Articolo di Luciano Lanna
Dal Secolo d'Italia di mercoledì 30 luglio 2008
Sappiamo che non ha mai amato i compleanni. Del resto, sarà anche perché il suo ricorre in piena estate – proprio mentre, come ha sempre fatto, si gode le sue vacanze nella spiaggia di Loano, in Liguria – o per la naturale tendenza all’impersonalità e a rapporti umani sobri e profondi ma lui tende addirittura a non ricordare e divulgare la sua data di nascita. Ma stavolta possiamo fare un’eccezione perché ai suoi ottant’anni, che si festeggiano proprio oggi, 30 di luglio, è stato dedicato l’ultimo numero della rivista Letteratura-Tradizione: «Speciale Giano Accame». E l’occasione di parlare di questa interessante pubblicazione diventa anche il pretesto nostro – del Secolo – non solo per fargli auguri ma per tentare di ricordare tutto quello che Giano ha rappresentato e rappresenta per una destra maggioritaria e al tempo stesso radicata nel Novecento italiano.
Non è quindi un caso che la rivista diretta da Sandro Giovannini dedichi a Giano un ampio e articolato “speciale” curato da Luca Gallesi. Interessanti e coinvolgenti le testimonianze e gli interventi di Mario Bernardi Guardi e Giuliano Borghi, Mary de Rachewiltz (la figlia di Ezra Pound) e Gianfranco de Turris, Giorgio Galli e Carlo Gambescia, Luciano Garibaldi e Luca Leonello Rimbotti, Marcello Staglieno e Piero Vassallo, Marcello Veneziani e Ernesto Zucconi, Alain de Benoist e, ovviamente, Sandro Giovannini. «Che cosa deve colpire di un individuo, a tutt’oggi attivissimo nella politica militante e a un tempo uomo di libri e di studi come Giano Accame?», si domanda Staglieno. E dalla lettura di tutti i saggi emerge una risposta corale: uno straordinario impegno di militanza intellettuale e personale per restituire alla destra italiana la piena legittimità nel dibattito politico e culturale. Giornalista, scrittore, intellettuale, storico dell’Italia repubblicana e studioso di politica economica, aderente al Msi dalle origini sino al ’56, animatore dei Centri di vita italiana con Ernesto De Marzio, firmatario del manifesto per una Nuova Repubblica presidenziale nel lontano ’64, inviato speciale per dieci anni del settimanale il Borghese dei tempi d’oro, inviato economico del Fiorino, caporedattore al Settimanale, autore di libri come Socialismo tricolore, Il fascismo immenso e rosso, Ezra Pound economista, La destra sociale, Una storia della Repubblica, Accame ha sempre lavorato – come scrive il suo collega di studi universitari Giorgio Galli, «per far uscire la destra dal lungo letargo».
Lo ha riconosciuto lui stesso: «Anche negli anni più ottusi e bui mi sono mosso come pochi per un allargamento. Oltre la sconfitta bellica, degli orizzonti culturali, per ristabilire dei collegamenti, per sentirci meno soli e vivere la nostra esperienza in un quadro di riferimenti mondiali, da cui non dovevano essere esclusi nemmeno gli interessantissimi fermenti di rivitalizzazione della tradizione nazionale che si andava sviluppando a sinistra». Del resto, già nel 1961, come segretario generale del Centro di vita italiana, promosse e organizzò il primo Incontro romano della cultura andandosi a cercare in tutto il mondo gli uomini e gli autori con cui dimostrare che la nostra cultura non era affatto sotto lo scacco della doppia egemonia neo-marxista e azionista. La prima seduta fu addirittura aperta con la presidenza del poeta greco Odisseo Elitis, successivamente premio Nobel per la letteratura, e l’ultima da Michel Déon, futuro accademico di Francia. E Accame fornì una certa idea della destra attraverso la partecipazione attiva al convegno di figure come Ernst Jünger e Gabriel Marcel, John Dos Passos e Marcel de Corte, Vintila Horia e Armin Mohler, Hans-Joachim Schoeps e Paul Serant… Un’intuizione, quella di Accame, che veniva da lontano e che muoveva dalla consapevolezza della necessità di rivendicare e attualizzare la grande lezione incompiuta del Novecento, «da quella del padre – rilancia ancora oggi – della nostra avanguardia letteraria Filippo Tommaso Marinetti alla riflessione di uno dei maggiori filosofi del ’900 come Giovanni Gentile, dal pensiero di Martin Heidegger sino all’opera teorica del più grande politologo del secolo scorso, Carl Schmitt».
Vent’anni fa, sulla scorsa di questo suo approccio ideale e della sua grande vocazione al dialogo, Accame diventava anche direttore del nostro Secolo. «Nel momento di assumere l’incarico di direttore – scriveva allora sulla prima pagina il 16 dicembre 1988 – ritengo doveroso e onesto dichiarare con quanta forza io avverta anche il senso dell’appartenenza a una comunità ideale. A questa comunità mi sono legato arruolandomi a sedici anni il 25 aprile del 1945, nella Marina della Rsi. Sono maturato attraverso una quantità di letture ed esperienze, ma non ho mai rinnegato quel mio ingenuio e rischioso gesto di generosità giovanile. E pur fra tratti di insofferenza, di impazienza, dovuti a una scarsa mentalità di partito, ho sempre profondamente amato la gente a cui appartengo». Un atteggiamento che nella sua sincerità non è mai scivolato verso faziosità o esclusivismi di parte. Anzi. Tutta la sua militanza politico-culturale è stata condotta all’insegna del dialogo e del superamento degli steccati – basti ricordare la sua interlocuzione negli anni con intellettuali di sinistra come Massimo Cacciari, Pablo Echaurren, Gianni Borgna o Gad Lerner – e come negare lo spirito a tutto campo che ha animato i suoi principali lavori da storico? Da Socialismo tricolore, in cui sottolineava le venature nazionali del Risorgimento socialista e la svolta del riformismo craxiano in direzione del decisionismo e delle aperture verso la destra a Una storia della Repubblica pubblicata da Rizzoli nel 2001, una ricostruzione dedicata non certo all’esperienza di Salò ma all’Italia in cui viviamo dal ’46, dalla grande mostra del Colosseo dell’84 su “L’economia italiana tra le due guerre” sino ai ventiquattro profili di storia delle idee tracciati per Rai Educational con la serie televisiva Intelligenze scomode del ’900.
Da sempre, come dicevamo, ha lavorato in questa direzione ma senza mai rinnegare la sua scelta di campo iniziale. Una decisione giovanile che non ha mai però significato nostalgismo, estremismo o tentazioni al ripiegamento identitario. Tanto è vero che, scrivendo dal fascismo di Brasillach, lo stesso Giano ammetteva la neanche troppo paradossale valenza libertaria e postfascista della sua stessa adesione alla Rsi: «Personalmente non avevo particolarmente mai amato la divisa di balilla e il falso piccolo fucile con il quale mi facevano sfilare da ragazzino, così come mal sopportavo i miei capi, mucchio di istitutori e di professori, di piccoli arrivisti congestionati dalla voluttà del gregario che, persino di sabato pomeriggio, quando la scuola era chiusa, pretendevano di darmi degli ordini, di comunicarmi la loro esuberanza». Postfascista sin dall’inizio, Accame ha del resto spiegato che, mentre lui adolescente si arruolava – sia pure per un solo giorno – nella Decima Mas, quei suoi ex capi fascistoni dell’organizzazione balilla cominciavano già a cambiare opinione e schieramento, preparandosi a scoprirsi comunisti, democristiani, socialisti, liberali. «Non sono però più riusciti a comandarmi», ha commentato sottolineando la sua propensione spontanea alla libertà e alla ribellione rispetto a quegli schemi ideologici imposti dalla sconfitta e che per qualche decennio avevano fatto del nostro un paese non normale. «Sempre alla ricerca di qualcosa in più per questa Italia – ha aggiunto per spiegare la propria vocazione personale – nella visione degli italiani uniti e affrancati da qualsiasi sudditanza». In fondo, il suo è stato il percorso di un nazionalista moderno, socialmente illuminato, raziocinante e dialogico verso la costruzione di una destra normale, maggioritaria, a vocazione egemonica. Con un orientamento sempre ben fisso: «Dedicare sempre maggiori attenzioni al dato comunitario della società e della cultura, rispetto a quelle che la vecchia destra riservava alle strutture amministrative e politiche dello Stato, ai suoi organi elettivi e ai suoi poliziotti». Una lezione che Accame ha costantemente fondato sull’esperienza storica: «Anche nel deserto delle strutture politiche unitarie – ha scritto – l’anima nazionale ha costruito le sue flotte e le sue cattedrali, la torre veneta a Salonicco, la torre dei genovesi a Costantinopoli, la sua potenza religiosa, economica e commerciale, ha scritto i suoi poemi, ha riempito il paese di castelli, di municipi, di statue e di quadri, ha fatto le sue scoperte e ha trasmesso nei secoli da Dante a Petrarca a Machiavelli a Leopardi una certa idea dell’Italia…». Ecco, è con questa sensibilità che Accame ha aiutato la destra a fare i conti e a ritrovare una sintonia profonda. Grazie Giano, da parte di tutti noi.
Non è quindi un caso che la rivista diretta da Sandro Giovannini dedichi a Giano un ampio e articolato “speciale” curato da Luca Gallesi. Interessanti e coinvolgenti le testimonianze e gli interventi di Mario Bernardi Guardi e Giuliano Borghi, Mary de Rachewiltz (la figlia di Ezra Pound) e Gianfranco de Turris, Giorgio Galli e Carlo Gambescia, Luciano Garibaldi e Luca Leonello Rimbotti, Marcello Staglieno e Piero Vassallo, Marcello Veneziani e Ernesto Zucconi, Alain de Benoist e, ovviamente, Sandro Giovannini. «Che cosa deve colpire di un individuo, a tutt’oggi attivissimo nella politica militante e a un tempo uomo di libri e di studi come Giano Accame?», si domanda Staglieno. E dalla lettura di tutti i saggi emerge una risposta corale: uno straordinario impegno di militanza intellettuale e personale per restituire alla destra italiana la piena legittimità nel dibattito politico e culturale. Giornalista, scrittore, intellettuale, storico dell’Italia repubblicana e studioso di politica economica, aderente al Msi dalle origini sino al ’56, animatore dei Centri di vita italiana con Ernesto De Marzio, firmatario del manifesto per una Nuova Repubblica presidenziale nel lontano ’64, inviato speciale per dieci anni del settimanale il Borghese dei tempi d’oro, inviato economico del Fiorino, caporedattore al Settimanale, autore di libri come Socialismo tricolore, Il fascismo immenso e rosso, Ezra Pound economista, La destra sociale, Una storia della Repubblica, Accame ha sempre lavorato – come scrive il suo collega di studi universitari Giorgio Galli, «per far uscire la destra dal lungo letargo».
Lo ha riconosciuto lui stesso: «Anche negli anni più ottusi e bui mi sono mosso come pochi per un allargamento. Oltre la sconfitta bellica, degli orizzonti culturali, per ristabilire dei collegamenti, per sentirci meno soli e vivere la nostra esperienza in un quadro di riferimenti mondiali, da cui non dovevano essere esclusi nemmeno gli interessantissimi fermenti di rivitalizzazione della tradizione nazionale che si andava sviluppando a sinistra». Del resto, già nel 1961, come segretario generale del Centro di vita italiana, promosse e organizzò il primo Incontro romano della cultura andandosi a cercare in tutto il mondo gli uomini e gli autori con cui dimostrare che la nostra cultura non era affatto sotto lo scacco della doppia egemonia neo-marxista e azionista. La prima seduta fu addirittura aperta con la presidenza del poeta greco Odisseo Elitis, successivamente premio Nobel per la letteratura, e l’ultima da Michel Déon, futuro accademico di Francia. E Accame fornì una certa idea della destra attraverso la partecipazione attiva al convegno di figure come Ernst Jünger e Gabriel Marcel, John Dos Passos e Marcel de Corte, Vintila Horia e Armin Mohler, Hans-Joachim Schoeps e Paul Serant… Un’intuizione, quella di Accame, che veniva da lontano e che muoveva dalla consapevolezza della necessità di rivendicare e attualizzare la grande lezione incompiuta del Novecento, «da quella del padre – rilancia ancora oggi – della nostra avanguardia letteraria Filippo Tommaso Marinetti alla riflessione di uno dei maggiori filosofi del ’900 come Giovanni Gentile, dal pensiero di Martin Heidegger sino all’opera teorica del più grande politologo del secolo scorso, Carl Schmitt».
Vent’anni fa, sulla scorsa di questo suo approccio ideale e della sua grande vocazione al dialogo, Accame diventava anche direttore del nostro Secolo. «Nel momento di assumere l’incarico di direttore – scriveva allora sulla prima pagina il 16 dicembre 1988 – ritengo doveroso e onesto dichiarare con quanta forza io avverta anche il senso dell’appartenenza a una comunità ideale. A questa comunità mi sono legato arruolandomi a sedici anni il 25 aprile del 1945, nella Marina della Rsi. Sono maturato attraverso una quantità di letture ed esperienze, ma non ho mai rinnegato quel mio ingenuio e rischioso gesto di generosità giovanile. E pur fra tratti di insofferenza, di impazienza, dovuti a una scarsa mentalità di partito, ho sempre profondamente amato la gente a cui appartengo». Un atteggiamento che nella sua sincerità non è mai scivolato verso faziosità o esclusivismi di parte. Anzi. Tutta la sua militanza politico-culturale è stata condotta all’insegna del dialogo e del superamento degli steccati – basti ricordare la sua interlocuzione negli anni con intellettuali di sinistra come Massimo Cacciari, Pablo Echaurren, Gianni Borgna o Gad Lerner – e come negare lo spirito a tutto campo che ha animato i suoi principali lavori da storico? Da Socialismo tricolore, in cui sottolineava le venature nazionali del Risorgimento socialista e la svolta del riformismo craxiano in direzione del decisionismo e delle aperture verso la destra a Una storia della Repubblica pubblicata da Rizzoli nel 2001, una ricostruzione dedicata non certo all’esperienza di Salò ma all’Italia in cui viviamo dal ’46, dalla grande mostra del Colosseo dell’84 su “L’economia italiana tra le due guerre” sino ai ventiquattro profili di storia delle idee tracciati per Rai Educational con la serie televisiva Intelligenze scomode del ’900.
Da sempre, come dicevamo, ha lavorato in questa direzione ma senza mai rinnegare la sua scelta di campo iniziale. Una decisione giovanile che non ha mai però significato nostalgismo, estremismo o tentazioni al ripiegamento identitario. Tanto è vero che, scrivendo dal fascismo di Brasillach, lo stesso Giano ammetteva la neanche troppo paradossale valenza libertaria e postfascista della sua stessa adesione alla Rsi: «Personalmente non avevo particolarmente mai amato la divisa di balilla e il falso piccolo fucile con il quale mi facevano sfilare da ragazzino, così come mal sopportavo i miei capi, mucchio di istitutori e di professori, di piccoli arrivisti congestionati dalla voluttà del gregario che, persino di sabato pomeriggio, quando la scuola era chiusa, pretendevano di darmi degli ordini, di comunicarmi la loro esuberanza». Postfascista sin dall’inizio, Accame ha del resto spiegato che, mentre lui adolescente si arruolava – sia pure per un solo giorno – nella Decima Mas, quei suoi ex capi fascistoni dell’organizzazione balilla cominciavano già a cambiare opinione e schieramento, preparandosi a scoprirsi comunisti, democristiani, socialisti, liberali. «Non sono però più riusciti a comandarmi», ha commentato sottolineando la sua propensione spontanea alla libertà e alla ribellione rispetto a quegli schemi ideologici imposti dalla sconfitta e che per qualche decennio avevano fatto del nostro un paese non normale. «Sempre alla ricerca di qualcosa in più per questa Italia – ha aggiunto per spiegare la propria vocazione personale – nella visione degli italiani uniti e affrancati da qualsiasi sudditanza». In fondo, il suo è stato il percorso di un nazionalista moderno, socialmente illuminato, raziocinante e dialogico verso la costruzione di una destra normale, maggioritaria, a vocazione egemonica. Con un orientamento sempre ben fisso: «Dedicare sempre maggiori attenzioni al dato comunitario della società e della cultura, rispetto a quelle che la vecchia destra riservava alle strutture amministrative e politiche dello Stato, ai suoi organi elettivi e ai suoi poliziotti». Una lezione che Accame ha costantemente fondato sull’esperienza storica: «Anche nel deserto delle strutture politiche unitarie – ha scritto – l’anima nazionale ha costruito le sue flotte e le sue cattedrali, la torre veneta a Salonicco, la torre dei genovesi a Costantinopoli, la sua potenza religiosa, economica e commerciale, ha scritto i suoi poemi, ha riempito il paese di castelli, di municipi, di statue e di quadri, ha fatto le sue scoperte e ha trasmesso nei secoli da Dante a Petrarca a Machiavelli a Leopardi una certa idea dell’Italia…». Ecco, è con questa sensibilità che Accame ha aiutato la destra a fare i conti e a ritrovare una sintonia profonda. Grazie Giano, da parte di tutti noi.
Luciano Lanna, laureato in filosofia, giornalista professionista dal 1992 e scrittore (autore, con Filippo Rossi, del saggio dizionario Fascisti immaginari. Tutto quello che c'è da sapere sulla destra, Vallecchi 2004), oltre ad aver lavorato in quotidiani e riviste, si è occupato di comunicazione politica e ha collaborato con trasmissioni radiofoniche e televisive della Rai. Già caporedattore del bimestrale di cultura politica Ideazione e vice direttore del quotidiano L'Indipendente, è direttore responsabile del Secolo d'Italia.
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