preso atto che non c’erano le condizioni per pubblicarne altri. Non in quel momento, almeno. Inutile lamentarsi. Inutile farla lunga. Meglio, molto meglio, costruirsi una carriera alternativa in un settore diverso, dove è normale scindere la competenza tecnica dalla creatività artistica. Dove, se pure si ha qualcosa in più da offrire, non ci si sente diminuiti se, invece, si è obbligati a dare qualcosa in meno.
«Ho fatto il regista in televisione, oltre che continuare a scrivere e comporre. Dieci anni per Rai Uno, prima con contratti a termine, poi con tutta la trafila del caso. Ho diretto le esterne, fino ad arrivare a Raisat, dove mi occupo di scrittura.» Chissà come è stato, vivere in questa specie di incognito. Con tutti, o quasi, che ignorano di cosa sei capace con le parole e pensano a te solo come a quello che dà disposizioni alla troupe. Quello che guarda alle cose che lo circondano in funzione del filmato che si accinge a girare. Senza nessun altro interesse che non sia raggiungere quel determinato scopo – televisivo, mica cinematografico – che gli è stato assegnato.
Magari non cambiava nulla, se lo avessero saputo. La gente tende a dimenticare che gli scrittori sono innanzitutto degli osservatori assidui, se non proprio instancabili, della realtà in cui si trovano. E delle persone in cui si imbattono. La gente tende a pensare che, se una certa cosa non le viene contestata esplicitamente, sia rimasta inosservata. Poi, magari, si ritrova descritta (denudata) in un certo personaggio e ci rimane male. Come ha cantato lui stesso, «figliola, non andare coi cantautori che poi finisci nelle canzoni».
Per circa vent’anni Flavio Giurato non ha inciso più nulla. E intanto, purtroppo, i suoi vecchi lavori diventavano sempre più difficili da trovare. Il primo album, Per futili motivi, non è mai stato ripubblicato su cd. Il tuffatore e Marco Polo sono stati sì riproposti in digitale ma ben presto sono finiti anch’essi fuori catalogo. A parte qualche sporadico concerto in piccoli spazi, il silenzio è stato interrotto solo nel 2002, con la pubblicazione in rete di un primo abbozzo di quello che oggi è diventato il nuovo album, e poi nel 2004, con un cd dal vivo apparso a corredo del libro Il tuffatore – Racconti e opinioni su Flavio Giurato. Un disco sì e no amatoriale, che conteneva anch’esso alcuni dei nuovi brani ma che, in mancanza di un vero arrangiamento, li lasciava a uno stato embrionale, continuando a nasconderne l’effettivo potenziale.
Per un ritorno vero e proprio si è dovuto aspettare ancora. Fino al 20 novembre 2007. Undici brani riuniti sotto il titolo – bello e ironico – di Il manuale del cantautore. Undici brani che evidentemente sono stati composti in un passato più o meno lontano, e che infatti parlano di eventi remoti come la strage di Ustica e l’invasione di Praga, ma che nella maggior parte dei casi non ne risentono affatto. Che si tratti di un modo di esprimersi agli antipodi di quello corrente non c’è dubbio. Ma non dipende certo, come pure è stato scritto da alcuni recensori, dal fatto che il linguaggio – e ancora prima l’approccio – sarebbe così datato da diventare desueto. Flavio Giurato era diverso da tutti gli altri a suo tempo, specialmente nel Tuffatore e in Marco Polo, e lo è rimasto ancora oggi. «Le cose che scrivo non hanno mai un significato univoco. Ne posseggono due, tre, possibilmente anche quattro». Inutile accostarsi, se non si hanno il tempo e la voglia di provare a trovarli.
Federico Zamboni, nato a Milano nel 1958 ma cresciuto a Roma, è giornalista e conduttore radiofonico. Tra il 1979 e il 1981, con lo pseudonimo di Claudio Fossati, ha tenuto una rubrica (quasi) fissa sul quindicinale “Linea”, dedicata a quella che allora si chiamava la “musica giovanile”. Dopo aver smesso di scrivere articoli per circa 15 anni, dedicandosi a tutt’altre cose, ha ripreso a pubblicare regolarmente nel 2000. Prima su “Ideazione.com”, poi sui quotidiani “Linea”, di cui è stato caporedattore fino al maggio scorso, e “Secolo d’Italia”.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Che dire? La storia di Giurato è una delle tante storie di quelle persone di talento che nel mondo dello spettacolo vengono confinate ai margini mentre gente meno capace va avanti

Giovanni

Anonimo ha detto...

A me piace molto... chissà perchè credevo di essere quasi l'unico a conoscerlo

Roberto Alfatti Appetiti ha detto...

Io confesso la mia ignoranza al riguardo.
Gli articoli di Federico sono sempre interessanti!
Un saluto a entrambi.
R.