Dal Secolo d'Italia, edizione domenicale dell'11 maggio 2008
Orientarsi è difficile, nel mare magnum dei libri che affollano le librerie. Ne arrivano sempre di nuovi, a scalzare pile di volumi intonsi eppure destinati al macero. Pagine piene di aspettative – accarezzate da incoraggianti recensioni – destinate, nella migliore delle ipotesi, a una vita da magazzino o a girovagare tra polverose bancarelle di provincia. Per la disperazione delle case editrici, soprattutto delle piccole. E piccola, anche se autorevole – specializzata com’è in controstoria risorgimentale – è Controcorrente di Pietro Golia. Negli ultimi anni, peraltro, la casa editrice napoletana ha sviluppato un’offensiva a tutto campo aprendosi a nuovi filoni di interesse. Giuseppe Giaccio, direttore editoriale e autore del recente Storie francescane (pag. 64 € 10), ha appena terminato la traduzione de Il 68 della Nuova destra, una versione riveduta e ampliata in occasione del quarantennale dell’opera collettanea edita dieci anni fa. Tra pochi giorni – ci assicura – sarà nella mani di Golia e quindi in tipografia. Mentre tra poche settimane sarà la volta di Pensiero ribelle, il primo di tre volumi dedicati a Alain De Benoist. Definito dallo stesso intellettuale francese «il testo più importante per chi volesse avvicinarsi alle mie idee», il libro raccoglie oltre quattrocento pagine di interviste sugli argomenti più disparati. Di argomento religioso, invece, è il terzo volume di De Benoist, dal titolo provvisorio di Gesù e i suoi fratelli. Ma non è tutto. Sempre per la casa editrice napoletana è in uscita Il genio della tradizione di Marco Iacona: quaranta interviste a personaggi di spicco della cultura non-conforme italiana sul pensiero di Julius Evola. Introduzione – neanche a dirlo – di Gianfranco de Turris. Di Iacona – classe ’64, studioso siciliano con tanto di tesi su Ernst Jünger e dottorato di ricerca su Julius Evola, oltre che collaboratore di Nuova Storia Contemporanea e del Secolo d’Italia – proprio in questi giorni è in uscita anche un altro libro: 1968. Le origini della contestazione globale (pag. 160 € 10 Marco Solfanelli editore), documentatissima ricerca sulla pubblicista di destra di quegli anni.
Di un altro Sessantotto si è occupato invece Antonio Carioti, giornalista del Corriere della Sera, nel suo Gli orfani di Salò (sottotitolo: Il Sessantotto nero dei giovani neofascisti nel dopoguerra 1945-1951, pag. 296 € 17,00 Mursia). Sì, perché la tesi di fondo è proprio questa: prima di un 68 rosso ce n’è stato uno nero. Ad animarlo, nell’immediato dopoguerra, migliaia di giovani neofascisti che egemonizzano le scuole medie superiori e persino le università, guidano le più affollate manifestazioni studentesche dell’epoca, quale quella per il ritorno di Trieste alla madrepatria. Anche se rifiutano l’Italia democratica, De Gasperi ne sdoganerà ante litteram “la sincerità dell’amore di patria”. Occupano le università (a Pisa e Napoli con i comunisti) ma anche la sede nazionale del partito, contestandone la linea conservatrice. Insubordinati e ribelli, non chiedono l’autonomia politica: se la prendono. Dimostrano una capacità di elaborazione culturale che va al di là del primato dell’anticomunismo e del nostalgismo fine a se stesso pubblicando riviste di spessore.
«Un secondo volume che arrivi fino al ’56 – ci anticipa Carioti – è in preparazione e racconterà come molti di questi giovani si disperderanno tra scissioni e attività giornalistica (ad esempio Fausto Gianfranceschi e Mario Tedeschi). Il loro, però, non sarà un togliersi di mezzo. Come talpe che scavano sino a scuotere l’albero, contribuiranno a tenere viva una cultura di destra sommersa che risulterà determinante per l’affermazione elettorale di An negli anni Novanta, paradossalmente senza beneficiarne».
Rimanendo in tema di fascismo, entro settembre tornerà disponibile Fascio e Martello. Viaggio per le città del Duce di Antonio Pennacchi (Laterza, 368 pag. € 18) in una edizione più aggiornata rispetto a quella della Asefi. «Le città del duce erano 12 in tutto – puntualizza Pennacchi, autore di romanzi di successo come Il fasciocomunista (Mondadori) ma anche grande specialista in bonifiche e costruzione di nuove città – e con me sono arrivate a 140. Mi hanno copiato tutti ma le opere che vedo in giro sono solo elenchi pieni di fregnacce».
Arianna Editrice, la piccola ma combattiva casa editrice di Eduardo Zarelli, invece punta tutto sull’attualità. E cosa c’è di più attuale dell’emergenza rifiuti che vive la Campania? Così a giugno manderà in libreria Lo stivale di Barabba ovvero l’Italia presa a calci dai rifiuti di Stefano Montanari, scienziato bolognese e divulgatore di fama mondiale, affrontando con competenza la situazione attuale e soprattutto valutandone le prospettive.
Ma non si vive di soli saggi e il richiamo della narrativa non va eluso. Les afreu (Mursia) – il libro di Ippolito Edmondo Ferrario (’76), scrittore e mercante d’arte milanese, sulle “terribili” vicende dei mercenari italiani in Congo – dovrebbe vedere la luce entro l’estate. Accantonate per il momento le avventure della sua creatura letteraria – il detective-gallerista Leonardo Fiorentini, protagonista de Il pietrificatore di Triora e Il collezionista di Apricale (2006 e 2007 Frilli editore) – e le ricerche che hanno dato vita a Milano Sotterranea e misteriosa (scritto con Gianluca Padovan, Mursia 2007), Ferrario è occupatissimo nell’ultima revisione del testo. Aspettiamo.
Appena uscito è Morire è un attimo (pag. 240, € 14, Edizioni Angolo Manzoni), primo romanzo del torinese Giorgio Ballario, (’64), già redattore de Il borghese e dal ’99 a La Stampa. Location: l’Africa “italiana” del 1935. Un noir incalzante significativamente ambientato – come ha scritto nella prefazione Domenico Quirico - «in luoghi che nessuno scrittore italiano, al contrario di quanto accaduto in Francia e Inghilterra, ha mai ritenuto sfondo efficace e profondo da poter leggere in controluce quanto estremo e forte fosse il mutare del nostro paese».
A cavallo tra il noir e il romanzo storico è anche Congiura (pag. 408 € 18 Mursia), la quarta prova di Davide Mosca. Nato a Savona nel ’79 e milanese d’adozione, una laurea in Storia antica, Mosca si è cimentato a lungo con il pugilato prima di dedicarsi a tempo pieno all’editoria e alla scrittura. Ha esordito nella narrativa nel 2001 con Le parole che cadono nel vuoto non fanno rumore e con Mursia ha già pubblicato Silla. Il figlio della fortuna (2003) e Silla Imperator (2006). Stavolta, però, a occuparsi – su mandato di Cicerone – della congiura più famosa di tutti i tempi, quella di Catilina, è il giovane e disincantato detective Mamerco Mamilio, un Marlowe ante-litteram, una sfortunata canaglia che spende tutti i suoi soldi in donne e libri e si aggira in una Roma buia, marcia, fra bordelli, palestre e taverne in un romanzo che contamina un’originale ricostruzione della Roma repubblicana con seducenti atmosfere moderne.
«Dichiaratamente tolkieniano» è il romanzo fantasy Il Regno Nascosto di Gabriele Marconi ed Enrico Passaro (pag. 368 € 18,50 Dario Flaccovio Editore), atteso in libreria per il 12 maggio. L’idea della storia, nata nel 1983 e ispirata a una canzone di Marconi scritta nel 1982, Il Regno dei Nani, venne annotata dallo stesso Marconi su un taccuino per poi essere rielaborata recentemente a quattro mani. «Si tratta di un omaggio a Tolkien – ci ha spiegato Marconi, direttore responsabile del mensile Area e apprezzato narratore di Io non scordo, romanzo pubblicato dal Settimo Sigillo di Enzo Cipriano e poi ristampato da Fazi nel 2004 – e le vicende sono ambientate nella IV Era, naturalmente adattata, con ricordi di personaggi del Signore degli Anelli in filastrocche, leggende e canzoni. Nel libro ce ne sono quattro, tre mie e Tramonto di Francesco Mancinelli». La trama è nel viaggio: Althorf e i suoi due nipoti, Vitur e Tekkur, sono gli unici Nani rimasti nel villaggio di Cuterbor. Dopo aver condiviso il mondo con gli Uomini abitando quartieri all’interno delle loro città, i Nani hanno infatti deciso di tornare ai tempi antichi, lasciando le loro case per cercare un luogo adatto a ricostruire il loro regno.
Impastato di realtà, invece, e in libreria da pochi giorni, è Contronatura (pag. 464 € 18 Bompiani), l’ultimo romanzo di Massimiliano Parente (Grosseto, 1970), collaboratore di punta delle pagine culturali di Libero. Il libro è all’altezza delle aspettative: la scrittura è tagliente, irriverente eppure comica, paradossale nel raccontare le peripezie di uno scrittore che vuole diventare un autore tv e che per mettersi in luce combatte proprio la tv in un mondo dai valori rovesciati.
La Marsilio non sta a guardare e il prossimo luglio ripropone – salvandolo dal destino ingeneroso di remainders Mondadori – Parenti lontani di Gaetano Cappelli (€ 9,50 416 p.), giudicato tra i migliori cinque libri del 2000, il più bel romanzo sul sogno americano visto da un giovane meridionale, Carlo, diviso tra l’amore per le radici e il richiamo di quel grande continente. «Mio padre – ci ha raccontato Cappelli – aveva fatto di una celebre frase di D’Annunzio il suo motto personale: “Ama il tuo sogno se pure ti tormenta”. I sogni vanno coltivati e quello americano rimane, senza dubbio, il più grande di tutti».
Bisognerà aspettare agosto – invece – per leggere La città perfetta (€ 17,60 450 p. Garzanti) di Angelo Petrella, trentenne autore napoletano di Nazi Paradise e Cane rabbioso (Meridiano Zero) che, come nella migliore tradizione noir, maneggia disinvoltamente uno stile duro e corrosivo in cui si mescolano Quentin Tarantino con Abel Ferrara, la cultura pop con il bianco e nero del neorealismo. Céliniano per esplicita ammissione, Petrella si misura con la sanguinosa guerra dei piccoli boss della camorra negli anni in cui il movimento della Pantera occupa scuole e atenei.
Per chi non volesse pazienzare, infine, c’è Mani nude (pag. 430 € 19 Rizzoli) – iniziazione alla violenza di un moderno gladiatore in uno scenario che richiama il Fight Club di Palahniuk – della milanese Paola Barbato (’71) sceneggiatrice storica di Dylan Dog al suo secondo romanzo dopo la bella prova di Billico (Rizzoli 2006). Oppure ci si può tuffare nel primo romanzo di Sergio Caputo, Disperatamente e in ritardo cane (pag. 286 € 15,50 Mondadori), esilarante autobiografia “fictionalizzata” dell’artista che con il suo inconfondibile swing e canzoni come Sabato italiano e Italiani mambo ha seppellito definitivamente la stagione della musica ideologica degli anni Settanta. Sergio Caputo presenterà il libro il 22 maggio a Milano (libreria Fnac di via Torino, ore 18) e il 23 maggio a Roma (libreria Mondadori in via del Corso, ore 18.30). Nell’occasione, per muoversi nella Capitale, si consiglia la Guida “senza luoghi comuni” S.P.Q.R. Sacri e profani questi romani (Edizioni Sonda) di Giuliano Compagno (’59), vulcanico autore di ben 17 volumi tra saggistica, comica e narrativa, tra cui i romanzi Generazione zero, L'assente, Il sesso è una parola, Memoria di parte sino ai più recenti Critica della ragion pubica e Siamo come negozi (Coniglio editore). La Guida - «scritta durante il giovedì nero di Wall Tort (Muro Torto), quando sono rimasto incolonnato nel traffico per tre ore e venti minuti mancando dodici appuntamenti filati, record europeo» - è una rilettura in chiave autoironica di una città nei cui confronti Compagno ha «un approccio critico che muta in vera e propria adorazione quando la insultano». Perché si sente intimamente romano in almeno sei occasioni: «Quando gusto una carbonara; quando vedo un film con Aldo Fabrizi; quando leggo i versi che Dante dedicò a Traiano; quando Roma o Lazio espugnano San Siro; quando contemplo un’immagine di Silvana Mangano e quando in qualsiasi parte del mondo posso dire “Sono di Roma!” e tutti capiscono da dove vengo».
Di un altro Sessantotto si è occupato invece Antonio Carioti, giornalista del Corriere della Sera, nel suo Gli orfani di Salò (sottotitolo: Il Sessantotto nero dei giovani neofascisti nel dopoguerra 1945-1951, pag. 296 € 17,00 Mursia). Sì, perché la tesi di fondo è proprio questa: prima di un 68 rosso ce n’è stato uno nero. Ad animarlo, nell’immediato dopoguerra, migliaia di giovani neofascisti che egemonizzano le scuole medie superiori e persino le università, guidano le più affollate manifestazioni studentesche dell’epoca, quale quella per il ritorno di Trieste alla madrepatria. Anche se rifiutano l’Italia democratica, De Gasperi ne sdoganerà ante litteram “la sincerità dell’amore di patria”. Occupano le università (a Pisa e Napoli con i comunisti) ma anche la sede nazionale del partito, contestandone la linea conservatrice. Insubordinati e ribelli, non chiedono l’autonomia politica: se la prendono. Dimostrano una capacità di elaborazione culturale che va al di là del primato dell’anticomunismo e del nostalgismo fine a se stesso pubblicando riviste di spessore.
«Un secondo volume che arrivi fino al ’56 – ci anticipa Carioti – è in preparazione e racconterà come molti di questi giovani si disperderanno tra scissioni e attività giornalistica (ad esempio Fausto Gianfranceschi e Mario Tedeschi). Il loro, però, non sarà un togliersi di mezzo. Come talpe che scavano sino a scuotere l’albero, contribuiranno a tenere viva una cultura di destra sommersa che risulterà determinante per l’affermazione elettorale di An negli anni Novanta, paradossalmente senza beneficiarne».
Rimanendo in tema di fascismo, entro settembre tornerà disponibile Fascio e Martello. Viaggio per le città del Duce di Antonio Pennacchi (Laterza, 368 pag. € 18) in una edizione più aggiornata rispetto a quella della Asefi. «Le città del duce erano 12 in tutto – puntualizza Pennacchi, autore di romanzi di successo come Il fasciocomunista (Mondadori) ma anche grande specialista in bonifiche e costruzione di nuove città – e con me sono arrivate a 140. Mi hanno copiato tutti ma le opere che vedo in giro sono solo elenchi pieni di fregnacce».
Arianna Editrice, la piccola ma combattiva casa editrice di Eduardo Zarelli, invece punta tutto sull’attualità. E cosa c’è di più attuale dell’emergenza rifiuti che vive la Campania? Così a giugno manderà in libreria Lo stivale di Barabba ovvero l’Italia presa a calci dai rifiuti di Stefano Montanari, scienziato bolognese e divulgatore di fama mondiale, affrontando con competenza la situazione attuale e soprattutto valutandone le prospettive.
Ma non si vive di soli saggi e il richiamo della narrativa non va eluso. Les afreu (Mursia) – il libro di Ippolito Edmondo Ferrario (’76), scrittore e mercante d’arte milanese, sulle “terribili” vicende dei mercenari italiani in Congo – dovrebbe vedere la luce entro l’estate. Accantonate per il momento le avventure della sua creatura letteraria – il detective-gallerista Leonardo Fiorentini, protagonista de Il pietrificatore di Triora e Il collezionista di Apricale (2006 e 2007 Frilli editore) – e le ricerche che hanno dato vita a Milano Sotterranea e misteriosa (scritto con Gianluca Padovan, Mursia 2007), Ferrario è occupatissimo nell’ultima revisione del testo. Aspettiamo.
Appena uscito è Morire è un attimo (pag. 240, € 14, Edizioni Angolo Manzoni), primo romanzo del torinese Giorgio Ballario, (’64), già redattore de Il borghese e dal ’99 a La Stampa. Location: l’Africa “italiana” del 1935. Un noir incalzante significativamente ambientato – come ha scritto nella prefazione Domenico Quirico - «in luoghi che nessuno scrittore italiano, al contrario di quanto accaduto in Francia e Inghilterra, ha mai ritenuto sfondo efficace e profondo da poter leggere in controluce quanto estremo e forte fosse il mutare del nostro paese».
A cavallo tra il noir e il romanzo storico è anche Congiura (pag. 408 € 18 Mursia), la quarta prova di Davide Mosca. Nato a Savona nel ’79 e milanese d’adozione, una laurea in Storia antica, Mosca si è cimentato a lungo con il pugilato prima di dedicarsi a tempo pieno all’editoria e alla scrittura. Ha esordito nella narrativa nel 2001 con Le parole che cadono nel vuoto non fanno rumore e con Mursia ha già pubblicato Silla. Il figlio della fortuna (2003) e Silla Imperator (2006). Stavolta, però, a occuparsi – su mandato di Cicerone – della congiura più famosa di tutti i tempi, quella di Catilina, è il giovane e disincantato detective Mamerco Mamilio, un Marlowe ante-litteram, una sfortunata canaglia che spende tutti i suoi soldi in donne e libri e si aggira in una Roma buia, marcia, fra bordelli, palestre e taverne in un romanzo che contamina un’originale ricostruzione della Roma repubblicana con seducenti atmosfere moderne.
«Dichiaratamente tolkieniano» è il romanzo fantasy Il Regno Nascosto di Gabriele Marconi ed Enrico Passaro (pag. 368 € 18,50 Dario Flaccovio Editore), atteso in libreria per il 12 maggio. L’idea della storia, nata nel 1983 e ispirata a una canzone di Marconi scritta nel 1982, Il Regno dei Nani, venne annotata dallo stesso Marconi su un taccuino per poi essere rielaborata recentemente a quattro mani. «Si tratta di un omaggio a Tolkien – ci ha spiegato Marconi, direttore responsabile del mensile Area e apprezzato narratore di Io non scordo, romanzo pubblicato dal Settimo Sigillo di Enzo Cipriano e poi ristampato da Fazi nel 2004 – e le vicende sono ambientate nella IV Era, naturalmente adattata, con ricordi di personaggi del Signore degli Anelli in filastrocche, leggende e canzoni. Nel libro ce ne sono quattro, tre mie e Tramonto di Francesco Mancinelli». La trama è nel viaggio: Althorf e i suoi due nipoti, Vitur e Tekkur, sono gli unici Nani rimasti nel villaggio di Cuterbor. Dopo aver condiviso il mondo con gli Uomini abitando quartieri all’interno delle loro città, i Nani hanno infatti deciso di tornare ai tempi antichi, lasciando le loro case per cercare un luogo adatto a ricostruire il loro regno.
Impastato di realtà, invece, e in libreria da pochi giorni, è Contronatura (pag. 464 € 18 Bompiani), l’ultimo romanzo di Massimiliano Parente (Grosseto, 1970), collaboratore di punta delle pagine culturali di Libero. Il libro è all’altezza delle aspettative: la scrittura è tagliente, irriverente eppure comica, paradossale nel raccontare le peripezie di uno scrittore che vuole diventare un autore tv e che per mettersi in luce combatte proprio la tv in un mondo dai valori rovesciati.
La Marsilio non sta a guardare e il prossimo luglio ripropone – salvandolo dal destino ingeneroso di remainders Mondadori – Parenti lontani di Gaetano Cappelli (€ 9,50 416 p.), giudicato tra i migliori cinque libri del 2000, il più bel romanzo sul sogno americano visto da un giovane meridionale, Carlo, diviso tra l’amore per le radici e il richiamo di quel grande continente. «Mio padre – ci ha raccontato Cappelli – aveva fatto di una celebre frase di D’Annunzio il suo motto personale: “Ama il tuo sogno se pure ti tormenta”. I sogni vanno coltivati e quello americano rimane, senza dubbio, il più grande di tutti».
Bisognerà aspettare agosto – invece – per leggere La città perfetta (€ 17,60 450 p. Garzanti) di Angelo Petrella, trentenne autore napoletano di Nazi Paradise e Cane rabbioso (Meridiano Zero) che, come nella migliore tradizione noir, maneggia disinvoltamente uno stile duro e corrosivo in cui si mescolano Quentin Tarantino con Abel Ferrara, la cultura pop con il bianco e nero del neorealismo. Céliniano per esplicita ammissione, Petrella si misura con la sanguinosa guerra dei piccoli boss della camorra negli anni in cui il movimento della Pantera occupa scuole e atenei.
Per chi non volesse pazienzare, infine, c’è Mani nude (pag. 430 € 19 Rizzoli) – iniziazione alla violenza di un moderno gladiatore in uno scenario che richiama il Fight Club di Palahniuk – della milanese Paola Barbato (’71) sceneggiatrice storica di Dylan Dog al suo secondo romanzo dopo la bella prova di Billico (Rizzoli 2006). Oppure ci si può tuffare nel primo romanzo di Sergio Caputo, Disperatamente e in ritardo cane (pag. 286 € 15,50 Mondadori), esilarante autobiografia “fictionalizzata” dell’artista che con il suo inconfondibile swing e canzoni come Sabato italiano e Italiani mambo ha seppellito definitivamente la stagione della musica ideologica degli anni Settanta. Sergio Caputo presenterà il libro il 22 maggio a Milano (libreria Fnac di via Torino, ore 18) e il 23 maggio a Roma (libreria Mondadori in via del Corso, ore 18.30). Nell’occasione, per muoversi nella Capitale, si consiglia la Guida “senza luoghi comuni” S.P.Q.R. Sacri e profani questi romani (Edizioni Sonda) di Giuliano Compagno (’59), vulcanico autore di ben 17 volumi tra saggistica, comica e narrativa, tra cui i romanzi Generazione zero, L'assente, Il sesso è una parola, Memoria di parte sino ai più recenti Critica della ragion pubica e Siamo come negozi (Coniglio editore). La Guida - «scritta durante il giovedì nero di Wall Tort (Muro Torto), quando sono rimasto incolonnato nel traffico per tre ore e venti minuti mancando dodici appuntamenti filati, record europeo» - è una rilettura in chiave autoironica di una città nei cui confronti Compagno ha «un approccio critico che muta in vera e propria adorazione quando la insultano». Perché si sente intimamente romano in almeno sei occasioni: «Quando gusto una carbonara; quando vedo un film con Aldo Fabrizi; quando leggo i versi che Dante dedicò a Traiano; quando Roma o Lazio espugnano San Siro; quando contemplo un’immagine di Silvana Mangano e quando in qualsiasi parte del mondo posso dire “Sono di Roma!” e tutti capiscono da dove vengo».
10 commenti:
Complimenti! Molto bello il blog e molto interessante l'articolo di oggi. Ottimo vademecum per le prossime letture.
Grazie Francesco, anche il tuo blog è molto interessante. E non a caso l'ho linkato!
Buona lettura.
Bell'articolo, Roberto.
Alcune delle cose che hai segnalato me le procurerò. Nel campo del romanzo sono curioso di (provare!) a leggere "Contronatura" di Massimiliano Parente, perché lì si tratta di letteratura al di là dei generi.
Volevo anche scrivere delle cose riguardo a questa storia del ritorno dell'epica italiana, che per dirla tutta non mi convince un granché. O meglio: che nasca una nuova epica sono ben contento, ma alla fine gli scrittori che la sostengono (da Wu Ming a Lucarelli) non mi sembra che riescono a sorreggerla con una giusta interrogazione sulla scrittura.
Per me una "nuova epica" è Walcott, ad esempio, e anche l'Atzeni di "Passamo sulla terra leggeri", non questa roba.
Mi interrogo a riguardo, timidamente, e forse in futuro ci scriverò su. Per meglio chiarire i miei dubbi agli altri e a me stesso.
Ciao.
Ciao Claudio. Sul romanzo di Parente c'è una bella e articolata recensione di Edmondo Berselli.
Il dibattito sulla "nuova epica" interessa molto anche me, è una questione che mi piacerebbe approfondire e leggerò con piacere la tua opinione al riguardo! :)
La video tribù
di Edmondo Berselli
Fonte L'espresso
Sta per uscire l'ambizioso romanzo 'Contronatura' di Massimiliano Parente. Racconta un mondo dove viene annullata ogni differenza tra vita e tv Un concorso di bellezzaPer scrivere 516 pagine di un libro che si intitola 'Contronatura', e che parla di una sovrarealtà, o di una ultrarealtà, che assomiglia alla realtà o eguaglia la metarealtà televisiva, bisogna essere convinti di avere nelle proprie corde la qualità essenziale del capolavoro. Massimiliano Parente ha scritto il voluminoso romanzo che Bompiani manda in libreria a maggio, ed è evidente che ogni pagina, e anzi ogni riga di questo progetto letterario, di un autore 38enne, trasmette l'idea che siamo finalmente in presenza di un'opera d'arte fondamentale, un colossale 'Meisterwerk' che guarda alle grandi avanguardie dei decenni centrali del Novecento e a esse si richiama, programmaticamente: nella fluvialità, nell'andamento, nel ritmo, nella perdita del centro e forse anche dell'io, sottoposto alle ingiurie dello zapping. Come dichiara l'autore, "trattandosi di opera d'arte e non di prodotto giornalistico o d'intrattenimento narrativo", non vale la pena di trattarlo come un semplice romanzo a chiave, e cercare di decifrare chi sia Naike Porcella, o Mayara Vita, o Scarlett, o Madame Medusa, o una qualsiasi delle figurazioni che compaiono nel libro, compreso il 'Parente' che si sovrappone feticisticamente e con deliberati effetti narcisistici all'autore del romanzo. Sicché, data la mole e l'ambizione, occorreranno letture approfondite e analisi criticamente avvertite per definire lo spessore culturale e letterario di questa prova narrativa.
Ma intanto, sembra evidente che 'Contronatura' (si racconta di uno scrittore che vuole diventare un autore tv e che per mettersi in luce combatte la tv, ma è solo un pretesto per parlare d'altro) propone una tesi, e una tesi anche eroica, se non si capisce male: vale a dire che la realtà apparentemente contronatura della televisione è l'unica realtà oggi disponibile. È certamente possibile che Parente non approvi affatto questo verdetto. Ma prendiamolo per buono, non foss'altro che per utilità pratica. L'argomentazione infatti è eccitante perché contraddice le tesi a cui più o meno ci si era abituati nell'era televisiva precedente. Vale a dire: fra la società nel suo insieme, cioè fra le immense platee televisive "implose nella privacy" (secondo la definizione del filosofo Carlo Galli) e l'universo televisivo conosciuto si è instaurato da tempo, e probabilmente fin dagli albori della tv negli anni Cinquanta, un rapporto di interazione, in cui l'una e l'altra, società reale e società televisiva, si rafforzano a vicenda. La televisione legge, o meglio 'vede', ciò che si manifesta nella società, se ne appropria e lo enfatizza a dismisura, riproiettandolo sulle comunità che si specchiano nel piccolo schermo, in un processo infinito, che porta alla creazione di mostri, al di qua e simmetricamente al di là del diaframma a cristalli liquidi.
Questo schema era discretamente affascinante perché consentiva di leggere razionalmente e ragionevolmente l'evoluzione sociale e televisiva. Vedevi i freak della tv, e capivi il processo imitativo che si innescava nella società, che a sua volta rafforzava le identità dei mostri in televisione, in una moltiplicazione senza fine. Ma adesso il paradigma potrebbe essere dimezzato. Esiste soltanto la realtà televisiva. Come nel mito platonico della caverna, le nostre vite sono soltanto pallide ombre gettate dalla luminescenza del plasma televisivo. Il passo avanti è clamoroso, a quanto si direbbe. Secondo questo schema, ogni aspetto della vita reale degrada allora a tenue imitazione della verità. Vero, e forse più vero del vero, è il tatuaggio dei capelli di Silvio Berlusconi sul suo cranio liscio, il lifting e l'esplosione del seno delle ipermaggiorate destinate a una vita da veline e da una sopravvivenza esistenziale a base di markette; veri sono gli ultracorpi che sarà un problema smaltire, a suo tempo, data la produzione inevitabile di diossina nella cremazione. Vero è il linguaggio degradato dal romanesco, "ho dimentigado le parole", il tappo di sughero sulla calvizie, i labbroni da pornostar grazie al filler, gli zigomi in cui si intravedono le protesi, la sessualizzazione iperbolica di qualsiasi ospitata. Non ci si misura più con 'competitor' nella realtà quotidiana: ci si confronta con l'unica realtà consentita, il riverbero di uno studio televisivo. E quindi ci si ritrova davanti a un'estremizzazione parossistica della vita, del gioco, della sessualità, dell'erotismo e del godimento: certo, nella vicenda televisiva concreta non si vedono gli "orgasmi spaventosi" che Madame Medusa descrive in via epistolare rivolgendosi al "mio adorato Parente". Ma è come se ogni immagine televisiva fosse un'allegoria in minore dell'esplosione erotica a cui il Parente reale si riferisce. Sottinteso: dietro le immagini di ogni ragazza che compare in scena, con un abitino striminzito, uno straccetto che lascia vedere quasi interamente le cosce e le tette, dietro la sineddoche del reggiseno in vista di Simona Ventura in 'X Factor', c'è un invito a trattare la realtà come puro universo di segni e miti pornografici. Piccola conseguenza: la realtà così comunicata, anzi, l'idea di normalità così trasmessa è un'esistenza in cui è fisiologico strafarsi di coca, acquistare una pasticca di ecstasy (secondo la registrazione fenomenologica effettuata da Francesco Bianconi dei Baustelle: "Charly fa surf, quanta roba si fa, mdma", dove quest'ultima sigla è il principio attivo della droga da discoteca, praticare il sexual harassment come unica forma plausibile di corteggiamento, convocare una partouze con due o tre puttane in quanto modalità sbrigativa e perciò efficiente, di gratificazione sessuale.
Che poi questa ultrarealtà sia comunicata solo per indizi, o per sintomi e allusioni, non cambia nulla. Basta un minimo di sensibilità cognitiva per decifrare in un programma di intrattenimento per famiglie il contenuto di trasgressione estrema che lo permea, di violenza, di oltraggio, di profanazione. La televisione è il male: solo che questo male è il nostro mondo, l'unico in cui siamo inseriti. Possiamo frantumarlo e consumarlo per detriti, per esempio su YouTube, oppure possiamo sperimentarlo selettivamente, individuando aree di interesse specifiche ('programmi', o 'trasmissioni', avremmo detto una volta), con un uso parossistico del telecomando, in un processo di decostruzione continua e proliferante: tuttavia l'ultrarealtà televisiva tracima dallo schermo, e si spande nella vita quotidiana come dato reale. Tutti noi ci misuriamo ormai con il look di chi compare in video, paragoniamo noi stessi al carisma sessuale di un conduttore o valutiamo con ferocia il potenziale sessuale di una soubrette scocciata su una poltrona.
Per questa ragione, l'eccessivo romanzo di Parente non va letto come un esercizio narrativo: piuttosto è una prova di sociologia ultrà, un attentato dadaista alle scienze empiriche. Si definisce un'oltranza di realtà, e la si descrive in tutte le sue dimensioni, apparentemente vere o del tutto immaginarie che siano. È un mondo che sostituisce il mondo. Con la complicazione fastidiosissima che neppure cambiando canale si cambia la realtà, come credeva l'idiota di Peter Sellers in 'Oltre il giardino', impugnando il telecomando contro i suoi aggressori; e neppure spegnendo la tv cessa il sortilegio televisivo, perché dalle antenne e dai satelliti, dai cavi, da Internet e dalla banda larga, dall'analogico e dal digitale, l'esito che proviene è uno solo, e cioè che la televisione siamo noi, e noi siamo la televisione.
(24 aprile 2008)
Sono molto interessati ai lavori di Controcorrente.
Se "Il '68 della Nuova destra" è la traduzione de "La Mai '68 de la Nouvelle Droite" credo sia un ottimo lavoro. Qualche stralcio di quel libro venne pubblicato su Diorama tempo fa...
E poi mi incuriosisce il Pensiero ribelle di De Benoist.
Complimenti a Golia e Giaccio.
E naturalmente a Roberto per l'articolo
Vivissimi complimenti per questo blog ricchissimo e aggiornato in modo encomiabile. E' una vera e propria miniera di notizie e costituisce davvero un'eccezione qualitativa e quantitativa rispetto alla media dei blog sulla cultura di destra. Mi sono abbonato via feed.
Bella recensione. Come giustamente scrive Berselli, di certo parente non è uno da appoggiare la tesi del suo stesso romanzo, ma il compito di un vero scrittore (ovvero devoto all'Arte del Romanzo e a nient'altro!) non è certo quello di fornire risposte.
So solo che, se è così, aveva ragione Baudrillard: siamo "l'altro visto da sé". Quindi l'umanità è già finita, non se ne rende conto ed è convinta di esistere ancora.
Grazie a Alberto Lombardo, provvedo con piacere a linkare il sito del Centro Studi La Runa!
Grazie mille, provvederò a ricambiare la cortesia appena rimetterò mano alla sezione dei links (il sito è in piena fase di rielaborazione).
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