Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale del 13 aprile 2008
Location: il Teatro Valle di Roma. 7 aprile. Sul palco Luca Barbareschi, Gabriella Carlucci e Michele Placido. Il Pdl presenta il suo disegno di legge sul cinema. Prende la parola l’attore e regista pugliese: «È straordinario, spero che passi. Mi piace perché dà soldi ai giovani e non ai vecchi marpioni. Finalmente introduce agevolazioni per chi investe nel nostro cinema ed è già tanto visto che per qualunque governo restiamo l’ultima ruota del carro». Qualunque governo? È proprio vero: non c’è nessuno a sinistra, siano essi politici o ex testimonial, disponibile a rivendicare – se non la paternità – almeno un qualche grado di parentela con il governo Prodi. Meno che mai Michele Placido. Sottoporlo alla prova del Dna, peraltro, potrebbe riservare una sorpresa. «Potrei votare Fini – ha confessato tempo fa – se la sinistra si comportasse male. Io sono come il parroco di Barbiana quando parlava ai ragazzi di sinistra: oggi con sto con voi ma se domani mi deludete sto contro di voi». E di delusioni ne ha ricevute molte. A Giulia Canterini di Radio Capital, nel 2004, lo disse chiaramente: «In Italia la destra è stata capace di dare risposte agli immigrati più che la sinistra».
Tra le righe delle sue dichiarazioni di oggi e di ieri, sembra risuonare un celebre motivo di Lucio Battisti: Io vorrei, non vorrei ma se vuoi… Del resto non è un segreto che da giovane Placido abbia fatto politica a destra. «Da ragazzo frequentava le associazioni dei giovani del Movimento Sociale – ha rivelato Paolo Agostinacchio, già sindaco di Foggia – era un atleta e frequentò il Centro sportivo fiamma». Ma il più sorpreso dalla “notizia” è stato proprio lui, l’interessato: «Perché non me l’avete chiesto prima? Non avrei avuto problemi a dire la verità».
E poi, ancora, raccontandosi a Barbara Palombelli (Registi d’Italia, Rizzoli, 2006): «Non sono mai stato comunista: per una ragione banale, quella per cui non lo sono milioni di italiani che ricordano le file, a Mosca, per un rotolo di carta igienica. Votavo socialista, ero convinto, ammiravo molto Bettino Craxi. O meglio, fino all’arrivo dei salotti, delle Marta Marzotto, ero proprio un militante appassionato, come mio fratello Enzo, ora riparato – insieme a tanti ex – in Forza Italia, è a Lucca con Marcello Pera».
Corteggiato da tanti politici, l’unico a cui Placido abbia dedicato uno spettacolo è Pinuccio Tatarella, rimpianto esponente di Alleanza nazionale. «Mi volle conoscere, mi disse di apprezzare la mia passione, la mia vitalità. Morì mentre ero in scena e dal palcoscenico gli dedicai alcuni versi».
Non è la prima volta che Placido applaude la destra e strapazza una sinistra che lo tratta come una presenza estranea, persino imbarazzante. L’ultimo è stato Citto Maselli che, in riferimento, alle parole di apprezzamento dell’attore sull’iniziativa legislativa del Pdl, l’ha liquidato con sufficienza: «Il suo giudizio non fa testo, non è in grado di giudicare bene perché non si occupa di cinema, noi dell’Anac lo facciamo da 40 anni».
Placido non si occupa di cinema? La pensano diversamente gli organizzatori del Festival del cinema europeo di Lecce (http://www.europecinefestival.org/). Per la nona edizione della manifestazione – che si terrà nel capoluogo salentino dal 15 al 20 aprile presso il Cityplex Santalucia – all’artista di Ascoli Satriano (Fg) è riservato l’annuale omaggio “alla personalità di maggior rilievo del cinema italiano”. Dodici dei suoi film verranno proiettati a latere del concorso e nella giornata conclusiva verrà presentata una monografia a lui dedicata da Massimo Caruso e Fabrizio Corallo. Riconoscimento meritatissimo: dal lontano ’84, quando fece la sua apparizione nel piccolo schermo nei panni – la divisa – del commissario Corrado Cattani, icona imperitura della lotta alla mafia, è uno degli attori maggiormente rappresentativi del nostro Paese. La Piovra: la più popolare fiction poliziesca italiana, esportata con successo in 80 paesi. Numeri allora impensabili per la televisione: una media di 10 milioni di spettatori con punte di 14. «Dovunque andassi nel mondo per tutti ero il commissario Cattani». Un personaggio impulsivo e anticonformista che sembra cucito sulla pelle dell’attore che, delle 10 serie complessive, ne ha girate le prime 4. Fino alla decisione di “sacrificare” Cattani – ammazzato dalla mafia – per non rimanere legato al personaggio. Salvo provarne – come ha ammesso recentemente – «tantissima nostalgia. Se mi proponessero una parte simile accetterei subito. Nella nostra società c’è bisogno di eroi positivi come lui».
Per adesso, gli appassionati della serie dovranno accontentarsi di rivedere Placido-Cattani in dvd. Le prime tre serie dello sceneggiato, rispettivamente dirette da Damiano Damiani (’84), Florestano Vancini (’86) e Luigi Perelli (’87), saranno nuovamente disponibili dal prossimo 22 aprile in altrettanti cofanetti “special edition” distribuiti dalla Warner Home Video (€ 34,90 cad.).
In compenso potranno continuare a seguire l’infaticabile Placido in nuovi ruoli: dopo averlo visto lo scorso gennaio nei panni del boss Bernardo Provenzano (L’ultimo padrino di Marco Risi), diverse sono le fiction che aspettano di essere messe in onda. Da quella su Aldo Moro – fermata per puerili motivi di opportunità “elettorale” – a quella, accompagnata da feroci polemiche, su Il sangue dei vinti, liberamente tratta dal bestseller di Giampaolo Pansa. Michele Placido interpreta il protagonista, il commissario Franco Dogliani – «un funzionario di polizia che ha attraversato l’intero arco storico del fascismo» – chiamato a indagare sugli eccidi commessi dai partigiani dopo il 25 aprile del ’45. «I genitori di Dogliani – ha anticipato Michele Soavi, regista del film – sono stati linciati perché in odore di fascismo e la giovane sorella Lucia, sentendo su di sé l’onta dell’8 settembre, è diventata un’ausiliaria irriducibile». La pellicola dovrebbe arrivare nei prossimi mesi nella sale cinematografiche per poi figurare nel palinsesto di Rai Uno, divisa in due puntate, nel 2009. Il condizionale è d’obbligo, perché il film non ha ancora trovato un distributore disponibile a portarlo nelle sale. Il produttore, Alessandro Fracassi (Media One Spa), ne ha definito la gestazione come «un vero e proprio calvario», denunciando pubblicamente «l’ostruzionismo di ogni genere, una sorta di censura preventiva». Più di un regista ha rifiutato il progetto, diversi attori si sono ritirati. «Uno dei colleghi – ha rivelato Placido – è stato Carlo Cecchi. Mi disse: “Non condivido il libro ideologicamente”. Ma io sono contento di mostrare al pubblico un punto di vista diverso: se un comunista, in passato, si è comportato come un nazista, è un nazista. E poi i morti sono tutti uguali, in questo Paese c’è bisogno di pacificazione».
Una posizione coraggiosa che certamente gli alienerà altre simpatie e lo costringerà a polemiche spesso solitarie, come quando si scagliò contro Curzio Maltese, reo di aver stroncato il suo Romanzo criminale, definendo Il Caimano di Nanni Moretti, l’altro film in competizione per i David di Donatello, «l’unico film e l’unico regista italiano esportabili».
Perché una cosa è certa: Placido è – per quanto ancora? – schierato con la sinistra, ma non è uno di loro. « Io conosco bene il pubblico, meglio di certi addetti ai lavori, il mio impegno è in netta contrapposizione ai registi autori che si autopromuovono a star». In questa frase c’è tutto il Placido regista. E non a caso i suoi film sono stati spesso criticati per l’assenza di tesi ideologiche preconfezionate, per la ricerca del forte impatto spettacolare, come nel cinema di grande narrazione statunitense. «Il primo documentario, Pummarò (’90) – ha raccontato – lo girai quasi per caso. Vidi dei ragazzi africani che raccoglievano i pomodori. Mi fermai a parlare con uno di loro, mi spiegò che con due mesi in Italia riusciva a pagarsi l’università in Bulgaria. La storia piacque a Claudio Martelli, mi aiutò, portammo il film a Cannes ed ebbe un grande successo». Sono seguite altre pellicole, sino – per l’appunto – a Romanzo criminale (2005). Crime story ispirata al libro cult dello scrittore-giudice Giancarlo de Cataldo, il film coniuga il ritmo del poliziesco all’italiana anni ’70 con la gangsteristica più complessa di Martin Scorsese. Per la prima volta viene raccontata dalla “parte dei cattivi”, senza veli ideologici e pretese documentaristiche, la “peggio gioventù”: tre ragazzi di borgata che sognano di prendersi Roma con la pistola in pugno. Il Dandi, il Freddo, il Libanese, rispettivamente Claudio Santamaria, Kim Rossi Stuart e Pierfrancesco Favino, sono i capi della Banda della Magliana, la più spietata e sanguinaria impresa del crimine degli anni ’70 e ’80. Un successo tale che è giunta l’ora del remake. Da poco sono iniziate le riprese di una fiction che si intitolerà proprio Romanzo Criminale. Sarà trasmessa a novembre (12 puntate da 50 minuti l’una) su Sky per poi approdare su Mediaset. Consulente artistico: Michele Placido.
«Ci sono molti scheletri che chiedono di uscire dagli armadi della storia italiana», ha dichiarato l’attore, candidandosi a girare nel prossimo futuro un film sulla strage di Piazza Fontana. E da pochi giorni – a quarant’anni da quel primo marzo ’68, giorno dell’insurrezione a Valle Giulia, facoltà di Architettura – ha iniziato le riprese de Il grande sogno, dedicato proprio al Sessantotto. «Per dire come eravamo, cosa pensavamo e perché ci ribellavamo». Con una premessa: «Non sarà un giochetto che esalta il mito del Che o i circoli giovanili che piacciono ad autori come Francesco Maselli». Nessuna retorica né autocompiacimento. «Vorrei descrivere come, analogamente al ’77, tutto sia iniziato come un grande gioco festoso e si sia sviluppato drammaticamente con la politicizzazione estrema e spesso criminale». Il film, prodotto alla Taodue di Pietro Valsecchi e distribuito dalla Medusa, è in larga parte biografico: «Racconto la mia “conversione”: quella di un ventenne, meridionale, poliziotto, che dopo aver manganellato gli studenti universitari capisce la loro protesta e passa dall’altra parte della barricata».
Sì, perché Placido passò quasi tre anni in divisa, nella caserma di Castro Pretorio, prima di frequentare l’Accademia di Arte Drammatica. «All’accademia – ha raccontato – a capeggiare il presidio c’era Gian Maria Volonté. Noi studenti eravamo affamati, l’occupazione comportava la presenza giorno e notte, un giorno chiesi a Gian Maria se potevo uscire un attimo a comprare pane e mortadella per i compagni, lui s’infuriò, urlando: “Cacciate quel reazionario, ma vi pare il momento di pensare alla mortadella?”. Tanto, loro mangiavano e noi no». Per “loro”, i sessantottini di professione, nessuna indulgenza. «Libero (uno dei tre personaggi principali, ndr) rappresenta quei leader dotati di fascino, un po’ intellettuali e politici, un po’ seduttori, di cui tutte le ragazze erano innamorate – ha sottolineato Placido – ma rappresenta anche coloro che, poi, sono diventati cattivi maestri: nel film non raccontiamo solo la parte buona, ma anche quella che ha gettato i primi semi del terrorismo, sfociato negli anni di piombo». A interpretare il giovane Placido c’è il conterraneo Riccardo Scamarcio, che con il regista pugliese ha già avuto una porticina minore, quella del Nero, in Romanzo criminale. E la contesa Anna, una ragazza della buona borghesia, interpretata da Jasmine Trinca. Soprattutto c’è lo scontro tra poliziotti e studenti, su cui Placido dice la sua: «Pasolini sbagliò a considerare vittime i poliziotti, l’ho conosciuto, era un grande intellettuale ma credo esagerasse nel criticare i “figli di papà” che animarono in Italia il ’68». Perché quella rivolta – prima di diventare altro – è stata un grande e condiviso sogno collettivo. Niente di più ma neanche niente di meno.
Tra le righe delle sue dichiarazioni di oggi e di ieri, sembra risuonare un celebre motivo di Lucio Battisti: Io vorrei, non vorrei ma se vuoi… Del resto non è un segreto che da giovane Placido abbia fatto politica a destra. «Da ragazzo frequentava le associazioni dei giovani del Movimento Sociale – ha rivelato Paolo Agostinacchio, già sindaco di Foggia – era un atleta e frequentò il Centro sportivo fiamma». Ma il più sorpreso dalla “notizia” è stato proprio lui, l’interessato: «Perché non me l’avete chiesto prima? Non avrei avuto problemi a dire la verità».
E poi, ancora, raccontandosi a Barbara Palombelli (Registi d’Italia, Rizzoli, 2006): «Non sono mai stato comunista: per una ragione banale, quella per cui non lo sono milioni di italiani che ricordano le file, a Mosca, per un rotolo di carta igienica. Votavo socialista, ero convinto, ammiravo molto Bettino Craxi. O meglio, fino all’arrivo dei salotti, delle Marta Marzotto, ero proprio un militante appassionato, come mio fratello Enzo, ora riparato – insieme a tanti ex – in Forza Italia, è a Lucca con Marcello Pera».
Corteggiato da tanti politici, l’unico a cui Placido abbia dedicato uno spettacolo è Pinuccio Tatarella, rimpianto esponente di Alleanza nazionale. «Mi volle conoscere, mi disse di apprezzare la mia passione, la mia vitalità. Morì mentre ero in scena e dal palcoscenico gli dedicai alcuni versi».
Non è la prima volta che Placido applaude la destra e strapazza una sinistra che lo tratta come una presenza estranea, persino imbarazzante. L’ultimo è stato Citto Maselli che, in riferimento, alle parole di apprezzamento dell’attore sull’iniziativa legislativa del Pdl, l’ha liquidato con sufficienza: «Il suo giudizio non fa testo, non è in grado di giudicare bene perché non si occupa di cinema, noi dell’Anac lo facciamo da 40 anni».
Placido non si occupa di cinema? La pensano diversamente gli organizzatori del Festival del cinema europeo di Lecce (http://www.europecinefestival.org/). Per la nona edizione della manifestazione – che si terrà nel capoluogo salentino dal 15 al 20 aprile presso il Cityplex Santalucia – all’artista di Ascoli Satriano (Fg) è riservato l’annuale omaggio “alla personalità di maggior rilievo del cinema italiano”. Dodici dei suoi film verranno proiettati a latere del concorso e nella giornata conclusiva verrà presentata una monografia a lui dedicata da Massimo Caruso e Fabrizio Corallo. Riconoscimento meritatissimo: dal lontano ’84, quando fece la sua apparizione nel piccolo schermo nei panni – la divisa – del commissario Corrado Cattani, icona imperitura della lotta alla mafia, è uno degli attori maggiormente rappresentativi del nostro Paese. La Piovra: la più popolare fiction poliziesca italiana, esportata con successo in 80 paesi. Numeri allora impensabili per la televisione: una media di 10 milioni di spettatori con punte di 14. «Dovunque andassi nel mondo per tutti ero il commissario Cattani». Un personaggio impulsivo e anticonformista che sembra cucito sulla pelle dell’attore che, delle 10 serie complessive, ne ha girate le prime 4. Fino alla decisione di “sacrificare” Cattani – ammazzato dalla mafia – per non rimanere legato al personaggio. Salvo provarne – come ha ammesso recentemente – «tantissima nostalgia. Se mi proponessero una parte simile accetterei subito. Nella nostra società c’è bisogno di eroi positivi come lui».
Per adesso, gli appassionati della serie dovranno accontentarsi di rivedere Placido-Cattani in dvd. Le prime tre serie dello sceneggiato, rispettivamente dirette da Damiano Damiani (’84), Florestano Vancini (’86) e Luigi Perelli (’87), saranno nuovamente disponibili dal prossimo 22 aprile in altrettanti cofanetti “special edition” distribuiti dalla Warner Home Video (€ 34,90 cad.).
In compenso potranno continuare a seguire l’infaticabile Placido in nuovi ruoli: dopo averlo visto lo scorso gennaio nei panni del boss Bernardo Provenzano (L’ultimo padrino di Marco Risi), diverse sono le fiction che aspettano di essere messe in onda. Da quella su Aldo Moro – fermata per puerili motivi di opportunità “elettorale” – a quella, accompagnata da feroci polemiche, su Il sangue dei vinti, liberamente tratta dal bestseller di Giampaolo Pansa. Michele Placido interpreta il protagonista, il commissario Franco Dogliani – «un funzionario di polizia che ha attraversato l’intero arco storico del fascismo» – chiamato a indagare sugli eccidi commessi dai partigiani dopo il 25 aprile del ’45. «I genitori di Dogliani – ha anticipato Michele Soavi, regista del film – sono stati linciati perché in odore di fascismo e la giovane sorella Lucia, sentendo su di sé l’onta dell’8 settembre, è diventata un’ausiliaria irriducibile». La pellicola dovrebbe arrivare nei prossimi mesi nella sale cinematografiche per poi figurare nel palinsesto di Rai Uno, divisa in due puntate, nel 2009. Il condizionale è d’obbligo, perché il film non ha ancora trovato un distributore disponibile a portarlo nelle sale. Il produttore, Alessandro Fracassi (Media One Spa), ne ha definito la gestazione come «un vero e proprio calvario», denunciando pubblicamente «l’ostruzionismo di ogni genere, una sorta di censura preventiva». Più di un regista ha rifiutato il progetto, diversi attori si sono ritirati. «Uno dei colleghi – ha rivelato Placido – è stato Carlo Cecchi. Mi disse: “Non condivido il libro ideologicamente”. Ma io sono contento di mostrare al pubblico un punto di vista diverso: se un comunista, in passato, si è comportato come un nazista, è un nazista. E poi i morti sono tutti uguali, in questo Paese c’è bisogno di pacificazione».
Una posizione coraggiosa che certamente gli alienerà altre simpatie e lo costringerà a polemiche spesso solitarie, come quando si scagliò contro Curzio Maltese, reo di aver stroncato il suo Romanzo criminale, definendo Il Caimano di Nanni Moretti, l’altro film in competizione per i David di Donatello, «l’unico film e l’unico regista italiano esportabili».
Perché una cosa è certa: Placido è – per quanto ancora? – schierato con la sinistra, ma non è uno di loro. « Io conosco bene il pubblico, meglio di certi addetti ai lavori, il mio impegno è in netta contrapposizione ai registi autori che si autopromuovono a star». In questa frase c’è tutto il Placido regista. E non a caso i suoi film sono stati spesso criticati per l’assenza di tesi ideologiche preconfezionate, per la ricerca del forte impatto spettacolare, come nel cinema di grande narrazione statunitense. «Il primo documentario, Pummarò (’90) – ha raccontato – lo girai quasi per caso. Vidi dei ragazzi africani che raccoglievano i pomodori. Mi fermai a parlare con uno di loro, mi spiegò che con due mesi in Italia riusciva a pagarsi l’università in Bulgaria. La storia piacque a Claudio Martelli, mi aiutò, portammo il film a Cannes ed ebbe un grande successo». Sono seguite altre pellicole, sino – per l’appunto – a Romanzo criminale (2005). Crime story ispirata al libro cult dello scrittore-giudice Giancarlo de Cataldo, il film coniuga il ritmo del poliziesco all’italiana anni ’70 con la gangsteristica più complessa di Martin Scorsese. Per la prima volta viene raccontata dalla “parte dei cattivi”, senza veli ideologici e pretese documentaristiche, la “peggio gioventù”: tre ragazzi di borgata che sognano di prendersi Roma con la pistola in pugno. Il Dandi, il Freddo, il Libanese, rispettivamente Claudio Santamaria, Kim Rossi Stuart e Pierfrancesco Favino, sono i capi della Banda della Magliana, la più spietata e sanguinaria impresa del crimine degli anni ’70 e ’80. Un successo tale che è giunta l’ora del remake. Da poco sono iniziate le riprese di una fiction che si intitolerà proprio Romanzo Criminale. Sarà trasmessa a novembre (12 puntate da 50 minuti l’una) su Sky per poi approdare su Mediaset. Consulente artistico: Michele Placido.
«Ci sono molti scheletri che chiedono di uscire dagli armadi della storia italiana», ha dichiarato l’attore, candidandosi a girare nel prossimo futuro un film sulla strage di Piazza Fontana. E da pochi giorni – a quarant’anni da quel primo marzo ’68, giorno dell’insurrezione a Valle Giulia, facoltà di Architettura – ha iniziato le riprese de Il grande sogno, dedicato proprio al Sessantotto. «Per dire come eravamo, cosa pensavamo e perché ci ribellavamo». Con una premessa: «Non sarà un giochetto che esalta il mito del Che o i circoli giovanili che piacciono ad autori come Francesco Maselli». Nessuna retorica né autocompiacimento. «Vorrei descrivere come, analogamente al ’77, tutto sia iniziato come un grande gioco festoso e si sia sviluppato drammaticamente con la politicizzazione estrema e spesso criminale». Il film, prodotto alla Taodue di Pietro Valsecchi e distribuito dalla Medusa, è in larga parte biografico: «Racconto la mia “conversione”: quella di un ventenne, meridionale, poliziotto, che dopo aver manganellato gli studenti universitari capisce la loro protesta e passa dall’altra parte della barricata».
Sì, perché Placido passò quasi tre anni in divisa, nella caserma di Castro Pretorio, prima di frequentare l’Accademia di Arte Drammatica. «All’accademia – ha raccontato – a capeggiare il presidio c’era Gian Maria Volonté. Noi studenti eravamo affamati, l’occupazione comportava la presenza giorno e notte, un giorno chiesi a Gian Maria se potevo uscire un attimo a comprare pane e mortadella per i compagni, lui s’infuriò, urlando: “Cacciate quel reazionario, ma vi pare il momento di pensare alla mortadella?”. Tanto, loro mangiavano e noi no». Per “loro”, i sessantottini di professione, nessuna indulgenza. «Libero (uno dei tre personaggi principali, ndr) rappresenta quei leader dotati di fascino, un po’ intellettuali e politici, un po’ seduttori, di cui tutte le ragazze erano innamorate – ha sottolineato Placido – ma rappresenta anche coloro che, poi, sono diventati cattivi maestri: nel film non raccontiamo solo la parte buona, ma anche quella che ha gettato i primi semi del terrorismo, sfociato negli anni di piombo». A interpretare il giovane Placido c’è il conterraneo Riccardo Scamarcio, che con il regista pugliese ha già avuto una porticina minore, quella del Nero, in Romanzo criminale. E la contesa Anna, una ragazza della buona borghesia, interpretata da Jasmine Trinca. Soprattutto c’è lo scontro tra poliziotti e studenti, su cui Placido dice la sua: «Pasolini sbagliò a considerare vittime i poliziotti, l’ho conosciuto, era un grande intellettuale ma credo esagerasse nel criticare i “figli di papà” che animarono in Italia il ’68». Perché quella rivolta – prima di diventare altro – è stata un grande e condiviso sogno collettivo. Niente di più ma neanche niente di meno.
3 commenti:
Un articolo che attraverso le parole di Michele Placido traccia un profilo interessante di tanta sinistra che si ritiene depositaria dei valori della cultura cinematografica e teatrale...
giovanni m. de pratti
Un articolo che attraverso le parole di Michele Placido traccia un profilo interessante di tanta sinistra che si ritiene depositaria dei valori della cultura cinematografica e teatrale...
giovanni m. de pratti
Un articolo che attraverso le parole di Michele Placido traccia un profilo interessante di tanta sinistra che si ritiene depositaria dei valori della cultura cinematografica e teatrale...
giovanni m. de pratti
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