giovedì 22 maggio 2008

Branduardi: «Il futuro europeo ha un cuore antico» (di Ippolito Edmondo Ferrario)

Articolo di Ippolito Edmondo Ferrario
Dal Secolo d'Italia di giovedì 22 maggio 2008
Si inaugurerà lunedì prossimo, 26 maggio, a Varese la seconda edizione del festival “Insubria, terra d’Europa”, un grande evento culturale dedicato alla cultura, alla musica e all’ambiente di questa porzione di territorio, l’Insubria appunto, che si estende tra le province di Varese, Como e Milano, organizzato dall’Associazione Culturale Terra Insubre. E ad aprire la kermesse sarà un concerto di Angelo Branduardi “Alle radici dell’Europa”, il musicista che torna con i suoi più grandi successi per raccontare di un passato lontano, carico di storia e di spiritualità. D’altronde il messaggio del cantautore nato a Cuggiono, in provincia di Milano, classe 1950, è chiaro: «In questi tempi di globalizzazione, se da una parte dobbiamo aprirci ai mondi più lontani, il rischio è quello di perdere la nostra identità e di subire la globalizzazione come mercatizzazione. Credo che il lato positivo della questione sia imprescindibile dalla salvaguardia culturale della nostra identità e della nostra storia. In pratica non c’è futuro senza radici» ci dice Branduardi.
Il cantautore ci ricorda i suoi esordi negli anni ’70, in un’epoca musicalmente prolifica ma certamente condizionata dalla musica di protesta, da un certo tipo di impegno a senso unico a sinistra che tendeva a escludere le diversità e chi non faceva della musica una questione di militanza. Lui invece con le sue ballate medievali e i suoi testi fantasy, ha in qualche modo ribaltato l’estetica giovanile trapiantando nella canzone italiana la sua predilezione per il fiabesco e il mitico, per una sensibilità medievaleggiante che attinge dal repertorio delle leggende popolari, soprattutto francesi, ma anche tedesche, inglesi e irlandesi. La sua stessa parabola è indicativa della trasformazione della mentalità collettiva in Italia: giovanissimo si trasferì, al seguito della famiglia, dalla Lombardia a Genova dove ha conosciuto l’ambiente musicale della scuola genovese che ha rappresentato un importante stimolo per la sua attività artistica. Ma da subito avvertì la sintonia di una certa musica d’Oltremanica, soprattutto Donovan e Cat Stevens, considerati sin d’allora i propri più grandi idoli musicali. Poi verranno gli studi al conservatorio di Genova, e in seguito l’intima esigenza culturale di imparare a suonare la chitarra e di comporre le prime canzoni ispirandosi a testi di poeti come Sergei Esenin e Dante Alighieri. E proprio sulle parole di una poesia di Esenin ha composto uno dei suoi brani più celebri, Confessioni di un malandrino(1975). In quel periodo l’incontro con Luisa Zappa, sua attuale moglie e sua compagna artistica, autrice di quasi tutti i suoi testi. Quasi tutte le musiche di Branduardi traggono ispirazione da brani di un passato antico, rimpianto e spesso dimenticato. È sua l’espressione, utilizzata nei suoi album, di “futuro antico”. Vive – coerentemente – presso una casa di campagna, nel Varesotto, continuando a scavare nel patrimonio culturale della madrigalistica medievale per trovarne concetti espressivi poi ridisseminati nel suo repertorio e lasciando affiorare le sue composizioni poetiche, di cui alcune sono state a suo tempo tradotte in tedesco da Michael Ende, il compianto autore de La storia infinita, la saga fantastica di Atreju da cui venne tratto anche un film.
«All’epoca, esattamente come oggi, ho seguito – ricorda adesso Branduardi – il mio istinto, la mia necessità di ricerca spirituale che non ho mai pensato di mascherare per bruciare i tempi o per avere dei vantaggi. Un po’ come il mio naso che in tanti anni non mi sono rifatto! Una cosa è certa: nel marasma di allora ero una mosca bianca, ma a distanza di anni il mio lavoro è stato riconosciuto come valido. Ho in qualche modo aperto una strada qui in Italia». E quando alla fine del 1976 arrivò il suo disco Alla fiera dell’Est fu come un cambio di clima. «Di questa roba o non ne veniamo una copia o ne vendiamo un milione» fu la profetica frase del discografico che alla fine si decise a pubblicare un disco che per mesi e mesi nessuno aveva voluto. Addirittura alla Rca con
cui Branduardi aveva pubblicato in sordina i primi due album, si erano mesi a ridere sentendo quell’assurda filastrocca di cani che mangiano gatti che mangiano topi. Eppure l’album vendette tre milioni di copie restando un intero anno in classifica.
Il fatto era che il cantautore e sua moglie vivevano in un mondo tutto loro e si nutrivano di cultura alternativa. Alla metà degli anni ’70, se eri un cantautore dovevi essere impegnato politicamente e socialmente, altro che storielle di cervi, corvi, nuvole, fiori, maghi e fate. Eppure già Cat Stevens, come alcuni gruppi progressive (i Gentle Giant, i Genesis, i Jethro Tull) e decine di musicisti dediti alla tradizione celtica, su tutti Alan Stivell, questi terreni li stavano battendo. Lasciando in archivio le parole d’ordine di un’idea di impegno priva di linfa vitale e ridotta a slogan, il bisogno d’immaginario delle giovani generazioni stava esplorando nuovi territori: le tradizioni popolari, gli indiani d’America, la cultura celtica, il medioevo, i mistici sufi…
«Certo – ci dice Branduardi – sin da allora io ho interpretato quello che sentivo e che vedevo, anticipandolo sui tempi. Si è solo trattato di aspettare, come ogni vero artista dovrebbe saper fare. Vedere oltre». Autentico menestrello dei giorni nostri, il cantautore ricorda con grande nostalgia un altro grande artista dei nostri tempi, scomparso nove anni fà: «Da adolescente compravo i vinili di De André. Con lui ho condiviso un’amicizia personale e la medesima ricerca di tematiche legate al mondo dei trovatori e delle nostre radici lontane. Ho sempre nutrito nei suoi confronti una grande stima. Anche lui era in cerca di risposte esistenziali che guardavano verso Dio e il sacro. Sarebbe retorico dire che dopo di lui si è sentito un immenso vuoto». E sull’onda del ricordo di De André, Branduardi dice che attualmente la sua affinità musicale è tutta per Franco Battiato e per la sua vocazione spiritualista…».
Il concerto che si terrà a Varese nel titolo stesso “Alle radici dell’Europa” contiene un esplicito richiamo proprio alle nostre radici, al concetto di identità dei popoli, a quelle specificità che rischiamo di dimenticare per andare verso un domani incerto. Un concetto di Europa che è sempre stato sostenuto da una certa destra politica e culturale e che risulta ben lontano da un’idea burocratica e spersonalizzante dell’europeismo. La manifestazione, inaugurata dal concerto di Branduardi, è tutta volta a valorizzare proprio il patrimonio culturale dell’Insubria, zona in cui la Lega Nord da anni raccoglie moltisissimo consenso, radicato anche in una sensibilità verso le radici, il regionalismo, le identità popolari, il federalismo. Cosa ne pensa l’artista e intellettuale Branduardi? «Non è mio compito mettermi in cattedra, assurgere al ruolo di maestro e giudicare come magari fanno altri artisti. Io mi sento una persona che ha da imparare su questioni di questo tipo. Semmai, preferisco affidare alla musica il mio messaggio, il mio modo di vedere le cose: questo è il linguaggio che mi compete. Giudico comunque positivamente l’idea di federalismo se questo vuol dire preservare le identità e mantenere vivi certi valori. Non spetta a me dimostrarne la validità, ma è la storia che ne dimostra la positività…».
Branduardi suonerà al Teatro Apollonio, in piazza della Repubblica, con inizio alle ore 21.00, proponendo brani dell’album L’infinitamente piccolo, seguiti dall’esecuzione, sulle note del suo inseparabile violino, dei suoi maggiori successi come Alla Fiera dell’Est, Cogli la prima mela e altre canzoni che hanno tutte la stessa impronta di tenace spiritualità, la stessa testimoniata dal suo musical su Francesco d’Assisi e dall’interpretazione del menestrello dell’Oratorio di San Filippo neri nel film di Luigi Magni State buoni se potete... «Io – precisa – mi sento molto più simile a San Francesco piuttosto che a un crociato. Ho dedicato al santo predicatore parte dei miei lavori, ma ben pochi conoscono il suo lato più umano e vulnerabile, quello dell’uomo tormentato che era in continua ricerca di domande. In questo aspetto mi sento molto simile a lui, non ho certo una fede a prova di bomba». Gli abbiamo chiesto quale sia il suo rapporto con Dio: «Direi che è tutto nella musica. Tutti gli etnomusicologi sostengono che la musica fin dai primordi ha avuto a che vedere con la spiritualità, con quel “vedere oltre” degli artisti. I primi musicisti della storia dell’uomo furono gli sciamani, gli stregoni. La musica è una forma di ricerca spirituale che coinvolge il corpo e la mente, che mette d’accordo il diavolo e l’acquasanta. Un vero musicista non potrà mai definirsi né laico né laicista». In qualche modo le sue parole fanno pensare invece a tutti gli artisti che sono molto distanti da questa sua concezione tanto antica quanto nobile del mestiere, ma questo non è per lui motivo di critica nei confronti degli altri: «Ci troviamo in Italia di fronte a tre generazioni. La mia, fatta da artisti cinquantenni, una di ventenni emergenti e un’altra di quarantenni che vengono proposti come eterni ragazzi. Di fronte ai successi enormi di classifica e delle vendite, credo che comunque la qualità ci sia, magari poca, ma c’è. Non si può troncare giudizi netti di fronte a certi numeri. Tra gli artisti della mia generazione stimo tantissimo, come già detto, Franco Battiato, ma anche Paolo Conte e Francesco De Gregori. Anche Francesco è una persona seria, fuori dagli schemi. Magari fin troppo seria, ma va bene così...». E a proposito di serietà lo stesso Branduardi non scherza, nel senso che raramente è protagonista del gossip o di trasmissioni televisive: «Ho una vita sociale come tutti. Sono amico dello scrittore Giorgio Faletti e anche di altri, ma non mi piace stare troppo sotto i riflettori. E poi, se fai sentire un po’ la mancanza al tuo pubblico, credo che poi abbia più desiderio di rivederti».
Qui a Varese, comunque, questo spirito sarà visibile anche in altre iniziative. Fino al 1 giugno saranno visitabili due mostre correlate alla manifestazione: «Volti d’Insubria» e «Il Ducale: Bandiera di Insubria», esposizioni inaugurate alla presenza del sindaco di Varese, Attilio Fontana, dal curatore della mostra, Mario Castiglioni, e e dell’artista Luciano Lutring, il famoso ex “solista del mitra”, un tempo rapinatore con la passione per le belle donne e le auto sportive, e oggi affermato scrittore e pittore. Castiglioni espone trenta ritratti, ognuno dei quali ha come didascalia il nome del personaggio, la sua professione, e una piccola frase di corredo: il “fil rouge” della mostra è lo sguardo antropologico che intrappola, al di là dell’obiettivo, storie personali di cittadini insubrici, in un approccio che diventa poi storico e sociale. E proprio attraverso l’attenzione ai cittadini sono illustrate le peculiarità delle province dell’Insubria. Si tratta di ritratti ambientati, collocati nel tempo, ma soprattutto nello spazio. Professioni intellettuali e arti manuali, dove la territorialità compenetra il lavoro e il lavoro forgia la materia.
Per non citarne che alcuni, sono raffigurate le professioni d’acqua, con il guardia parco in barca del Ticino, il canoista olimpionico, il capo timoniere del lago Maggiore, il pescatore del lago, quelle di terra, con l'erborista di montagna, l’apicoltrice, il veterinario di fattoria, e ancora i mestieri di fuoco, dove il fuoco sapientemente incanalato permette la creazione artigianale del vetraio, e persino d’aria, nel volteggiare aggraziato della ballerina. Non potevano poi mancare gli artisti: due pittori, l’uno ex rapinatore, l’altro frate cappuccino e lo scrittore medico condotto.
Ippolito Edmondo Ferrario, classe 1976, vive e sopravvive a Milano, dove si diletta a fare il mercante d'arte. Giornalista e scrittore, ha pubblicato numerosi libri dedicati a Triora, il famoso paese delle streghe, di cui è cittadino onorario, i noir Il pietrificatore di Triora col quale ha dato vita al detective Leonardo Fiorentini, suo alter ego, e Il collezionista di Apricale... e le stelle grondano sangue (rispettivamente Fratelli Frilli Editori, 2006 e 2007). Di recente uscita, per Mursia, Milano sotterranea e segreta con Gianluca Padovan.

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